Sindaco venezuelano trasferito dal carcere in ospedale per un intervento

Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: secondo William Neuman, NYT, l’ex sindaco di Caracas Antonio Ledezma non è altro che uno dei tanti oppositori incarcerati dal governo bolivariano, colpevoli per aver criticato apertamente il disastro economico causato dall’amministrazione Maduro.

Mr. Ledezma’s arrest was met with widespread international appeals for his release, increasing pressure on the government, which had begun to build last year with the jailing of other opposition figures.

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Vanessa, figlia di Antonio Ledezma ad UnoMattina su Rai1

Il sindaco di Caracas, Venezuela, arrestato con l’accusa di cospirazione contro il governo del presidente Nicolas Maduro, è stato trasferito in un ospedale privato per un’operazione all’ernia lo scorso sabato. Secondo sua moglie e un portavoce, sarà successivamente trasferito agli arresti domiciliari durante la riabilitazione.

Non è chiaro se al sindaco, Antonio Ledezma, sarà chiesto di tornare in prigione dopo il completo recupero.

Ledezma, arrestato dai poliziotti, pesantemente equipaggiati, dell’intelligence in febbraio, è uno dei numerosi politici oppositori di Maduro finiti agli arresti. E’ trattenuto in una prigione militare in attesa del processo.

Agenti governativi lo hanno accusato di complottare il rovesciamento di Maduro, nonostante non abbiano ancora fornito prove evidenti a supporto delle affermazioni. L’avvocato di Ledezma ha respinto le accuse.

L’arresto di Ledezma ha incontrato un diffuso appello internazionale per il suo rilascio, aumentando la pressione sul governo, pressione cominciata a montare lo scorso anno con l’incarcerazione di altre figure dell’opposizione.

Maduro, presidente di sinistra eletto nell’aprile del 2013, sta lottando con una cascata di problemi economici, compresa la recessione, l’alta inflazione e la scarsità di beni di prima necessità. Ha dichiarato che questi problemi sono parte di una cospirazione per indebolire il suo governo e ha spesso riferito di misteriosi quanto vaghi complotti per assassinarlo o deporlo.

Come gli altri esponenti dell’opposizione, Ledezma è stato un critico “non silenzioso” di Maduro.

La moglie di Ledezma, Mitzy Capriles, lo stesso sabato ha criticato il governo per il mancato rilascio di suo marito e per non aver fatto cadere le accuse nei suoi confronti. Capriles ha richiamato la pressione internazionale per forzare il governo ha riconsiderare l’imprigionamento di Ledezma.

Articolo originale:
http://www.nytimes.com/2015/04/27/world/americas/antonio-ledezma-jailed-venezuelan-mayor-is-moved-to-hospital-for-surgery.html

Internazionalismo o barbarie – un contributo della rete Caracas ChiAma

Rete Caracas ChiAma

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Il mediterraneo sputa cadaveri di donne, uomini, bambini e bambine: disperati migranti. Già non ci sono su questa terra saturata spazi vuoti dove buttare i residui di un sistema economico, quello globale, che genera esclusione, povertà, guerra, miseria.
Proprio dalla guerra e dalla miseria fuggivano costretti quei migranti, tragicamente affogati per le stesse vie a senso unico su cui scorrono incessantemente e senza sosta risorse primarie, petrolio, ricchezze, diamanti. Per quelle tratte che furono di masse e masse di schiavi, d’esseri umani ridotti a forza lavoro dal crimine mai pagato del colonialismo europeo.
Colonialismo che s’è trasformato in imperialismo, in dominio del centro sulla periferia, in imposizione di modelli economici e politici funzionali alle necessità d’accumulazione del sistema capitalista mondializzato e “purificato” dalla globalizzazione neoliberista.
Imperialismo di cui non parlano i latifondi mediatici, e di cui poco, troppo poco, parlano i movimenti e la sinistra anticapitalista. Segno inconfondibile dell’affievolirsi di visioni lucide sul presente che viviamo. Problema del presente che dobbiamo interpretare e considerare come problema storico, sbarazzandoci delle visioni astoriche, tirate fuori con artifici intellettuali da cilindri accademici.
E invece continua a mietere vittime l’imperialismo, creando caos e disordine nei paesi ricchi di risorse naturali, per far arrivare senza indugi e resistenze la dose quotidiana al mondo occidentale, drogato di ricchezza e schiavo del consumo sfrenato.

Sugli altari della Dea Produttività, le potenze del Nord sono pronte a scarificare tutto, tutti e tutte, così dimostra la Storia. Quella stessa, curiosa Dea Produttività che grazie ai miracoli della sua Ancella Tecnologia moltiplica i pani e pesci, ma senza sfamare bocche e accumulando obesità.
E’ già stato detto che i settecento morti del Canale di Sicilia non sono una tragedia ma un crimine. Crimine di criminali che, sì, tragicamente agiscono indisturbati, forti di un potente sistema politico, economico, culturale e comunicativo che gli copre le spalle. Un sistema irrazionale e disumano allo stesso tempo: una competizione senza scrupoli tra blocchi di potere con aspirazioni a espandersi globalmente, com’è tendenza congenita del capitalismo e della sua legge di sopravvivenza.
Se non cessano a breve termine le guerre portate per il mondo dagli Stati Uniti e dalle potenze occidentali, non ci sarà cordone umanitario che regga alla distruzione totale di nazioni, culture, territori, comunità. E l’unico modo per frenare la macchina da guerra è bloccarne l’ingranaggio: l’imperialismo occidentale che mette in fuga migliaia e migliaia di persone, dall’Africa delle Primavere appassite e dei bombardamenti NATO, all’Oriente martoriato dalla jihad dell’imperialismo.

L’unica soluzione a questo crimine è la solidarietà politica, la costruzione di un internazionalismo popolare contro quello del capitale. Solidarietà politica –d’andata e ritorno- da coltivare mettendo da parte e superando la carità cristiana, che si esercita dall’alto verso il basso e che non altera mai, nemmeno un pochino, le relazioni di potere mondiale.
Solidarietà che deve rompere i limiti nazionali, perché la contraddizione essenziale è quella che oppone i lavoratori e le lavoratrici di ogni parte alle oligarchie economiche, alle multinazionali, ai monopoli finanziari. E non è stata la “Destra”, ma la degenerazione socialdemocratica della “Sinistra” europea a rinchiudere la solidarietà nelle frontiere degli Stati Nazioni. Creando benessere materiale e ideologia della falsa coscienza, hanno trasformato in “aristocrazia della classe operaia” i settori popolari dei paesi a capitalismo avanzato. Settori a cui l’Età d’oro del Capitalismo ha concesso Welfare e libertà di consumo, per scacciare dal vecchio continente i fantasmi del comunismo, allora galoppante, e rompere i legami internazionali dei proletari/e.

Tatticamente, occorre chiedere misure umanitarie per imporre all’Unione Europea la fine di questo crimine senza fine. Strategicamente, però, è più che mai necessario superare questa visione umanitaria della solidarietà e rimettere al centro della lotta l’internazionalismo antimperialista.
Mentre ideologie come il cosmopolitismo o del “villaggio globale” si confermano, sconfitta dopo sconfitta, funzionali o comunque sterili di fronte all’espansione globale del capitalismo, si fa sempre più necessaria una nuova teoria e pratica internazionalista nel ventunesimo secolo.
Un internazionalismo pensato, e realizzabile, dentro le dinamiche di riconfigurazione del capitalismo globale, basato sulle condizioni oggettive che oggi attraversano i movimenti anticapitalisti, in tutte le loro espressioni, e sulla costituzione di un soggetto che permetta alla sinistra reale di guadagnare in estensione senza perdere nella profondità dell’agire politico.

I movimenti e i settori della sinistra vera latinoamericana sono riusciti nell’impresa di costruire un fronte antimperialista. Così che oggi, mentre dalle sponde africane arrivano masse di disperati, il continente latino è terraferma. Un esempio impossibile da replicare ma, sì, una preziosa bussola per il cammino che ci oppone al sistema dei “cimiteri marini”.

Perché vi sia nel mondo la libertà di movimento per tutti e tutte, ma anche il diritto di vivere la propria terra senza dover fuggire da barbarie, bombe e miseria.

America Latina: i paesi del Petrocaribe riaffermano la loro unità difronte ai tentavi di divisione da parta degli Stati uniti.

Traduzione di Lorenzo Mastropasqua

Riunione del consiglio ministeriale dei paesi aderenti a Petrocaribe
Riunione del consiglio ministeriale dei paesi aderenti a Petrocaribe

Durante il VII summit delle Americhe, i paesi membri del Petrocaribe hanno riaffermato il loro legame di cooperazione e di alleanza in campo energetico di fronte alle pretese di divisione del governo degli Stati uniti. Questo blocco regionale creato nel 2005 dai comandanti delle rivoluzioni Bolivariana e Cubana, rispettivamente Hugo Chavez e Fidel Castro, è composto da 19 Stati che hanno implementato nuove forme di scambi commerciali ed economici per creare dei meccanismi di compensazione in un ambito di complementarità e rispetto reciproco. Fin dall’inzio Petrocaribe è stato attaccato dall’estrema destra venezuelana e nord americana perché, così dicono, utilizza in maniera inappropriata il petrolio e i ricavi provenienti da esso. E pensare che nel periodo in cui i “transnazionali” hanno operato nel paese, più di 50 000 milioni di barili di petrolio sono stati prelevati per sostenere l’economia e lo sviluppo industrial militare nord americano. Ancora un tentativo per indebolire le relazioni di unione e cooperazione tra i paesi dei Caraibi e dell’America latina è stato portato avanti dal vice presidente statunitense Joe Biden, che ha incontrato nel marzo scorso dei rappresentati delle isole caraibiche, incontri nei quali faceva allusione a una presunta crisi di Petrocaribe e una delegittimazione delle istituzioni venezuelane.Sulla stessa lunghezza d’onda il 9 aprile durante una visita in Jamaica in vista del VII summit delle Americhe, il presidente statunitense Barack Obama ha proposto ai dirigenti della comunità dei Caraibi (Caricom) l’alternativa dello “sviluppo energetico pulito” e la la messa in opera di un gruppo di ricerca sulla fabbisogno energetico per ridurre la domanda dei paesi caraibici del petrolio venezuelano attraverso Petrocaribe, per questo, l’impero degli Stati uniti ha offerto un contributo 20 milioni di dollari al Caricom. Dal giungo 2014, i prezzi degli idrocarburi hanno sofferto una diminuzione del 60% in seguito a una strategia intrapresa dagli Stati uniti per inondare il mercato internazionale con il gas di scisto da loro prodotto. L’aumento smisurato del fracking (tecnica di estrazione del gas di scisto molto invasiva per l’ambiente) ha uno scopo politico: provocare la caduta dei prezzi e nello stesso tempo minare le economie dei paesi produttori di idrocarburi come l’Iran, la Russia e il Venezuela.Il riavvicinamento di Obama al Caricom ha avuto luogo giusto un mese dopo l’emanazione da parte del presidente statunitense del decreto che classifica il Venezuela come una minaccia in violazione del diritto internazionale, per questo i Caraibi hanno alzato la voce chiedendo rispetto:

“Gli accordi proposti dal governo del Venezuela attraverso Petrocaribe sono alcuni dei migliori esempi di cooperazione sud-sud e sono coerenti con lo scopo di questo Summit, la prosperità nell’equità” Ha dichiarato la prima Ministra jamaicana, Portia Simpson-Miller. Il presidente di Haiti Michel Martelly, ha sottolineato l’impatto sociale che ha avuto la creazione di Petrocaribe per la nazione delle Antille, e il resto della regione, poiché dal 2005 questo meccanismo ha investito 3944 milioni di dollari nella maggior parte in 432 programmi sociali: “questi programmi costituiscono un’assistenza inestimabile per il popolo di Haiti, con questo programma il mio governo ha potuto rispondere alle proprie priorità, senza di esso non saremmo riusciti a essere in condizioni per far fronte in maniera adeguata a certi bisogni essenziali”. Questo intervento è stato simile a quello del capo di Stato del Nicaragua, Daniel Ortega che ha segnalato “che gli accordi stabiliti nella regione “latino-americana” sono dei programmi sociali di complementarità e di commercio giusto”A nome del Caricom, la prima ministra di Trinidad e Tobago, Kamla Persad-Bissessar, ha chiesto al governo nord americano l’abrogazione del decreto imperialista contro il Venezuela: “ nel Caricom siamo solo paesi piccoli e indipendenti ma molto a favore della democrazia e dello Stato di diritto. Per questo crediamo profondamente nella sovranità delle nazioni e di conseguenza, noi siamo con voi presidente Maduro, per la vostra sovranità e per l’autodeterminazione e il diritto del vostro popolo a gestirsi come meglio crede”In questo contesto, il capo di Stato venezuelano Nicolas Maduro, ha riaffermato che Petrocaribe è una realtà, non è una promessa da marinaio, non è un progetto per dominare i paesi con il petrolio.“Petrocaribe è un progetto per liberare i popoli, è un progetto di solidarietà” ha sottolineato, evocando il fatto che dal 2005, i paesi che fanno parte di questo accordo hanno aumentato del 25% il loro PIL ed hanno anche aumentato il loro livello di distribuzione del reddito e di uguaglianza.

Un meccanismo indispensabile alla cooperazione

 In un’intervista recente a Telesur, il presidente di Petrocaribe, Bernardo Alvarez, ha sottolineato che l’alleanza energetica è un meccanismo indispensabile di cooperazione per lo sviluppo sociale dei popoli, screditando cosi i tentativi degli Stati uniti che cercano di creare istanze contrarie ad esso.Oggi più che mai è indispensabile che i paesi dei Caraibi abbiano un meccanismo di cooperazione come quello messo in piedi da Petrocaribe. Per questo quando vediamo tutta questa campagna fatta dagli Stati uniti per colpire Petrocaribe e il Venezuela una delle cose che risalta è che al posto di promuovere un processo di riavvicinamento per cooperare per il bene dei Caraibi, gli Stati uniti cercano di mettere in evidenza uno scenario di confronto politico energetico tra il Venezuela e gli U.s.a. Fa ridere il fatto che veniamo sempre invitati a partecipare a dei programmi alternativi a Petrocaribe senza che realmente se ne sviluppi uno.

La forza di Petrocaribe

Attualmente, Petrocaribe, garantisce il 40% del fabbisogno energetico dei suoi membri e conserva una media degli scambi di 100 000 barili.“Petrocaribe è profondamente umanista, un elemento di avvicinamento, di rispetto, di relazioni di ricerca di uno sviluppo comune sulla base dell’uguaglianza degli Stati, e della solidarietà fra i popoli” ha dichiarato il presidente Nicolas Maduro, durante il IX summit straordinario dei Capi di Stato e di governo facenti parte di Petrocaribe nel marzo scorso, a Caracas.

Nel quadro della sua politica di giustizia e di complementarità, Petrocaribe prevede il finanziamento, con delle condizioni favorevoli, della fornitura di petrolio di cui il 50% dei costi sono pagati in 90 giorni e il resto della somma spalmabile in un tempo che può arrivare anche a 25 anni.

In questa maniera,  durante gli ultimi 9 anni, il meccanismo di cooperazione ha fornito 301 milioni di barili, equivalente a 28272 milioni di dollari per garantire la sicurezza energetica dei paesi firmatari.

Questo accordo ha contribuito a rivendicare la sovranità della regione, è stato utile a promuovere l’uguaglianza, far diminuire gli indici di povertà e stimolare lo sviluppo delle fonti di energia alternative, cosa molta lontana dalla concezione coloniale di Washington e dei suoi alleati.

Al di là della cooperazione energetica con la quale è stato formato il blocco regionale, Petrocaribe ha approvato l’instaurazione di una zona economica incentrata sul campo dei trasporti e delle comunicazioni, sulla catena di produzione, sul turismo, sul commercio e sulla integrazione sociale e culturale.Inoltre Petrocaribe ignetterà 200 milioni di dollari nel Fondo d’Investimento Solidale Petrocaribe-Alba per lo sviluppo di molteplici progetti di approvvigionamento energetico complementare e comincerà un piano per combattere la povertà intitolato Hugo Chavez che sarà sviluppato anche con la Fao per promuovere dei miglioramenti nell’accesso dei popoli della regione agli alimenti.“Petrocaribe senza alcun dubbio, è stato il progetto che, nella storia dei Caraibi, ha provocato le più importanti trasformazioni positive nella vita economica e sociale dei nostri popoli, in una visione integrante, unitaria e profondamente umanista”, ha sottolineato il presidente Maduro durante quest’incontro a Caracas

Link in francese http://cubasifranceprovence.over-blog.com/2015/04/amerique-latine-les-pays-de-petrocaribe-reaffirment-leur-unite-face-aux-tentatives-de-division-des-etats-unis.htmlLink in spagnolo  http://www.avn.info.ve/contenido/pa%C3%ADses-petrocaribe-reafirman-su-uni%C3%B3n-frente-pretensiones-divisionistas-eeuu

La solidarietà in Movimento. Il secondo incontro della Rete Caracas ChiAma ospite dei centri sociali napoletani.

di Geraldina Colotti per CaracasChiAma

 

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Qualcosa si sta muovendo anche in Italia. La rivoluzione socialista bolivariana non è più una faccenda da addetti ai lavori, magari da guardare di sbieco. Qualcosa si sta muovendo: almeno in certe aree dei movimenti e della sinistra di alternativa, che iniziano a cogliere il vento nuovo proveniente dall’America latina. Certo, il disastro prodotto dalla fine del grande Novecento è di proporzioni immani. L’assenza di un pensiero forte in grado di guidare la ripresa del conflitto in una prospettiva di trasformazione radicale è pesante. La presenza di vecchi e nuovi pompieri, pronti a soffocare qualche promettente fiammella, resta ingombrante. L’incapacità di unificare strati sociali e soggetti frammentati è palese. Altrettanto evidente è l’incapacità di contrastare l’egemonia dei vincitori attingendo alla fucina del socialismo e ai suoi strumenti. Dall’Europa non c’è da aspettarsi una sponda forte in tempi brevi: non nel senso di un progetto antagonista al capitalismo come quello che ha sparigliato le carte del sistema negli anni ’70. Quel mondo non c’è più. Oltre a pompieri, poliziotti, complici o rifarditi, resta solo qualche ex rivoluzionario attempato a predicare al deserto di memoria e di pratiche incisive.

Eppure, qualcosa si sta muovendo.

Vogliamo partire da tre fatti non certo giganteschi, ma significanti.

In primo luogo, il convegno sull’Alba come modello per l’Europa. Un incontro organizzato dal movimento 5 Stelle in collaborazione con alcune realtà della sinistra di alternativa che, a differenza dei 5S, guardano al tema in una prospettiva marxista e lo considerano uno strumento di contrasto alla crisi sistemica del capitalismo. Un convegno che ha lasciato tracce, benché sia stato silenziato dai grandi media e abbia registrato la totale assenza di quelle aree della sinistra moderata che siedono sui banchi del parlamento e che si dicono critiche rispetto al partito di governo (il Partito democratico)

Vorremmo poi segnalare il secondo incontro di Caracas chiAma, la rete di sostegno alla rivoluzione socialista bolivariana, che si è tenuto a Napoli. Tre giorni di dibattito e conferenze, articolati intorno a tavoli tematici sui nodi del conflitto: dal lavoro, alla questione di genere, al potere e alla rappresentanza, a un nuovo internazionalismo. Punti e suggestioni che provengono dal “laboratorio” venezuelano in cui si sperimenta un felice incontro tra “vecchio” e “nuovo” e una dialettica feconda tra i vari filoni di pensiero che hanno attraversato la storia del Novecento. Grande partecipazione e anche la possibilità di constatare che il “modello bolivariano” è fonte di ispirazione fra alcuni sindaci più vicini alla democrazia partecipativa, com’è quello di Napoli, Luigi de Magistris.

L’iniziativa è stata organizzata e promossa da tre centri sociali occupati e autogestiti, che hanno dialogato, a partire da pratiche diverse, proprio raccogliendo lo stimolo proveniente dal Venezuela. All’ex Asilo Filangieri hanno parlato soprattutto le rappresentanze diplomatiche e istituzionali, spiegando il lungo cammino percorso dal Venezuela chavista. Alla Mensa occupata si sono articolati i tavoli tematici, introdotti da un’efficace relazione dell’ambasciatore. All’ex Opg occupato – un antico manicomio criminale poi chiuso e dismesso – si è svolta la giornata conclusiva. Non venivano forse considerati pazzi Bolivar e poi Chavez? Non sono forse considerati pazzi tutti i precursori, i rivoluzionari, che sfidano le armi del sistema e le sue convenzioni?napo1

La terza iniziativa è stata ralizzata domenica 19, giornata mondiale della solidarietà al Venezuela. In tanti si sono dati appuntamento a Montesacro, davanti al monumento di Bolivar, dov’è avvenuto lo storico giuramento del Libertador. Nel 2005, venendo in visita in Italia, Chavez vi ha tenuto un indimenticabile discorso e ha incontrato le organizzazioni popolari. Domenica, tutti gli interventi hanno evidenziato l’importanza del modello bolivariano per la ripresa del socialismo: un’alternativa all’oppressione e alla barbarie, non solo in America latina, ma in tutti gli angoli del pianeta. Un incontro partecipato e non rituale, anche frutto di una “diplomazia dal basso” poco convenzionale praticata dalle rappresentanze del Venezuela.

Qualcosa si muove anche in Italia, dicevamo. Ma in quale direzione? Cosa ci serve del laboratorio chavista e bolivariano? Il Venezuela è “una minaccia inusuale e straordinaria”, ha detto Obama spiegando il decreto che rende esecutive le sanzioni contro il governo Maduro. Un’affermazione ridicola, certo, come ha sottolineato la presidente argentina Cristina Kirchner durante il VII vertice delle Americhe a Panama. Il discorso della borghesia, però, riflette in modo capovolto la verità del socialismo e le sue ragioni. L’esempio del Venezuela è senz’altro una minaccia per gli interessi del capitalismo. Una minaccia “inusuale”, certo: perché Chavez è andato al potere scompaginando il teatrino asfittico dei giochi istituzionali. Perché quelli che non avevano mai contato niente hanno improvvisamente conquistato il centro della scena. Perché dal socialismo demonizzato è nata una nuova leva di rivoluzionari, meno dogmatici ma più incisivi. Una minaccia straordinaria, ha ragione Obama: perché in soli 15 anni, nel solco di Cuba e dei suoi grandi ideali, ha riconfigurato un continente e ha proiettato la sua aura benefica fino al centro del capitalismo. Una minaccia straordinaria perché, coniugando in modo originale le urne e la piazza, l’autodifesa dei quartieri e l’unione civico-militare ha prodotto una nuova alchimia tra conflitto e consenso che si alimenta della prospettiva rivoluzionaria e la alimenta. La partita che sta giocando il Venezuela è quella di demolire l’impalcatura del vecchio stato borghese, facendogli crescere all’interno un nuovo seme: quello delle comuni, dell’autogestione, di una nuova dialettica tra mutualismo e centralizzazione.

Una dinamica estranea a una sinistra che ha fatto mercato della storia, del conflitto e di quella “anomalia” che ne faceva un unicum potenzialmente gravido di nuove prospettive. Una “sinistra” che vota l’appello contro il Venezuela, promosso dal peggio delle destre latinoamericane, ma considera una minaccia l’esistenza del presidente operaio, Nicolas Maduro.

Eppure, qualcosa si muove. Anche nel cuore decomposto di questa vecchia Europa.

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La Cumbre de las Américas senza afros e indigeni

Traduzione di Raffaele Piras

Jesús Chucho García, ambasciatore afrovenezuelano in Angola

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Marcia indigena a Panama. (fonte: hondurastierralibre.com)

Nonostante la Cumbre de las Américas realizzata la settimana scorsa a Panamà sia stata una delle più straordinarie dal punto di vista politico, riflettendo l’inarrestabile processo di sovranità dei nostri paesi, è stata anche uno dei summit in cui i temi che riguardano cinquanta milioni di indigeni e centocinquanta milioni di afrodiscendenti sono stati totalmente omessi, trascurando parte delle grandi problematiche che toccano i nostri paesi.

Volando basso, sono stati semplicemente menzionati senza sottolineare gli assassini, dislocazioni forzate, razzismo e discriminazione di queste due componenti etniche che con le mani e intelligenza hanno costruito questo continente. La maggior parte dei presidenti ha ignorato che il canale di Panamá è stato costruito, perlopiù, da afrodiscendenti provenienti da quasi tutta la regione del continente.

Molti presidenti e la famosa Cumbre de los Pueblos hanno ignorato che è proprio lì che si consumò uno dei peggiori massacri di studenti, per la maggior parte afroamericani, quando nella decade dei ’60 osarono togliere la bandiera degli Stati Uniti per sostituirla con quella di Panamá come rivendicazione di sovranità panameña sul canale.

Nella strategia della cosiddetta Alianza para la Prosperidad del summit, non sono stati menzionati gli impatti ambientali negativi, provocati dalle corporazioni transnazionali nei corridoi strategici-ecologici, dal Chiapas all’Amazzonia, l’aumentare della voragine nell’Amazzonia brasiliana e i disastrosi effetti delle compagnie petrolifere in Ecuador.

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Lotta indigena in Colombia (fonte: es.comunicas.org)

Indigeni e afrodiscendenti in cifre

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Proteste Garifuna a Vallecito – Honduras (fonte: upsidedownworld.org)

Secondo l’UNICEF ‘’ In America Latina e Caraibi, oltre ai 40-50 milioni di indigeni, sono presenti 150 milioni di afrodiscendenti distribuiti per tutta la regione. Si stima che dei circa 200 milioni di indigeni e afros circa la metà siano bambini e adolescenti minori di 18 anni .’’. Più di cinque mila lingue indigene, così come le varianti creole dei Caraibi, la lingua Garifuna parlata in Centroamerica e Belice, la lingua palenquera e quelle afroreligiose, conferiscono una grande diversità culturale al nostro continente. Nel summit non è stato mostrato nemmeno un simbolo di queste culture ancestrali, se non per essere sminuite o folclorizzate.

Per l’UNICEF ‘’ La marginalità e l’esclusione sono stati convertiti in parte strutturale di queste popolazioni a partire dall’instaurazione del regime di conquista e di colonizzazione europeo del XV secolo, che cercava la manodopera per i lavori agricoli e di miniera che alimentavano le città. La schiavitù e i meccanismi per mantenerla in vita fanno parte dell’olocausto più grande che abbia sofferto l’umanità. Come frutto del razzismo e della discriminazione, questi popoli sono caratterizzati da più bassi livelli nutrizionali, minor copertura e qualità nei servizi educativi e un limitato o inesistente accesso ad altri servizi basilari come quello sanitario, quello dell’acqua, e quello della protezione rispetto al resto della popolazione creolo-meticcia.’’.

Decennio Afrodiscendente

Ci troviamo nel contesto del Decenio de los Pueblos Afrodescendientes (2015/2024), in cui i paesi si sono compromessi nell’implementare un piano d’azione, che è però sabotato da parte di quei paesi che hanno partecipato al terribile commercio di africani e del lavoro forzato di milioni di uomini, donne e bambini per la ‘’prosperità coloniale e neocoloniale’’ delle grandi borghesie, che in qualche maniera contribuiscono tutt’oggi a mantenere in vita forme di potere neocoloniale in molti dei nostri paesi. È necessario innanzitutto che i paesi che nel summit hanno avuto il coraggio di esigere autonomia, sovranità e dignità, esigano anche l’inclusione dei ‘’condannati della terra ’’ che per secoli hanno sofferto discriminazione e violenza etnica. Gli ultradifensori dei diritti umani che hanno attaccato il Venezuela, come l’ossessivo ex presidente messicano Felipe Calderón o l’ex presidente colombiano Andrés Pastrana, non hanno detto assolutamente niente sui massacri di indigeni e afros nei loro rispettivi paesi, evidenziando la struttura mentale razzista e discriminatoria. L’auspicio è che nel summit della CELAC in Ecuador si conformi il comitato dei popoli afrodiscendenti per cominciare a saldare questo debito storico.

Fonte :
http://alainet.org/es/articulo/169034

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Manifestazione Mapuche in Cile. (Fonte: mapuche-nation.org)

Obama incontra il presidente del Venezuela parallelamente al Summit

Per il mercoledì Narrazioni tossiche: sabato 11 Aprile, sulle maggiori testate nazionali, Associated Press ci presenta un Maduro remissivo e in difficoltà, alle prese con un Obama concreto e protagonista nella salvaguardia, e nella diffusione, dei valori democratici.

 

President Obama indicated our strong support for a peaceful dialogue between the parties within Venezuela,” said Bernadette Meehan, a spokeswoman for the White House’s National Security Council. “He reiterated that our interest is not in threatening Venezuela, but in supporting democracy, stability and prosperity in Venezuela and the region.

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Sabato il presidente Barack Obama ha incontrato privatamente il suo omologo venezuelano, in mezzo all’aspra disputa fra le due nazioni dopo le recenti sanzioni Usa sui sette funzionari venezuelani.

L’incontro tra Obama ed il presidente Nicolas Maduro ha avuto luogo parallelamente al Summit delle Americhe e, secondi fonti della Casa Bianca, non autorizzate però ha rilasciare un commento ufficiale, è durato solo pochi minuti.

Lo scontro è avvenuto dopo che l’amministrazione Obama ha dichiarato che la crisi economica e politica in Venezuela è una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti, e il congelamento dei beni nel paese di sette funzionari, accusati di violazione dei diritti umani nelle proteste antigovernative dello scorso anno in Venezuela.

Maduro e gran parte dell’America Latina hanno condannato l’azione come un ritorno ai tempi della Guerra Fredda, azione che aumenta solo la tensione in un Venezuela profondamente diviso, in cui l’opposizione chiede le dimissioni di Maduro.

“Il presidente Obama ha indicato il nostro forte supporto per un dialogo pacifico fra la parti in Venezuela”, ha detto Bernadette Meehan, portavoce per il Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca. “Ha ripetuto che il nostro interesse non è intimidire il Venezuela, ma supportare la democrazia, la stabilità e la prosperità in Venezuela e nel resto della regione.”

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In seguito Maduro ha descritto l’incontro come franco e cordiale, dicendo che i dieci minuti di consultazione possono aprire la strada per un significativo dialogo fra le due nazioni nei prossimi giorni.

 “Gli ho detto che non siamo nemici degli Stati Uniti” ha dichiarato Maduro. “Ci siamo detti vicendevolmente la verità.”

Obama non ha menzionato il confronto nelle osservazioni alla conclusione del summit.

Ma durante un intervento, Obama ha difeso il diritto della sua amministrazione di criticare linee politiche con cui non si trova d’accordo.

“Quando parliamo apertamente di qualcosa come i diritti umani, non è perché pensiamo di essere perfetti, ma perché riteniamo che il concetto di non imprigionare persone se non sono d’accordo con te, sia quello giusto” ha detto hai leader regionali, senza menzionare direttamente il Venezuela.

Articolo originale:
http://www.nytimes.com/aponline/2015/04/11/world/americas/ap-americas-summit-obama-maduro.html

Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana: Napoli risponde! Dichiarazione di Napoli della Rete “Caracas ChiAma”!

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Si è tenuto a Napoli, nei giorni 10, 11 e 12 Aprile 2015, il Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Socialista Bolivariana, convocato dalla rete italiana di solidarietà “Caracas ChiAma”. L’incontro si è svolto in un momento storico molto delicato per il Venezuela Bolivariano, oggi più che mai sotto la costante minaccia dell’imperialismo statunitense, che vede nel socialismo del XXI secolo la più grande minaccia ai propri interessi e al proprio disegno di dominio mondiale.

L’incontro condanna nella maniera più ferma e categorica l’emanazione del decreto della Casa Bianca nel quale il Venezuela è definito una “minaccia” alla sicurezza nazionale USA e condanna altresì le provocazioni ordite dall’imperialismo, nell’ambito della VII Cumbre de las Americas, Panama 2015, contro le delegazioni rivoluzionarie cubana e venezuelana.

Il Venezuela non è una minaccia, ma una speranza. Il Venezuela oggi mantiene aperta una prospettiva e ridefinisce un orizzonte, fondato su una forte rimessa in questione dei rapporti di proprietà e sul capovolgimento della subalternità economica alle grandi istituzioni internazionali.

Ci uniamo alla campagna internazionale “Il Venezuela non è una minaccia. Siamo una speranza.
#ObamaDerogaElDecretoYa”.

L’incontro ha rappresentato concretamente una manifestazione di solidarietà di ritorno, perché ha testimoniato che il modo migliore di appoggiare e di sostenere il decisivo processo rivoluzionario in Venezuela è quello di approfondire, sviluppare e costruire un processo rivoluzionario, orientato al socialismo, anche nel nostro Paese.

L’incontro ha visto la rilevante partecipazione di reti, organizzazioni sociali e culturali, associazioni, partiti, collettivi e comitati, ospitati da alcune tra le realtà che, in questo momento, a Napoli, ma non solo, rappresentano nella pratica la possibilità di costruire un mondo migliore, una alternativa di società e di sistema, che superi l’alienazione e combatta lo sfruttamento in tutte le sue forme: in particolare, l’ex Asilo Filangieri, la Mensa Occupata, l’ex OPG “Je so’ pazzo” e GAlleЯi@rt.

I temi centrali intorno ai quali si è sviluppato il nostro confronto e la nostra elaborazione sono:

  1. la minaccia dell’imperialismo
  2. il potere popolare e la rappresentanza
  3. la guerra economica e la disinformazione imperialista
  4. i nuovi modelli di integrazione regionale
  5. la formazione politica e ideologica e i diritti del lavoro
  6. questione di genere e questione di classe, le identità sessuali come scelta e non come destino
  7. giovani, sport e tempo libero
  8. eco-socialismo come alternativa sistemica al capitalismo e alle sue guerre

Integrando la riflessione e le proposte sviluppate dai singoli tavoli di lavoro, l’incontro italiano di solidarietà, continua la sua battaglia affinché:

  1. cessino le azioni ostili del governo USA contro il Venezuela
  2. si deroghi il decreto che dichiara il Venezuela una “minaccia”
  3. vengano sospese le ingiuriose sanzioni contro i funzionari venezuelani
  4. si ponga fine immediatamente al blocco economico, commerciale e finanziario e alle continue provocazioni contro Cuba socialista
  5. si chiudano tutte le basi militari USA e NATO in America Latina e nel mondo, nonché il vergognoso lager di Guantánamo e tutte le “Guantánamo” presenti in Italia
  6. si realizzi l’indipendenza di Puerto Rico
  7. sia fatta luce e giustizia per i Nostri compagni e compagne studenti “normalistas” di Ayotzinapa,
  8. si concretizzi l’immediata cessazione delle guerre e delle ingerenze imperialiste ovunque nel mondo.

La rete di solidarietà si impegna a:

  • consolidare ed estendere in tutte le città la rete di solidarietà con la rivoluzione bolivariana,
  • sviluppare e approfondire la relazione con i Paesi ed i popoli dell’ALBA – TCP,
  • combattere, tempestivamente ed efficacemente, la guerra mediatica e psicologica contro la rivoluzione bolivariana e a sostegno dei processi di emancipazione e pace con giustizia sociale.

“¡Todo 11 tiene su 13!”, dicevano i compagni e le compagne venezuelani dopo aver sconfitto il colpo di stato dell’11 aprile 2002.

Questo incontro rende omaggio al potere e alla partecipazione popolare, al protagonismo delle masse, all’unione civico-militare quale pilastro fondamentale della rivoluzione bolivariana, che nel 2002 ha sconfitto il golpe delle oligarchie venezuelane al soldo dell’imperialismo yankee e ha ri-installato al potere, con la mobilitazione delle masse, il presidente costituzionale Hugo Rafael Chávez Frías.

Oggi come ieri il potere e la mobilitazione popolare, di tutti i popoli lavoratori in lotta per il socialismo, sapranno respingere le trame reazionarie della borghesia e i tentativi di golpe foraggiati dall’imperialismo.

Da questo momento è aperta la convocazione del Terzo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana per il quale si è proposta Ravenna per Ottobre 2015.

Napoli, 12 aprile 2015

Rete di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana
“Caracas ChiAma” – Italia

L’Impero all’attacco. Venezuela e Cuba si ritirano dal foro della Società Civile a Panama.

Traduzione: Caracas ChiAma

 

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Il deputato cubano Luis Morlote ha segnalato che alcuni partecipanti al foro “non rappresentano la società civile di Cuba” e sono amici di terroristi. La delegazione cubana si è ritirata questo mercoledì dalla sessione plenaria del Foro della Società Civile e Agenti Sociali, che si realizza dentro la cornice del VII Vertice delle Americhe, poiché rifiutava alcuni partecipanti “che non rappresentano la società civile di Cuba e tra cui ci sono alcuni che vantano amicizie con terroristi” (ndt. La delegazione cubana aveva denunciato la presenza in sala dell’assassino del Che Guevara) . Per solidarietà con Cuba, anche la delegazione venezuelana si è ritirata dalla sessione. Lo stesso deputato cubano ha dichiarato che “i rappresentanti della vera società civile hanno lasciato il foro perché non hanno intenzione di condividere lo spazio con rappresentanti di una supposta società civile, che non è la nostra, che sta sotto soldo”. Dopo l’uscita, Morlote ha spiegato che già avevano sollecitato gli organizzatori a mandare via dalla sala questi individui. “Non possiamo stare nello stesso spazio… non è possibile che ci siano mercenari che si autonominano come rappresentanti della società civile. È inammissibile” ha aggiunto il deputato cubano. Tuttavia, ha dichiarato che rimane l’intenzione di partecipare ai tavoli di dialogo al foro, che inizieranno il 10 aprile. Inoltre, la delegazione cubana ha denunciato di non aver ricevuto le apposite credenziali per assistere all’evento, e quindi di aver dovuto usare i passaporti per assistere alla sessione.

IL CONTESTO:
Questo mercoledì, si sono realizzati due delle sessioni che occupano il dibattito tecnico previo al Vertice delle Americhe: quello della Società Civile e degli Agenti Sociali (8, 9, 10 aprile) e quello della Gioventù (8 e 9 di aprile). In entrambi gli spazi si sono riuniti principalmente rappresentanti di estrema destra, opposti alle politiche progressiste di America Latina e Caraibi. Almeno 20 controrivoluzionari cubani hanno le credenziali per partecipare al Foro della Società Civile, non si scarta nemmeno la partecipazione di ONG che rifiutano le politiche di Cuba, e che godono di finanziamento internazionale.

 

Fonte: Telesur
http://www.telesurtv.net/news/Venezuela-y-Cuba-se-retiran-de-Foro-de-Sociedad-Civil-en-Panama-20150408-0045.html

Raccolta Firme: IL VENEZUELA NON É UNA MINACCIA, SIAMO UNA SPERANZA

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Popolo del Venezuela, popoli fraterni del mondo, il Venezuela è stato ingiustamente aggredito.
Il passato 9 marzo, il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha sottoscritto un Decreto Esecutivo dichiarando la Patria di Bolívar una minaccia per la sicurezza nazionale statunitense.
Questo tipo di dichiarazioni, come dimostra la Storia, hanno avuto funeste conseguenze sul nostro continente e in tutto il pianeta.
Davanti a questa nuova aggressione, alziamo le bandiere della legalità internazionale, e sosteniamo la giustizia e l’unione dei nostri popoli.
Il Venezuela sa che non è solo. Il 14 marzo scorso, l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) ha emesso un comunicato storico, che segna l’inizio della costruzione di una dottrina in rifiuto del tentativo unilaterale di applicare sanzioni o minacciare i paesi con l’uso della forza politica, finanziaria o militare.
Come Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ho inviato una lettera al popolo degli Stati Uniti e al Presidente Obama, esponendo le verità sul Venezuela, denunciando l’aggressione ed esigendo, in nome dell’immensa moralità del popolo di Bolívar, che venga derogato il Decreto presidenziale che minaccia la nostra patria.

Vi invito a sottoscrivere questa lettera in appoggio al comunicato dell’UNASUR che rifiuta il Decreto esecutivo di Barack Obama e ne esige l’abrogazione.

Siamo un popolo di pace e difenderemo la pace in piedi, con dignità e con giustizia.
La nostra vittoria sarà sempre la pace!

firmaMaduro

Scarica i moduli per la raccolta firme:
Formato recolleccion de firmas campaña obama deroga el decreto ya

 

In pericolo a casa: stelle venezuelane dell’MLB fuggono dal paese

Per le Narrazioni tossiche: Jorge L.Ortiz, articolo apparso su Usa Today (unico quotidiano a tiratura nazionale) il 24 marzo 2015. Negli Stati Uniti il baseball è lo sport più seguito in assoluto, davanti al football e al basket: quale miglior occasione dunque, per screditare le politiche bolivariane, se non quella di intervistare professionisti più-che-benestanti in ritirata dal presunto regime socialista?

Uncomfortable with the rampant crime in the country with the second-highest homicide rate in the world last year, Montero renewed his passport in his native Caracas and hurried back to the USA, feeling terrible for the family members and countrymen he left behind.

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Wilson Ramos, vittima di rapitori tre anni fa, dice che sta ora valutando di lasciare definitivamente il Venezuela. (Foto: Reinhold Matay, USA TODAY Sport)

Il ricevitore dei Chicago Cubs Miguel Montero, stabilitosi a Phoenix sin dal 2007, è tornato la scorsa estate in Venezuela, dove vivono la maggior parte dei suoi parenti.

Ci è rimasto cinque giorni.

A disagio col dilagare del crimine nel paese con il secondo tasso di omicidi più alto del mondo nel 2014, Montero ha rinnovato il passaporto nella città che gli ha dato i natali, Caracas, ed è corso indietro negli Stati Uniti, in angoscia per i membri della famiglia e per i connazionali lasciati nel paese.

Andrei dal posto dove stavo cercando ti avere il mio passaporto e tornerei indietro. Solo questo,” ha detto Montero. “Uno vuole andare nel suo paese per rilassarsi e stare bene, non per essere sparato dentro casa perché si ha paura di uscire… Ci sono problemi di sicurezza in tutto il mondo, ma uno guarda le notizie sul Venezuela e ci sono più omicidi che in Afghanistan.”

Montero, che ha due figli e chiederà la cittadinanza statunitense quest’anno, è salito alla ribalta per quella che è diventata un’ondata di giocatori venezuelani trasferitisi con la famiglia negli Usa, principalmente per motivi di sicurezza.

Felix Hernandez, Miguel Cabrera, Carlos Gonzales e Victor Martinez sono alcuni dei più famosi venezuelani che hanno stabilito radici negli Stati Uniti, ma non sono soltanto le star che stanno cambiando casa. Gregor Blanco e Guillermo Quiroz, compagni di squadra nei San Francisco Giants, si sono trasferiti a Miami, destinazione favorita per gli espatriati.

L’esterno dei Chicago White Sox Avisail Garcia e Alex Torreas e Yangervis Solarte, compagni nei San Diego Padres, sono fra quelli che stanno chiedendo la residenza permanente.

Nel bel mezzo di questa migrazione, tensioni continuano a crescere fra il governo socialista venezuelano del presidente Nicolas Maduro e gli Stati Uniti.

A dicembre, il governo statunitense ha ufficialmente giudicato la situazione in Venezuela, dove la repressione delle proteste anti-governative ha causato più di 40 vittime lo scorso anno, un’emergenza nazionale. Maduro ha risposto definendo questa dichiarazione “un atto di aggressione”.

All’inizio del mese il presidente Obama ha emanato un ordine esecutivo sanzionando sette funzionari venezuelani, considerati responsabili per il giro di vite. Da parte sua, Maduro ha ordinato la riduzione dello staff dell’ambasciata Usa in Venezuela da 100 membri fino a 17, e ha annunciato che i cittadini americani adesso dovrebbero richiedere il visto per entrare nel paese sudamericano.

Mentre i giocatori di baseball tendono a stare lontano dalla politica, molti venezuelani della Major League dicono che la combinazione di problemi di sicurezza ed emergenza economica nel paese – il tasso d’inflazione ha sorpassato il 60% – ha suggerito loro di cercare un futuro per la propria famiglia da qualche altra parte.

Non ho mai pensato di trasferirmi qui per vivere,” ha detto Blanco, il quale ha un figlio di 4 anni con sua moglie e un altro di 9 anni avuto da una precedente relazione. “Gli Stati Uniti sono un bellissimo paese con un sacco di ottime cose, ma è dura trasferirsi dal proprio paese in un altro. Sei abituato alle tue tradizioni, alla tua patria, alla tua gente. Tutto è cambiato da un giorno all’altro quando ho realizzato – Wow, devo fare attenzione alla sicurezza dei miei figli. – Per questo ho preso quella decisione.”

Decisione confermata quando Blanco ha passato tre settimane in estate a Los Valley del Tuy, il sobborgo dove è cresciuto fuori Caracas. Blanco lo ricordava come piacevole e tranquillo. Non lo è più.

Carenza di cibo e di beni primari come carta igienica, pannolini e medicine rendono la vita difficile. Blanco ha provato per cinque anni a costruire una casa per il ritorno, ma non ha potuto trovare elettrodomestici da comprare.

Peggio ancora, una sensazione di illegalità ha permeato la zona.

Sei sempre spaventato che qualcosa di brutta possa accadere,” ha detto Blanco. “Quando sei addormentato, ogni rumore ti fa pensare alle peggiori conseguenze. E’ dura vivere con questo stress tutti i giorni.”

Fonte:
http://www.usatoday.com/story/sports/mlb/2015/03/24/mlb-venezuelan-players-unrest/70373988/

pablolopez