Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana: Napoli risponde! Dichiarazione di Napoli della Rete “Caracas ChiAma”!

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Si è tenuto a Napoli, nei giorni 10, 11 e 12 Aprile 2015, il Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Socialista Bolivariana, convocato dalla rete italiana di solidarietà “Caracas ChiAma”. L’incontro si è svolto in un momento storico molto delicato per il Venezuela Bolivariano, oggi più che mai sotto la costante minaccia dell’imperialismo statunitense, che vede nel socialismo del XXI secolo la più grande minaccia ai propri interessi e al proprio disegno di dominio mondiale.

L’incontro condanna nella maniera più ferma e categorica l’emanazione del decreto della Casa Bianca nel quale il Venezuela è definito una “minaccia” alla sicurezza nazionale USA e condanna altresì le provocazioni ordite dall’imperialismo, nell’ambito della VII Cumbre de las Americas, Panama 2015, contro le delegazioni rivoluzionarie cubana e venezuelana.

Il Venezuela non è una minaccia, ma una speranza. Il Venezuela oggi mantiene aperta una prospettiva e ridefinisce un orizzonte, fondato su una forte rimessa in questione dei rapporti di proprietà e sul capovolgimento della subalternità economica alle grandi istituzioni internazionali.

Ci uniamo alla campagna internazionale “Il Venezuela non è una minaccia. Siamo una speranza.
#ObamaDerogaElDecretoYa”.

L’incontro ha rappresentato concretamente una manifestazione di solidarietà di ritorno, perché ha testimoniato che il modo migliore di appoggiare e di sostenere il decisivo processo rivoluzionario in Venezuela è quello di approfondire, sviluppare e costruire un processo rivoluzionario, orientato al socialismo, anche nel nostro Paese.

L’incontro ha visto la rilevante partecipazione di reti, organizzazioni sociali e culturali, associazioni, partiti, collettivi e comitati, ospitati da alcune tra le realtà che, in questo momento, a Napoli, ma non solo, rappresentano nella pratica la possibilità di costruire un mondo migliore, una alternativa di società e di sistema, che superi l’alienazione e combatta lo sfruttamento in tutte le sue forme: in particolare, l’ex Asilo Filangieri, la Mensa Occupata, l’ex OPG “Je so’ pazzo” e GAlleЯi@rt.

I temi centrali intorno ai quali si è sviluppato il nostro confronto e la nostra elaborazione sono:

  1. la minaccia dell’imperialismo
  2. il potere popolare e la rappresentanza
  3. la guerra economica e la disinformazione imperialista
  4. i nuovi modelli di integrazione regionale
  5. la formazione politica e ideologica e i diritti del lavoro
  6. questione di genere e questione di classe, le identità sessuali come scelta e non come destino
  7. giovani, sport e tempo libero
  8. eco-socialismo come alternativa sistemica al capitalismo e alle sue guerre

Integrando la riflessione e le proposte sviluppate dai singoli tavoli di lavoro, l’incontro italiano di solidarietà, continua la sua battaglia affinché:

  1. cessino le azioni ostili del governo USA contro il Venezuela
  2. si deroghi il decreto che dichiara il Venezuela una “minaccia”
  3. vengano sospese le ingiuriose sanzioni contro i funzionari venezuelani
  4. si ponga fine immediatamente al blocco economico, commerciale e finanziario e alle continue provocazioni contro Cuba socialista
  5. si chiudano tutte le basi militari USA e NATO in America Latina e nel mondo, nonché il vergognoso lager di Guantánamo e tutte le “Guantánamo” presenti in Italia
  6. si realizzi l’indipendenza di Puerto Rico
  7. sia fatta luce e giustizia per i Nostri compagni e compagne studenti “normalistas” di Ayotzinapa,
  8. si concretizzi l’immediata cessazione delle guerre e delle ingerenze imperialiste ovunque nel mondo.

La rete di solidarietà si impegna a:

  • consolidare ed estendere in tutte le città la rete di solidarietà con la rivoluzione bolivariana,
  • sviluppare e approfondire la relazione con i Paesi ed i popoli dell’ALBA – TCP,
  • combattere, tempestivamente ed efficacemente, la guerra mediatica e psicologica contro la rivoluzione bolivariana e a sostegno dei processi di emancipazione e pace con giustizia sociale.

“¡Todo 11 tiene su 13!”, dicevano i compagni e le compagne venezuelani dopo aver sconfitto il colpo di stato dell’11 aprile 2002.

Questo incontro rende omaggio al potere e alla partecipazione popolare, al protagonismo delle masse, all’unione civico-militare quale pilastro fondamentale della rivoluzione bolivariana, che nel 2002 ha sconfitto il golpe delle oligarchie venezuelane al soldo dell’imperialismo yankee e ha ri-installato al potere, con la mobilitazione delle masse, il presidente costituzionale Hugo Rafael Chávez Frías.

Oggi come ieri il potere e la mobilitazione popolare, di tutti i popoli lavoratori in lotta per il socialismo, sapranno respingere le trame reazionarie della borghesia e i tentativi di golpe foraggiati dall’imperialismo.

Da questo momento è aperta la convocazione del Terzo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana per il quale si è proposta Ravenna per Ottobre 2015.

Napoli, 12 aprile 2015

Rete di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana
“Caracas ChiAma” – Italia

L’Impero all’attacco. Venezuela e Cuba si ritirano dal foro della Società Civile a Panama.

Traduzione: Caracas ChiAma

 

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Il deputato cubano Luis Morlote ha segnalato che alcuni partecipanti al foro “non rappresentano la società civile di Cuba” e sono amici di terroristi. La delegazione cubana si è ritirata questo mercoledì dalla sessione plenaria del Foro della Società Civile e Agenti Sociali, che si realizza dentro la cornice del VII Vertice delle Americhe, poiché rifiutava alcuni partecipanti “che non rappresentano la società civile di Cuba e tra cui ci sono alcuni che vantano amicizie con terroristi” (ndt. La delegazione cubana aveva denunciato la presenza in sala dell’assassino del Che Guevara) . Per solidarietà con Cuba, anche la delegazione venezuelana si è ritirata dalla sessione. Lo stesso deputato cubano ha dichiarato che “i rappresentanti della vera società civile hanno lasciato il foro perché non hanno intenzione di condividere lo spazio con rappresentanti di una supposta società civile, che non è la nostra, che sta sotto soldo”. Dopo l’uscita, Morlote ha spiegato che già avevano sollecitato gli organizzatori a mandare via dalla sala questi individui. “Non possiamo stare nello stesso spazio… non è possibile che ci siano mercenari che si autonominano come rappresentanti della società civile. È inammissibile” ha aggiunto il deputato cubano. Tuttavia, ha dichiarato che rimane l’intenzione di partecipare ai tavoli di dialogo al foro, che inizieranno il 10 aprile. Inoltre, la delegazione cubana ha denunciato di non aver ricevuto le apposite credenziali per assistere all’evento, e quindi di aver dovuto usare i passaporti per assistere alla sessione.

IL CONTESTO:
Questo mercoledì, si sono realizzati due delle sessioni che occupano il dibattito tecnico previo al Vertice delle Americhe: quello della Società Civile e degli Agenti Sociali (8, 9, 10 aprile) e quello della Gioventù (8 e 9 di aprile). In entrambi gli spazi si sono riuniti principalmente rappresentanti di estrema destra, opposti alle politiche progressiste di America Latina e Caraibi. Almeno 20 controrivoluzionari cubani hanno le credenziali per partecipare al Foro della Società Civile, non si scarta nemmeno la partecipazione di ONG che rifiutano le politiche di Cuba, e che godono di finanziamento internazionale.

 

Fonte: Telesur
http://www.telesurtv.net/news/Venezuela-y-Cuba-se-retiran-de-Foro-de-Sociedad-Civil-en-Panama-20150408-0045.html

Raccolta Firme: IL VENEZUELA NON É UNA MINACCIA, SIAMO UNA SPERANZA

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Popolo del Venezuela, popoli fraterni del mondo, il Venezuela è stato ingiustamente aggredito.
Il passato 9 marzo, il Presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha sottoscritto un Decreto Esecutivo dichiarando la Patria di Bolívar una minaccia per la sicurezza nazionale statunitense.
Questo tipo di dichiarazioni, come dimostra la Storia, hanno avuto funeste conseguenze sul nostro continente e in tutto il pianeta.
Davanti a questa nuova aggressione, alziamo le bandiere della legalità internazionale, e sosteniamo la giustizia e l’unione dei nostri popoli.
Il Venezuela sa che non è solo. Il 14 marzo scorso, l’Unione delle Nazioni Sudamericane (UNASUR) ha emesso un comunicato storico, che segna l’inizio della costruzione di una dottrina in rifiuto del tentativo unilaterale di applicare sanzioni o minacciare i paesi con l’uso della forza politica, finanziaria o militare.
Come Presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, ho inviato una lettera al popolo degli Stati Uniti e al Presidente Obama, esponendo le verità sul Venezuela, denunciando l’aggressione ed esigendo, in nome dell’immensa moralità del popolo di Bolívar, che venga derogato il Decreto presidenziale che minaccia la nostra patria.

Vi invito a sottoscrivere questa lettera in appoggio al comunicato dell’UNASUR che rifiuta il Decreto esecutivo di Barack Obama e ne esige l’abrogazione.

Siamo un popolo di pace e difenderemo la pace in piedi, con dignità e con giustizia.
La nostra vittoria sarà sempre la pace!

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Scarica i moduli per la raccolta firme:
Formato recolleccion de firmas campaña obama deroga el decreto ya

 

In pericolo a casa: stelle venezuelane dell’MLB fuggono dal paese

Per le Narrazioni tossiche: Jorge L.Ortiz, articolo apparso su Usa Today (unico quotidiano a tiratura nazionale) il 24 marzo 2015. Negli Stati Uniti il baseball è lo sport più seguito in assoluto, davanti al football e al basket: quale miglior occasione dunque, per screditare le politiche bolivariane, se non quella di intervistare professionisti più-che-benestanti in ritirata dal presunto regime socialista?

Uncomfortable with the rampant crime in the country with the second-highest homicide rate in the world last year, Montero renewed his passport in his native Caracas and hurried back to the USA, feeling terrible for the family members and countrymen he left behind.

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Wilson Ramos, vittima di rapitori tre anni fa, dice che sta ora valutando di lasciare definitivamente il Venezuela. (Foto: Reinhold Matay, USA TODAY Sport)

Il ricevitore dei Chicago Cubs Miguel Montero, stabilitosi a Phoenix sin dal 2007, è tornato la scorsa estate in Venezuela, dove vivono la maggior parte dei suoi parenti.

Ci è rimasto cinque giorni.

A disagio col dilagare del crimine nel paese con il secondo tasso di omicidi più alto del mondo nel 2014, Montero ha rinnovato il passaporto nella città che gli ha dato i natali, Caracas, ed è corso indietro negli Stati Uniti, in angoscia per i membri della famiglia e per i connazionali lasciati nel paese.

Andrei dal posto dove stavo cercando ti avere il mio passaporto e tornerei indietro. Solo questo,” ha detto Montero. “Uno vuole andare nel suo paese per rilassarsi e stare bene, non per essere sparato dentro casa perché si ha paura di uscire… Ci sono problemi di sicurezza in tutto il mondo, ma uno guarda le notizie sul Venezuela e ci sono più omicidi che in Afghanistan.”

Montero, che ha due figli e chiederà la cittadinanza statunitense quest’anno, è salito alla ribalta per quella che è diventata un’ondata di giocatori venezuelani trasferitisi con la famiglia negli Usa, principalmente per motivi di sicurezza.

Felix Hernandez, Miguel Cabrera, Carlos Gonzales e Victor Martinez sono alcuni dei più famosi venezuelani che hanno stabilito radici negli Stati Uniti, ma non sono soltanto le star che stanno cambiando casa. Gregor Blanco e Guillermo Quiroz, compagni di squadra nei San Francisco Giants, si sono trasferiti a Miami, destinazione favorita per gli espatriati.

L’esterno dei Chicago White Sox Avisail Garcia e Alex Torreas e Yangervis Solarte, compagni nei San Diego Padres, sono fra quelli che stanno chiedendo la residenza permanente.

Nel bel mezzo di questa migrazione, tensioni continuano a crescere fra il governo socialista venezuelano del presidente Nicolas Maduro e gli Stati Uniti.

A dicembre, il governo statunitense ha ufficialmente giudicato la situazione in Venezuela, dove la repressione delle proteste anti-governative ha causato più di 40 vittime lo scorso anno, un’emergenza nazionale. Maduro ha risposto definendo questa dichiarazione “un atto di aggressione”.

All’inizio del mese il presidente Obama ha emanato un ordine esecutivo sanzionando sette funzionari venezuelani, considerati responsabili per il giro di vite. Da parte sua, Maduro ha ordinato la riduzione dello staff dell’ambasciata Usa in Venezuela da 100 membri fino a 17, e ha annunciato che i cittadini americani adesso dovrebbero richiedere il visto per entrare nel paese sudamericano.

Mentre i giocatori di baseball tendono a stare lontano dalla politica, molti venezuelani della Major League dicono che la combinazione di problemi di sicurezza ed emergenza economica nel paese – il tasso d’inflazione ha sorpassato il 60% – ha suggerito loro di cercare un futuro per la propria famiglia da qualche altra parte.

Non ho mai pensato di trasferirmi qui per vivere,” ha detto Blanco, il quale ha un figlio di 4 anni con sua moglie e un altro di 9 anni avuto da una precedente relazione. “Gli Stati Uniti sono un bellissimo paese con un sacco di ottime cose, ma è dura trasferirsi dal proprio paese in un altro. Sei abituato alle tue tradizioni, alla tua patria, alla tua gente. Tutto è cambiato da un giorno all’altro quando ho realizzato – Wow, devo fare attenzione alla sicurezza dei miei figli. – Per questo ho preso quella decisione.”

Decisione confermata quando Blanco ha passato tre settimane in estate a Los Valley del Tuy, il sobborgo dove è cresciuto fuori Caracas. Blanco lo ricordava come piacevole e tranquillo. Non lo è più.

Carenza di cibo e di beni primari come carta igienica, pannolini e medicine rendono la vita difficile. Blanco ha provato per cinque anni a costruire una casa per il ritorno, ma non ha potuto trovare elettrodomestici da comprare.

Peggio ancora, una sensazione di illegalità ha permeato la zona.

Sei sempre spaventato che qualcosa di brutta possa accadere,” ha detto Blanco. “Quando sei addormentato, ogni rumore ti fa pensare alle peggiori conseguenze. E’ dura vivere con questo stress tutti i giorni.”

Fonte:
http://www.usatoday.com/story/sports/mlb/2015/03/24/mlb-venezuelan-players-unrest/70373988/

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Venezuela: mille tamburi contro i media, marcia per l’anniversario dell’abolizione della schiavitù

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In Brasile, un militante del movimento dei contadini senza terra che firma la petizione; insieme ad altri mille manifestava la sua solidarietà.

Traduzione di Lorenzo Mastropasqua

Raramente un presidente statunitense ha coagulato una tale unanimità contro di lui.

Dopo l’Unasur che rappresenta 12 governi sudamericani, la Celac che raggruppa i 33 stati dell’America latina e dei caraibi, l’Alba, PetroCarive, i 134 membri del G77 + la Cina.. Insomma tutto il sud del pianeta ha rigettato il decreto di Obama perchè «viola il diritto internazionale, la sovranità e l’indipendenza politica del Venezuela».

In tutto il mondo, dei movimenti sociali sostengono l’appello che, in Venezuela ha già raccolto 5 milioni di firme.

 

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In Ecuador, il presidente Rafael Correa si unisce alla campagna.

 

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Firmatari dell’appello in Nicaragua.

 

Parallelemente a questa mobilitazione nazionale, sembra che il lavoro sottotraccia intrapreso dal governo Maduro per contrastare la guerra economica incomici a dare i suoi frutti. Uno studio intrapreso dal privato Hinterkaces (realizzato dal 14 al 18 marzo su una base di 1200 interviste effettuate su tutto il territorio) rivela che il 65% della popolazione si dice «ottimista», ben 4 punti in più rispetto a gennaio 2015, contro i 34% di «pessimisti (38% a gennaio).

IL 24 marzo scorso abbiamo festeggiato il 161esimo anniversario dell’abolizione della schiavitù, decisa dal presidente Josè Gregorio Monagas, sulla scia dei decreti di Simon Bolivar. Una politica che ha valso a quest’ultimo di essere tacciato dai giornali delle grandi piantagioni schiaviste del sud degli Stati uniti e degli oligarchi latino americani come «Cesare assetato di potere». Ai giorni nostri, è organizzando una «marcia di mille tamburi» che il movimento discendente dagli schiavi africani, ha espresso il suo sdegno rispetto alle campagne mediatiche e al decreto del presidente Obama di classificare il Venezuela come minaccia inabituale e straordinaria per la politica estera degli Stati uniti. David Abello, del «consiglio per lo sviluppo della comunità afroamericana» ha dichiarato: «In questo momento della storia, che ci garantisce la libertà, non permetteremo a nessuno di ricolonizzarci».

tamburi4tamburi5tamburi6tamburi7tamburi8tamburi9tamburi91Foto: AVN (Juan Carlos La Cruz)

 

Fonte:
https://venezuelainfos.wordpress.com/
 

 

Dagli USA all’Europa. La guerra sporca contro la speranza.

ebmVenedi Geraldina Colotti per CaracasChiAma

Un tweet da record in solidarietà con il Venezuela di Nicolas Maduro: L’etichetta “Obama, abroga il decreto subito”, nella sua versione originale – “#ObamaDerogaElDecretoYa” – è balzata subito al primo posto nelle tendenze locali, e al secondo negli Stati uniti nella formula inglese (#ObamaRepealTheExecutiveOrder): quasi 2 milioni nelle prime ore del 20 marzo, oltre 6.500 tweet al minuto. Un record nella storia delle reti sociali. Avanza a ritmo serrato anche la campagna di firme (più di cinque milioni negli ultimi giorni di marzo) che si propone lo stesso obbiettivo: dire agli Usa che “il Venezuela non è una minaccia, ma una speranza”. Maduro ha deciso di spiegarlo “al coraggioso popolo degli Stati uniti” anche acquistando una pagina sul New York Times.

Il responsabile della campagna è il sindaco di Caracas, Jorge Rodriguez, dirigente del Partito socialista unito (Psuv): “Il Venezuela è un popolo di pace – ha detto Rodriguez – invece, gli Stati uniti hanno la spesa militare più alta del mondo, si sono arrogati il diritto di invadere 92 paesi e di intervenire militarmente in 14 dei 21 territori situati a sud del Rio Grande. Hanno invaso Panama sei volte, 11 volte il Nicaragua, hanno rubato 2/3 del territorio al Messico, e pilotato le violenze del 2014 in Venezuela. Non è possibile che un paese si creda il gendarme del mondo e pretenda di governare per decreto gli altri stati”.

ebmVene3La campagna si propone di raggiungere 10 milioni di firme, da consegnare al presidente Usa – che il 9 marzo ha definito il Venezuela “una minaccia eccezionale per la sicurezza degli Stati uniti” – in occasione del prossimo vertice dell’Organizzazione degli stati americani (Osa). Il summit si terrà a Panama il 10 e l’11 aprile e per la prima volta vi parteciperà anche Cuba. Il decreto di Obama mette al centro le sanzioni a 7 funzionari del governo Maduro per presunte “violazioni dei diritti umani dell’opposizione”. Al contempo, apre però la porta a un disegno più insidioso che potrebbe portare a una situazione di blocco economico come quella disposta contro Cuba. Molti analisti rilevano una “strategia del caos” e del discredito, portata avanti dai media per saggiare la possibilità di un intervento militare. Una tesi sostenuta dalla ministra degli Esteri venezuelana, Delcy Rodriguez in un’infuocata sessione del Consiglio permanente Osa, che si è svolta a Ginevra. Rodriguez ha denunciato che alcuni conti all’estero delle diplomazie sono già stati bloccati, e che questo costituisce “una violazione al diritto internazionale”. Ha detto che “interessi egemonici pretendono impossessarsi della maggiore riserva di petrolio del mondo” e che le sanzioni di Obama “implicano interventi militari e aggressioni di altro tipo, come il blocco finanziario”. In questo modo – ha aggiunto – “i funzionari che agiscono per difendere la sicurezza dei cittadini in qualunque altra parte del mondo devono temere che un altro paese si attribuisca la facoltà di giudicarli per il compito che svolgono”. L’ambasciatore Usa, Michael J. Fitzpatric, ha ribattuto che il suo paese “non sta preparando un’invasione del Venezuela, né pretende di destabilizzare il governo Maduro”, e ha sostenuto che il governo Obama “vuole solo evitare che una serie di individui che pensiamo abbiamo violato i diritti umani di altri venezuelani possano venire negli Usa o investire nel nostro sistema finanziario”. Il Venezuela ha replicato che tutto il denaro depositato all’estero dai venezuelani senza giustificazione dev’essere rimpatriato: a partire da quello dei banchieri fraudolenti fuggiti a Miami coi soldi dei cittadini.

Il decreto Obama ha comunque avuto l’effetto di ricompattare la solidarietà di tutti gli organismi regionali intorno al Venezuela: dall’Alba alla Unasur, alla Celac (tutti gli stati americani meno Usa e Canada), e al blocco dei Paesi non allineati (120 nazioni), ad alcuni rappresentanti dei Brics, come Brasile, Russia e Cina, che hanno appoggiato Maduro. Con l’elezione dell’uruguayano Luis Almagro (del Frente Amplio) alla direzione dell’Osa, la musica può cambiare anche all’interno dell’organismo, sempre subalterno agli Stati uniti.

Certo, l’ex presidente uruguayano Pepe Mujica ha dovuto rettificare le dichiarazioni dell’attuale vicepresidente Raul Sendic (“non ci sono prove di un’ingerenza degli Sati uniti in Venezuela”). Le parole di Sendic (figlio dello storico dirigente fondatore dei Tupamaros) hanno fatto spostare a Quito la prevista riunione di Unasur dopo la reazione offesa di Caracas. L’elezione del ben più moderato Tabaré Vazquez alla guida dell’Uruguay sposterà nuovamente lo sguardo di Montevideo più verso Washington che verso Caracas? Per ora, la sinistra uruguayana ha deciso di far sentire un’altra musica organizzando una partecipata manifestazione in solidarietà col Venezuela bolivariano. A guidarla, l’ex presidente Pepe Mujica, accompagnato proprio dall’attuale vice Raul Sendic.

Anche il colombiano Ernesto Samper, attualmente alla segreteria di Unasur, ha dovuto seguire l’indirizzo finora assunto dal blocco regionale: “Se gli Stati uniti vogliono stabilire una nuova relazione, a partire dal rientro di Cuba nella famiglia interamericana, dovranno considerare che l’unica strada possibile è quella del multilateralismo”, ha detto Samper. Le sue dichiarazioni arrivano dopo la richiesta del governo Usa di aumentare le spese di bilancio per il Latinoamerica di circa il 35% nel 2016. Si arriverebbe così intorno ai 2 milioni di dollari, prevalentemente destinati a foraggiare la cosiddetta “libertà di stampa”, i cosiddetti “diritti umani” (dei ricchi) e la cosiddetta “democrazia” (borghese): principalmente a Cuba, in Venezuela, in Nicaragua e in Ecuador. Unasur porterà perciò a Panama una proposta forte: via tutte le basi militari Usa dal territorio latinoamericano. Il ministro degli Esteri ecuadoriano Ricardo Patiño, che rappresenta la parte più a sinistra del governo Correa, guida invece il gruppo di “facilitatori” nominato dall’Alba per mediare tra Stati uniti e Venezuela.

Il decreto di Obama si riverbera anche nelle dinamiche politiche interne al Venezuela, di fatto già in campagna elettorale per le decisive elezioni parlamentari previste entro l’anno. E c’è chi cerca di trarne vantaggio anche nel campo dell’opposizione e di usare a proprio profitto la bandiera del nazionalismo: per captare i voti degli indecisi (il 40%, secondo le inchieste di opposizione) e immaginare una “terza via” tra chavismo e Mesa de la Unidad Democratica (Mud). L’idea è venuta al deputato di opposizione Ricardo Sanchez, che si è distinto per aver votato in Parlamento la “legge abilitante antimperialista” che concede a Maduro di promulgare decreti per nove mesi. Attorniato dai giornalisti, Sanchez è andato in piazza a firmare contro il decreto Obama, ed è stato definito dai chavisti “un eroe” del suo campo, capace di esprimersi fuori dal coro.

Ma intanto, a Miami, l’opposizione più fanatica raccoglie firme per chiedere un intervento Usa, sostenuta dai suoi potenti padrini, in Nordamerica e in Europa. Diverse centinaia di parlamentari, spagnoli e latinoamericani (della destra o del centro-sinistra moderato) stanno preparando una denuncia alla Corte penale europea contro il governo Maduro per “violazione ai diritti umani”. Uno strappo in più per isolare il governo Maduro nel panorama internazionale.

E intanto, le grandi istituzioni finanziarie accelerano le cause pendenti sul Venezuela e gonfiano la richiesta di indennizzo per le nazionalizzazioni decise da Chavez: tutto serve a dare l’idea di un paese in bancarotta e di un governo incapace di tenere il timone.

L’attacco al Venezuela socialista, alle sue risorse petrolifere e al suo indirizzo anticapitalista, evidenzia così il senso e la portata di una battaglia che va ben oltre i confini del paese bolivariano. Evidenzia, anche, il ritorno indietro e la debolezza di chi, in Europa, dovrebbe ricostruire il campo dell’alternativa. “Il proletariato non ha nazione, internazionalismo, rivoluzione”, gridavano le piazze italiane negli anni ’70. Oggi, dopo la sconfitta di quel grande ciclo di lotta, i vincitori hanno riscritto la storia: capovolgendo il senso di quella battaglia campale, occultano la natura della disuguaglianza e delle asimmetrie. Seminano la “metafisica della rassegnazione” o la politica del “male minore”. Per le classi dominanti e per i pompieri del conflitto sociale, il socialismo bolivariano è il nuovo “fantasma che si aggira per l’Europa”. Una bandiera e una speranza per chi vuole liberarsi dalle loro catene.

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Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana – Aggiornamento

«Siamo tornati, e siamo milioni»

Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana

dal 10 al 12 Aprile 2015 Napoli

cropped-bannerencuentrocaracaschiama21.jpg¡Todo 11 tiene su 13!

 

VENEZUELA SOCIALISTA SE RESPETA!

CONTRA LAS INGERENCIAS IMPERIALISTAS EN TIERRAS BOLIVARIANAS

La Rete Italiana di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana «Caracas ChiAma», in un momento storico molto delicato per il Venezuela, invita a condannare fermamente le ingerenze imperialiste nordamericane e a manifestare pieno sostegno alla Rivoluzione, partecipando al Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana, che si terrà a Napoli dal 10 al 12 di aprile 2015.

L’evento, una vera e propria festa popolare e di solidarietà, segue il Primo Incontro Italiano, tenutosi il 29 giugno del 2014 in quel di Roma, dove associazioni, organizzazioni, comunità di migranti, movimenti sociali e politici, diedero vita alla Rete di Solidarietà al fine di

contrastare la feroce e costante aggressione politica, economica, sociale e mediatica contro
il Venezuela Bolivariano e Socialista.

Nel corso delle giornate dedicate alla patria di Chávez e Bolívar, varie saranno le questioni da affrontare, tra le quali:

  • MINACCIA DELL’IMPERIALISMO
  • POTERE POPOLARE E RAPPRESENTANZA
  • GUERRA ECONOMICA E DISINFORMAZIONE IMPERIALISTA
  • RUOLO DELLA STORIA NEL PRESENTE
  • NUOVI MODELLI DI INTEGRAZIONE REGIONALE

Il Venezuela Bolivariano è costantemente minacciato perché incarna, insieme ai popoli antimperialisti, lo spirito della Resistenza. Perché pilastro dell’integrazione regionale (dall’ALBA al MERCOSUR) su basi solidali. Vogliono far girare indietro le lancette della Storia perché il Venezuela mostra ai popoli del mondo che c’è vita oltre il neoliberismo e l’austerità. Così assistiamo al fenomeno della ‘solidarietà di ritorno’: la Rivoluzione Bolivariana che sbarca in Europa attraverso l’avanzata, dalla Grecia alla Spagna, di alternative popolari che si ispirano alle idee di solidarietà, complementarietà e amicizia tra i popoli, non a caso, proprie dei movimenti bolivariani in America Latina. Un’opportunità da cogliere anche nella, por ahora, serva Italia sotto il tallone della Banca Centrale Europea, della NATO e degli USA.

Sostenere la Rivoluzione Bolivariana, significa realizzare il sogno del Comandante Chávez per il Venezuela e per il mondo.

Tutte le forze solidali con la Rivoluzione Bolivariana sono invitate a partecipare, da protagoniste, al Secondo Incontro!
Caracas ChiAma!
Napoli risponde!

Sono stati individuati:

  1. Tre filoni principali di discussione
    1.1 La minaccia dell’imperialismo
    1.2 Potere Popolare e Rappresentanza
    1.3 Il ruolo della Storia nel Presente
  2. Cinque tematiche
    2.1 Formazione teorica (Apporto del pensiero gramsciano nei processi rivoluzionari)
    2.2 Lavoro (Esperienza delle fabricas recuperadas e control obrero)
    2.3 Questioni di Genere ed ‘insorgenza sessuodiversa’ (Protagonismo femminile nei processi rivoluzionari)
    2.4 Giovani e Sport (gioventù rivoluzionaria e calcio popolare e antifascista, boxe…)
    2.5 Nuovi Processi di Integrazione Regionale ed “Eco-socialismo” a Garanzia della Pace

 

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PROGRAMMA

    • 10 Aprile 2015 venerdì
      Presso “L’Asilo” (via Giuseppe Maffei,4) – Esposizione e mostra fotografica – “Donne, Resistenze e Rivoluzioni”*

      • Ore 15,00 Iscrizioni e ricevimento
      • Ore 17,00 Momento di Benvenuto della Rete “Caracas ChiAma”. Siamo tutti invitati a partecipare e saranno graditi i saluti dell’Ambasciatore Julián Isaís Rodríguez Díaz e del Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris.
      • Ore 19,00 Presentazione mostra Donne, Resistenze e Rivoluzioni con la ex.ministra Ana Elisa Osorio: “Uno sguardo latinoamericano, femminista e rivoluzionario”.
      • Ore 20,00 buffet + musica

 

    • 11 Aprile 2015 sabato
      Presso la Mensa Occupata (Università Federico II – Via Mezzocannone, 14) – Mostra fotografica “Mano Sucia de la Chevron”**
      … continuano le iscrizioni

      • Ore 9,00 – Conferenza Magistrale “La situazione attuale in Venezuela nel contesto della minaccia imperialista” dell’Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in Italia, Julián Isaís Rodríguez Díaz.
      • Ore 10,30 – 12,30 Tavoli di Lavoro:
        a. Organizzazione della Rete Caracas “ChiAma”
        b. Comunicazione e controinformazione (Guerra economica, psicologica e mediatica)
      • Ore 13,00 – 14,00 Pranzo di solidarietà con la Mensa Occupata (5,00 euro a sottoscrizione)
      • Ore 14,30 -18,30 Tavoli Tematici:
        Giovani, tempo libero e Sport popolare
        Protagonismo femminile e “insorgenza sessuodiversa”
        Formazione e Lavoro: intellettuale organico, egemonia gramsciana e control obrero
        Nuovi Processi di Integrazione Regionale ed “Eco-socialismo” a Garanzia della Pace
      • Ore 20,00 Aperitivo Bolivariano
      • Ore 22,00 Concerto “Cantos de los Pueblos”

 

  • 12 Aprile 2015 Domenica
    Presso l’ex OPG “Je So’ Pazzo!”(Fortezza di Sant’Eframo in via Imbriani) mostra fotografica “Cuba que Linda es Cuba” ***

    • Ore 10,00 Momento Conclusivo con la partecipazione della JPSUV e della Console Amarilis Gutiérrez Graffe.
      Presentazione Documento conclusivo “Dichiarazione di Napoli” verso il Terzo Incontro Nazionale (annuncio sede Terzo Incontro).
    • Ore 12,30 Saluti di chiusura ai partecipanti e invito agli eventi territoriali del 13 Aprile, giornata della Dignità del Contragolpe Popular.

 ¡Todo 11 tiene su 13!

Complementarmente al programma delle attività qui sopra proposte presso la Mensa Occupata – Mezzocannone 14 e “L’Asilo” Filangieri, sono previste, oltre agli eventi di approssimazione realizzati (27F, 8M, Coppa “Hugo Chávez”…), tre mostre fotografiche (“Donne, Resistenze e Rivoluzioni”, “Mano Sucia de la Chevron”, “Cuba que linda es Cuba”) da tenersi a:

  • Mensa Occupata – Mezzocannone 14
  • “L’Asilo” – Vico Giuseppe Maffei, 4
  • Ex-OPG “Je So’ Pazzo!” – Fortezza di Sant’Eframo in via Imbriani

Si ringazia altresì per la collaborazione:

  • “GAlleЯi@rt” – Galleria Principe di Napoli – Piazza Museo Nazionale, 1-11
  • Villa Medusa – Via Pozzuoli, 110
  • Ex Schipa Occupata (Sportello Campagna Magnammece ‘o Pesone!) Via Salvator Rosa 195
  • Associazione “Ruskie Polie”
  • ALBAinformazione – ANROS Italia
  • ALBAssociazione
  • Le associazioni, le palestre, i gruppi e i collettivi dello Sport Antifascista e Popolare.

Si prevede la possibilità di collegamenti, in videoconferenza, internazionali durante i giorni 11 e 12 Aprile (Venezuela, Stato Spagnolo, Inghilterra, Etiopia… nell’ottica dell’internazionalizzazione dell’evento).

Per contatti e info su programma, eventi, logistica ed ospitalità:

  • Ciro Brescia +39 333 50 30 697
  • Indira Pineda +39 320 70 23 712

Riempi il modulo di pre-iscrizione per partecipare all’evento

 

maggiori informazioni su:

 

caracasChiama

 

A sei mesi dalla sparizione dei 43 normalisti: l’autoritarismo di Peña Nieto aumenta

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Traduzione di Raffaele Piras

Sono passati già 6 mesi da quando il governo messicano ha compiuto un massacro senza precedenti nella storia del paese. Il 26 settembre del 2014 a Iguala, Guerrero, è stato massacrato un gruppo di studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa e sono stati poi detenuti/fatti sparire 43 di loro.

Da allora un movimento multitudinario ha preso le strade esigendo giustizia. Praticamente in tutto il paese studenti, lavoratori e le fasce più povere della popolazione si è riversata in strada con il motto Vivos se los llevaron, vivos los queremos !

Le proteste hanno raggiunto un punto molto avanzato di mobilitazione il 20 novembre del 2014. Molti analisti considerano quella manifestazione storica per diversi motivi: l’imponenza, l’emotività e l’unità tra sindacati e settori popolari. I numeri della mobilitazione variano, ma chi di noi si trovava in quel fiume umano che ha protestato da diversi punti sa che eravamo almeno centinaia di migliaia, e diversi mezzi di comunicazione hanno calcolato in 2 milioni la cifra di manifestanti in tutto il Messico.

Anche l’emotività fu impressionante: per un momento avevamo obbligato il governo federale a sgomberare il Zócalo di Città del Messico e ad annullare la parata militare. La partecipazione del movimento giovanile e popolare si è affiancata ai sindacati, come quello dei lavoratori della telefonia, nella realizzazione di uno sciopero nazionale, confluendo nella mobilitazione in tutto il paese.

Il caso Ayotzinapa ha messo in crisi il regime messicano. Le parole d’ordine della mobilitazione recitavano #FueElEstado. Il movimento ha colpevolizzato tutti i partiti del congresso (PRI, PAN, PRD) e ha denunciato che tutto il paese è marcio.

Gli eroici familiari dei 43 studenti non hanno cessato di mobilitarsi giorno e notte per ottenere la presentazione con vita dei ragazzi, e hanno sollecitato una trasformazione dalla radice di tutto il paese. Insistono che è stato lo Stato e hanno denunciato che il Batallón 27 delle forze armate si trova implicato nel massacro.

Anche se il governo cerca di insabbiare la vicenda presentando la verità storica secondo cui i 43 sarebbero stati bruciati nella discarica di Cocula dal crimine organizzato, ci sono indizi dei periti del Equipo Argentino de Antropología Forense, di accademici universitari e degli stessi familiari delle vittime che vedono probabile che le forze armate siano implicate nel massacro.

Offensiva reazionaria: Peña Nieto vuole superare il caso Ayotzinapa e spinge a votare alle prossime elezioni.

Il regime messicano ha realizzato una forte offensiva reazionaria contro il movimento che esige la presentazione con vita dei 43 studenti. In primo luogo la Procuraduría General de la República ha dichiarato che esiste una sola verdad histórica sul caso Iguala: gli studenti sono morti a causa del crimine organizzato.

In secondo luogo il regime è tornato a ricorrere alla repressione a ogni manifestazione. Il 20 novembre, per esempio, gli studenti che sono stati detenuti sono stati portati in carceri di massima sicurezza, seminando il panico nella mobilitazione. A inizio anno è stato assassinato l’attivista Gustavo Salgado a Cuernacava, militante del FPR, ed è stata giustiziata Norma Angélica, della Comisíon de Búsqueda de Familiares Desaparecidos a Iguala.

Con il logoramento della mobilitazione e l’impotenza della strategia delle direzioni sindacali nell’avanzare un piano unificato che concentri lo scontento nazionale, il regime ha avanzato ancor di più con una forte offensiva contro i lavoratori.

Ha imposto un nuovo taglio alla PEMEX con più di 100mila licenziamenti annunciati, tagli alla sicurezza sociale (IMSS, ISSSTE) e ha anticipato la volontà di riforma dell’apparato B dell’articolo 123, che liquida il diritto allo sciopero e alla contrattazione collettiva dei lavoratori del settore pubblico. Ha avuto luogo, inoltre, un recorte alle libertà democratiche con il licenziamento di Carmen Aristegui del MVS, per aver diffuso i casi di corruzione del governo di Peña Nieto.

L’offensiva continua con l’iniziativa di legge che prevede la privatizzazione dell’acqua: gli impresari potranno privatizzare il diritto umano all’uso del liquido vitale.

Il Consejo Coordinador Empresarial, massima organizzazione dei capitalisti del paese, ha lanciato un appello affinché il prossimo processo elettorale si sviluppi nel segno della normalità.

L’esercito messicano in diverse occasioni ha insistito affermando che continuare a diffondere l’idea secondo cui il Batallón 27 sia implicato nella sparizione dei 43 studenti altro non è che una provocazione; mentre l’incaricato alla sicurezza insiste spiegando che i prossimi comizi elettorali si realizzeranno:’’Llegaron a ser desalojadas siete juntas electorales, las siete ya han sido recuperadas. No veo que haya condiciones para que se pueda alterar el proceso electoral’’.

La repressione autoritaria ha raggiunto anche la comunità accademica: per decreto della Secretaria de Gobernación è stato chiuso l’accesso alla Galera 1 dell’Archivo General de la Nación (AGN), in cui lavoravano centinaia di storici alla ricerca di dati di sparizione forzata degli anni 70. Nell’AGN ci sono gli archivi della c.d. ‘’Guerra Sucia’’.

La Comisión Nacional de Derechos Humanos (CNHD) ha emesso oggi una dichiarazione: dopo Ayotzinapa in Messico non siamo più gli stessi. I familiari dei 43 ragazzi, non ricevendo nessun aiuto dalla CNHD, hanno viaggiato in Caravana fino alla Comisión Interamericana e si trovano oggi negli USA per realizzare proteste ed azioni.

A 6 mesi dalla sparizione, Peña Nieto ha lanciato un appello alla partecipazione alle prossime elezioni, e ha dichiarato che ‘’a giugno avranno luogo i comizi più controllati e trasparenti della nostra democrazia’’. Nel messaggio diffuso nella pagina web della presidenza ha dichiarato: ‘’presentiamoci alle urne e riaffermiamo la nostra fiducia verso le istituzioni democratiche, perché con ciascun voto costruiamo un Messico più forte’’.

La democrazia messicana è la ‘’democrazia’’ dei più di 160mila morti, dei 25mila desaparecidos e delleimages migliaia di sfollati. La nostra democrazia ha convertito il Messico in una fossa clandestina. La sottomissione ai piani statunitensi, con l’applicazione della riforma educativa, del lavoro, energetica, e la forte militarizzazione del paese, hanno messo in evidenza che la nostra democrazia è una ‘’barbarie’’, come detto in diverse occasioni 50 anni fa l’intellettuale marxista José Revueltas.

La storia però è ancora più assurda, e supera le storie di terrore e umore nero. L’Instituto Nacional Electoral (INE) ha scelto uno dei 43 normalisti scomparsi come scrutatore elettorale.

Dal Movimiento de los Trabajadores Socialistas stiamo portando avanti una campagna verso le prossime elezioni in Messico. Pensiamo che questo regime politica sia marcio e irriformabile, e che i lavoratori non debbano votare nessun partito politico del Congresso: né PRI, né PAN, né PRD.

Nel caso del Morena (Movimiento Regeneración Nacional, ndr), anche se si considera un oppositore, nei fatti non ha partecipato a nessuna mobilitazione di ripudio al governo. Come si sa, Andrés Manuel López Obrador ha appoggiato José Luis Abarca, ex sindaco di Iguala e uno dei principali responsabili del massacro del Guerrero. Con la sua strategia utopistica di riformare e democratizzare le istituzioni esistenti, un eventuale rafforzamento del Morena sarebbe solamente funzionale alla legittimazione di questo regime assassino.

Dobbiamo sostenere l’appello dei familiari degli studenti normalisti spariti e ripudiare il processo elettorale. A queste elezioni i lavoratori e le fasce più povere non hanno alternativa. Annulliamo il nostro voto con il motto #Nosfaltan43!

Fonte :
http://www.laizquierdadiario.com/A-seis-meses-de-la-desaparicion-de-los-43-el-autoritarismo-de-Pena-Nieto-aumenta

Rappresentante della “narco-democrazia” colombiana all’ attacco della sovranità venezuelana!

di Maddalena Celanofelipe gonzalez tratto da www.ilsudest.it

 

In Spagna Felipe González ha inaugurato le sue nove proteste contro il governo Venezuelano.

Sempre dalla Spagna, negli anni scorsi, creò abbastanza danni al Venezuela quando divenne socio di Carlos Andrés Pérez che gli regalò la linea aerea Viasa (Venezolana Internacional de Aviación, Sociedad Anónima), un esempio di buone-pratiche aziendali per tutto il mondo. Fu durante il primo mandato presidenziale di Carlos Andrés Pérez (amico e socio d’ affari di Felipe González ) che Viasa venne definitivamente nazionalizzata.

Viasa andò in crisi, e iniziò a regalare biglietti di cortesia in Prima Classe a funzionari statali e loro familiari. Lo stesso presidente Pérez, invece di utilizzare l’aereo presidenziale (un Boeing 737-200), preferiva servirsi della flotta dei DC-10-30 di Viasa per i suoi ricorrenti viaggi di stato. Eppure Felipe González (sempre in combutta con il presidente Pérez) dilapidò tutto il patrimonio dell’ azienda che fu costretta a chiudere.

Non pagò mai i piloti, le hostess, i lavoratori, i tecnici… Nonostante ciò, l’ex presidente Colombiano Felipe González, legato alla peggiore oligarchia colombiana (spesso in combutta con i narcotrafficanti), attacca il Venezuela. L’oligarchia che domina il potere in Spagna ha terrore dell’idea di una Democrazia Bolivariana, di una democrazia reale, diretta, basata sulla cittadinanza attiva, una democrazia popolare. Per questa ragione questo “signorotto” che vive di lobby internazionali ed è coordinatore dell’asse Bogotà-Madrid, nonché cittadino colombiano, non desidera che i venezuelani esercitino i loro diritti alla sovranità e l’autodeterminazione. Non desidera che il Venezuela abbia potere, desidera che l’abbiano solo i suoi quattro soci per spartirsi le ricchezze delle industrie petrolifere venezuelane. Felipe González, conosciuto anche come mister X, è anche sospettato (tra i principali sospettati) mandanti dei GAL, delinquenti (mercenari) contrattati e stipendiati dal Governo Spagnolo per ammazzare militanti dell’Eta. In realtà furono condannati vari amici, conoscenti e subordinati di Felipe González per aver agito a piede libero e senza il suo consenso dalla Colombia, nell’ organizzazione di attentati ed agguati. Intanto in Spagna continua a governare la destra franchista (tutti diretti discendenti di vecchie famiglie franchiste) che vive tra cocktail, ripartendo commissioni tra parenti ed amici, vivendo a spese di chi lavora e soffre.

Tutto mentre si creano varie frange giovanili xenofobe ed in “aria” di neo-nazismo, la disoccupazione aumenta, giunta al 23,6% solo nel 2012.

FONTI:

Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana

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«Siamo tornati, e siamo milioni»

Secondo Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana

dal 10 al 12 Aprile 2015 Napoli

¡Todo 11 tiene su 13!

VENEZUELA SOCIALISTA SE RESPETA!

La Rete Italiana di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana «Caracas ChiAma», in un momento storico molto delicato per il Venezuela, invita a condannare fermamente le ingerenze imperialiste nordamericane e a manifestare pieno sostegno alla Rivoluzione, partecipando al
II° Incontro Italiano di Solidarietà con la Rivoluzione Bolivariana, che si terrà a Napoli dal 10 al 12 di aprile 2015.

L’evento, una vera e propria festa popolare e di solidarietà, segue il Primo Incontro Italiano, tenutosi il 29 giugno del 2014 in quel di Roma, dove associazioni, organizzazioni, comunità di migranti, movimenti sociali e politici, diedero vita alla Rete di Solidarietà al fine di contrastare la feroce e costante aggressione politica, economica, sociale e mediatica contro il Venezuela Bolivariano e Socialista.

Nel corso delle giornate dedicate alla patria di Chávez e Bolívar, varie saranno le tematiche da affrontare, tra le quali:

  • POTERE POPOLARE E RAPPRESENTANZA
  • GUERRA ECONOMICA E DISINFORMAZIONE IMPERIALISTA
  • RUOLO DELLA STORIA NEL PRESENTE
  • NUOVI MODELLI DI INTEGRAZIONE REGIONALE

Il Venezuela Bolivariano è costantemente minacciato perché incarna, insieme ai popoli antimperialisti, lo spirito della Resistenza. Perché pilastro dell’integrazione regionale (dall’ALBA al MERCOSUR) su basi solidali. Tentano di far girare indietro le lancette della Storia perché il Venezuela mostra ai popoli del mondo che c’è vita oltre il neoliberismo e l’austerità. Così assistiamo al fenomeno della ‘solidarietà di ritorno’: la Rivoluzione Bolivariana che sbarca in Europa attraverso l’avanzata, dalla Grecia alla Spagna, di alternative popolari che si ispirano alle idee di solidarietà, complementarietà e amicizia tra i popoli, non a caso, proprie dei movimenti bolivariani in America Latina. Un’opportunità da cogliere anche nella, por ahora, serva Italia sotto il tallone della Banca Centrale Europea, della NATO e degli USA.

Sostenere la Rivoluzione Bolivariana, significa realizzare il sogno del Comandante Chávez per il Venezuela e per il mondo.

Tutte le forze solidali con la Rivoluzione Bolivariana sono invitate a partecipare, da protagonisti, al Secondo Incontro!

Caracas ChiAma!
Napoli risponde!

 

Sono stati individuati:
1. Due filoni principali di discussione
1.1 Potere Popolare e Rappresentanza
1.2 Il ruolo della Storia nel Presente
2. Due tavoli di lavoro
2.1 Organizzazione della Rete Caracas “ChiAma”
2.2 Comunicazione e controinformazione (Guerra economica, psicologica e mediatica)
3. Cinque tematiche
3.1 Formazione teorica (Apporto del pensiero gramsciano nei processi rivoluzionari)
3.2 Lavoro (Esperienza delle fabricas recuperadas e control obrero)
3.3 Questioni di Genere (Protagonismo femminile nei processi rivoluzionari)
3.4 Giovani e Sport (gioventù rivoluzionaria e calcio popolare e antifascista, boxe…)
3.5 Nuovi Processi di Integrazione Regionale ed “Eco-socialismo” a Garanzia della Pace

 

PROGRAMMA

 

  • 10 Aprile 2015 venerdì
    Ore 15,00 Iscrizioni e ricevimento
    Ore 17,00 Assemblea di Benvenuto
    Ore 19,00 Inaugurazione mostra “Donne e Resistenza”
    Ore 20,00 Cena latinoamericana + musica
  • 11 Aprile 2015 sabato
    Ore 9,30 -12,30 Tavoli di Lavoro (Organizzazione e Comunicazione)
    Ore 13,00 – 14,00 Pranzo
    Ore 14,30 -17,30 Tavoli Tematici
  1. Formazione (14,30-16,00)
  2. Lavoro (16,00-17,30)
  3. Nuovi Processi di Integrazione Regionale ed “Eco-socialismo” a Garanzia della Pace (14,30-16,00)
  4. Giovani, tempo libero e Sport (16,00-17,30)

Ore 17,30 – 20,00 “Libera Uscita”
Ore 20,00 Aperitivo Bolivariano
Ore 22,00 Concerto “Cantos de los Pueblos”

  • 12 Aprile 2015 Domenica
    Ore 10,00 Assemblea Conclusiva – Presentazione Documento conclusivo “Dichiarazione di Napoli” verso il Terzo Incontro Nazionale 2016 (annuncio sede Terzo Incontro).
    Ore 12,30 Saluti di chiusura ai partecipanti e invito agli eventi territoriali del 13 Aprile, giornata della Dignità del Contragolpe Popular:

 

¡Todo 11 tiene su 13!

 

Complementarmente al programma delle attività qui sopra proposte presso la Mensa Occupata – Mezzocannone 14, sono previsti, oltre agli eventi di approssimazione (27F, 8M, Coppa “Hugo Chávez”…), tre mostre fotografiche (“Donne e Rivoluzione”, “Mano Sucia de la Chevron”, “Cuba que linda es Cuba”) da tenersi a:

  • Mensa Occupata – Via Mezzocannone, 14, Napoli
  • “L’Asilo” Filangeri – Vico Giuseppe Maffei, 4, Napoli
  • Galleriart – Galleria Principe di Napoli

Si prevede la possibilità di collegamenti, in videoconferenza, internazionali durante i giorni 11 e 12 Aprile (Venezuela, Stato Spagnolo, Inghilterra, Etiopia… nell’ottica dell’internazionalizzazione dell’evento).

Per contatti e info su programma, eventi, logistica ed ospitalità:

Ciro Brescia: +39 333 50 30 697
Indira Pineda: +39 320 70 23 712

Per contribuire alle spese organizzative dell’incontro:

IBAN IT: 59 S 02008 03435 000101541691 – Associazione ALBA
BIC/SWIFT UniCredit: UNCRITMM
Causale: “Donazione per Incontro di Solidarietà Aprile 2015”

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Gruppo 77+Cina: Dichiarazione in appoggio al Governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela

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Il Gruppo dei 77 + Cina esprime il rifiuto della recente decisione del governo degli Stati Uniti d’America di ampliare le sanzioni unilaterali contro il governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, stabilite attraverso un Decreto Esecutivo firmato dal Presidente Barack Obama il 9 Marzo 2015, in cui si dichiara “un’emergenza nazionale a causa della minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti rappresentata dalla situazione interna del Venezuela”.

Allo stesso modo, ribadisce l’importanza della Dichiarazione adottata durante il Vertice dei Capi di Stato e di Governo del Gruppo dei 77 + Cina, riunitosi a Santa Cruz de la Sierra, in cui si rifiuta fermamente l’imposizione di leggi e regolamenti ad effetto extraterritoriale e di ogni altra misura economica coercitiva, incluse le sanzioni unilaterali contro i paesi in via di sviluppo.

Il Gruppo dei 77 + Cina, deplora la misura e ribadisce il suo fermo rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Inoltre, il Gruppo dei 77 + Cina pone anfasi sulla necessità di rispettare il diritto internazionale, così come i principi e i propositi sanciti nella Carta delle Nazioni Unite e nel Diritto Internazionale, in riferimento alle relazioni d’amicizia e cooperazione tra gli Stati e in conformità alla Carta delle Nazioni Unite. Il G-77 + Cina, sottolinea il contributo positivo del Venezuela nel rafforzamento della cooperazione Sud-Sud, della solidarietà e delle relazioni d’amicizia tra i popoli e le nazioni per promuovere la pace e lo sviluppo.

Il Gruppo dei 77 + Cina, esprime solidarietà e appoggio al governo venezuelano, colpito da queste misure che non contribuiscono, in alcun modo, al dialogo politico ed economico e alla mutua intesa tra i paesi. Inoltre, esorta la comunità internazionale ad adottare misure efficaci ed urgenti atte ad eliminare l’uso di misure economiche coercitive unilaterali contro gli Stati e in particolare contro i paesi in via di sviluppo.

Il G-77 + Cina, lancia un appello al governo degli Stati Uniti affinchè valuti e implementi soluzioni alternative di dialogo con il governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, basate sul principio di rispetto della sovranità e dell’autodeterminazione dei popoli. Di conseguenza, chiede l’abrogazione del suddetto ordine esecutivo.

New York, 25 Marzo 2015

Fonte:
http://italia.embajada.gob.ve/index.php?option=com_content&view=article&id=318:g77china-transmite-su-apoyo-al-gobierno-y-pueblo-de-venezuela-&catid=3:noticias-de-venezuela-en-el-mundo&Itemid=19

La CIA sponsorizzò Felipe González, del Partito Socialista Spagnolo che da pochi giorni è assessore dell’ “oppositore venezuelano Capriles”

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Nel suo libro “La CIA in Spagna”, il giornalista d’inchiesta Alfredo Grimaldos assicura che l’ascesa al potere del socialista Felipe González come presidente del Governo spagnolo nel 1982, fu in realtà l’alternativa “disegnata e controllata” dalla Cia per mantenere la tutela sulla Spagna,

Il libro di Grimaldos, pubblicato nel 2006, afferma che l’attuale Partito Socialista Obrero Español (PSOE) non nacque da una vera e propria base sociale, ma che fu creato, modellato e finanziato dalla CIA nordamericana, attraverso fondazioni del Partito Socialdemocratico di Willi Brandt della Repubblica Federale Tedesca: “I servizi segreti nordamericani e la socialdemocrazia tedesca si diedero gelosamente il turno nella direzione della Transizione spagnola, con due obiettivi: impedire una rivoluzione dopo la morte di Franco e annientare la sinistra comunista. Questo lavoro sottile di costruire un partito “di sinistra” precisamente per impedire che la sinistra arrivi al potere in Spagna, è opera della CIA, in collaborazione con l’Internazionale Socialista”.

Alfredo Grimaldos ha pubblicato un nuovo libro: “Claves de la transición 1973-1986 para adultos” (Editorial Peninsula). Il libro inizia con la seguente frase: “Il Franchismo non è una dittatura che finisce con il dittatore, ma una struttura di potere specifica che integra alla nuova monarchia”.

In un’intervista pubblicata per il giornale Público.es, Grimaldi risponde a una domanda: “Fino a che punto la CIA tutela la Transizione?”

Quando Nixon arriva in Spagna nel 1970 trova un Franco molto invecchiato. Nixon torna preoccupato. Per loro era molto importante mantenere la Penisola Iberica nel sistema di alleanze. Quindi, gli dica a Vernon Walters, il suo uomo di fiducia, che vada in Spagna per vedere cosa potrebbe succedere dopo la morte del dittatore. Franco si rese conto immediatamente di quello che accadeva e disse a Walters che era tutto sotto controllo e ben controllato, che l’Esercito si schiererà dalla parte di Juan Carlos I e che il suo principale monumento non è la “Valle de los Caidos” ma la classe media spagnola che farà da materasso per impedire una rivoluzione.

Grimaldos fa a pezzi l’immagine officiale che si ha della Transizione Spagnola, segnalata costantemente come riferimento esemplare del passaggio da una dittatura alla maturità della vita democratica e in questo contesto, al ruolo svolto da quel giovane lottatore, intelligente, carismatico, eloquente, a cui il giornale Pravda, quando era ancora organo del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, riempirà d’elogi sul finire degli anni ’80 per la sua “flessibilità e pragmatismo”.

Risulta quindi che il faro della chiamata Transizione fu costruito sull’inganno e la manipolazione? Così sembrerebbe dalla testimonianza, pubblicata nel libro di Grimaldi, del generale Manuel Fernández Monzón, contatto dei servizi segreti del franchista Luis Carrero Blanco con la CIA: “Non è vero quello che si è detto sulla Transizione. Come che il re fu il motore. Né Suárez né lui furono i motori di niente, solo pezzi importanti di un piano concepito all’altro lato dell’Atlantico. Fu tutto disegnato dalla CIA e dalla Segreteria di Stato”.

Recentemente, l’ex candidato presidenziale venezuelano e governatore di stato Miranda, Henrique Capriles Radonski, informò attraverso Twitter d’essersi incontrato in Bolgotá, Colombia, con l’ex presidente del governo spagnolo Felipe González, che fu “amico intimo” dell’ex presidente venezuelano Carlos Andrés Pérez, promotore delle politiche neoliberiste in Spagna e in America Latina.

Intervistato da una radio uruguaiana, l’analista James Petras ha risposto così alla domanda sulla decisione di Felipe González di assistere a Henrique Capriles:

“Felipe Gonzalez lavorava per Álvaro Uribe, l’assassino, narco-presidente della Colombia. Felipe González appoggiava i gruppi squadroni della morte in Centroamerica, quando fui in Spagna e Grecia, ebbi l’occasione di vedere con i miei occhi come i partiti di destra del Salvador e del Guatemala ricevevano l’appoggio di Felipe González. Quindi, il fatto che stia con Capriles non mi sorprende perché Felipe González non è venduto, ma affittato. Qualsiasi governatore o dirigente della destra può controllarlo con una tariffa. Servono per lo meno 300 mila dollari per ricevere i “consigli” di Felipe González. Non è semplicemente un reazionario, ma uno dei più corrotti e immorali, in tutta la storia della socialdemocrazia europea”.

Fonte:
http://www.larepublica.es/2014/01/la-cia-apadrino-al-socialista-felipe-gonzalez-en-el-psoe-y-es-ahora-asesor-de-capriles/

 

Sì, il Venezuela è una minaccia per la sicurezza

Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: Carlos Alberto Montaner firma questo articolo per il Miami Herald – 16 marzo 2015 – in cui ci dimostra come gli specchi, più che fornire appigli per scalare la parete della menzogna, la riflettono.

Venezuela is indeed a risk to the security of the United States, not because it violated the democrats’ human rights — that was the excuse — but because of three activities that are codified in the doctrinary definition that indicates where the danger to U.S. society begins or intensifies.

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CARACAS: Un sostenitore del governo con un poster che mostra una fotografia deturpata del presidente americano Barack Obama nel corso di una manifestazione davanti palazzo presidenziale di Miraflores a Caracas Domenica. Fernando Llano – AP

 

Il presidente Obama ha firmato la scorsa settimana un ordine esecutivo che proclama il regime in Venezuela un pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti. Perché? Perché questi ha violato i diritti umani dell’opposizione democratica nel paese. In seguito, Obama ha imposto sanzioni contro numerosi ufficiali militari e funzionari di governo.

Strana mossa, fatta poche settimane dopo aver iniziato ad abolire le sanzioni contro la dittatura cubana, la quale, per l’ultima metà del secolo o anche di più, ha maltrattato i dissidenti con la stessa (o maggiore) brutalità che è stata mostrata dal governo di Nicolás Maduro in Venezuela.

A margine, c’è una questione di gerarchie. Cuba è la nonna. Il Venezuela si comporta come se sia al comando del consiglieri cubani che guidano il paese. Queste sono le competenze che Cuba vende al Venezuela: servizi segreti, controllo sociale e pugno duro nella “governabilità”.

Naturalmente, Fidel e Raúl Castro hanno immediatamente reso pubblica un’appassionata difesa di Maduro. I fratelli Castro sanno perfettamente che i 13 milioni di Dollari annuali in sussidi, aiuti e affari commerciali forniti dalla loro grande colonia politica valgono di più delle recenti dimostrazioni di affetto e promesse ricevute dagli stati Uniti.

“Il Venezuela non è solo”, ha dichiarato una nota ufficiale cubana, suggerendo che se sì arriverà ad un conflitto armato, i soldati della patria cubana non rimarranno a guardare.

Certo, sono solo parole, atteggiamenti per i balconi. I Castro sanno che gli Stati Uniti non sono minimamente interessati a passare alla violenza per liquidare la “rivoluzione” bolivariana. Nessuno invaderà il Venezuela.

Ciò che è generalmente ignorato è il perché Obama abbia preso questa contraddittoria decisione che aiuta solo a dare a Maduro un pretesto per incrementare il sentimento nazionalista, la repressione e mescolare il nido del vespaio sudamericano.

Eppure, ci sono buone ragioni dietro questa iniziativa. Il Venezuela è davvero un rischio per la sicurezza degli Stati uniti, non perché ha violato i diritti umani – questa era la scusa – ma a causa di tre attività che sono codificate nella definizione dottrinale che indicano dove il pericolo per la società nordamericana inizia o si intensifica.

Chiunque voglia conoscere la visione che prevale a Washington sulla questione dovrebbe leggere il libro Reconceptualizing Security in the Americas in the 21st Century, con particolare attenzione al capitolo intitolato Venezuela: tendenze nel crimine organizzato, scritto dall’analista Joseph M. Humire.

Il movimento fondato da Hugo Chávez ed ereditato da Maduro ha oltrepassato tre linee di confine:

  • Primo, la complicità venezuelana coi terroristi islamici in Iran. Il governatore dello stato di Aragua, Tareck El Aissami, di origini arabe ed ex ministro dell’Interno, ha detto di avere forti relazioni con il governo iraniano. Questi ha usato la sua posizione per creare una rete di relazioni con i terroristi in Medio Oriente, finanziati dal traffico di droga.
  • Il secondo limite oltrepassato a Caracas è, precisamente, relativo al traffico di droga. Ci sono generali venezuelani che sono coinvolti fin sopra i capelli in questo torbido mercato. Su 700 tonnellate di cocaina prodotte annualmente nel mondo, 300 vanno attraverso il Venezuela fino in Europa passando per l’Africa, o arrivano negli Stati Uniti tramite l’America Centrale. Il presidente del Parlamento, Diosdado Cabello, è stato accusato di essere il capo del principale cartello.
  • Terzo, il diffuso riciclaggio di soldi sporchi. Petróleos de Venezuela, la compagnia petrolifera statale meglio conosciuta con l’acronimo PDVSA, è dove avvengono la maggior parte delle transizioni sospette, incluse le emissioni di obbligazioni. Più che un’attività, la PDVSA è il nascondiglio di Ali Babà, ma con più di 40 ladroni. Quei soldi servono per corrompere politici, comprare consenso e pagare i criminali per i loro servigi.

La Casa Bianca sa tutto questo nel dettaglio.

E’ stata istruita dai suoi diplomatici, dai servizi segreti e dai disertori. Walid Makled García, venezuelano a capo del traffico di droga, paragonabile a Pablo Escobar al suo apice, fu intensamente interrogato dagli agenti della DEA prima che il suo carceriere colombiano lo deportò in Venezuela.

“Il Turco”, come era chiamato, cantava La Traviata, spifferò tutto. L’ultimo membro del coro è Leamsy Salazar, braccio destro di Cabello e Chávez, il quale chiese asilo politico negli Stati Uniti e confermò tutto questo. Contribuì inoltre con nuove informazioni. Potrebbe non essere stato detto abbastanza che “il Venezuela non è un pericolo, ma una seccatura”.

A dire il vero, il Venezuela è un pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti e per tutto l’emisfero. L’errore di Obama non fu di affrontare i suoi nemici e chiamare le cose con il proprio nome, ma di scegliere un’accusa indiretta, formulata malamente, così che molte persone non hanno potuto capirla. Il presidente voleva soddisfare tutti, ma è riuscito a fare esattamente il contrario. Un peccato.

Articolo originale:
http://www.miamiherald.com/opinion/op-ed/article14674460.html

Non lasciamo sola la speranza venezuelana.

di Geraldina Colotti per CaracasChiAma

107156-mdGli Stati uniti hanno minacciato sanzioni alla Germania. Per gli oltre 350 fermi dei manifestanti che hanno protestato contro la Bce nei giorni scorsi? Non scherziamo: secondo quanto ha dichiarato il vice-cancelliere tedesco, le sanzioni Usa al potente alleato europeo sarebbero arrivate in caso il governo tedesco avesse dato asilo all’ex consulente Cia Edward Snowden, che ha divulgato il grosso scandalo del Datagate, e che poi ha trovato rifugio in Russia. Com’è noto, Snowden ha fatto conoscere l’estensione planetaria dello spionaggio Usa, il cui intreccio economico-politico va ben oltre la sempiterna retorica sulla “lotta al terrorismo” che giustifica le aggressioni neocoloniali. Tanto che la minaccia è stata quella di interrompere le relazioni tra servizi segreti proprio sul tema della sicurezza: per ritorsione, gli Stati uniti non avrebbero più avvertito la Germania di eventuali attentati in arrivo nel loro paese… Una bella lezione di moralità da parte di un governo che impone sanzioni al Venezuela bolivariano in nome della “difesa dei diritti umani”.

In America Latina – ha rivelato Snowden -, gli Usa hanno molti punti di intercettazione clandestina e basi militari sotto copertura, pronti a tessere le proprie trame nei punti considerati a rischio per i propri interessi. In barba alla tanto sbandierata difesa della privacy. Le parole dell’ambasciatore statunitense all’Osa, secondo il quale il suo paese non complotta contro il governo bolivariano, lasciano quindi il tempo che trovano. E ha ragione il governo Maduro a moltiplicare gli appelli alla solidarietà internazionale per far capire al Nordamerica che “non può passare”.

Lo scandalo del Datagate ha mostrato che le agenzie per la sicurezza Usa hanno spiato la presidente brasiliana Dilma Rousseff, e anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, tanto per non farci dimenticare che, se si tratta del portafoglio, gli amici non contano. Soprattutto, gli spioni nordamericani hanno messo il naso (e le zampe) negli interessi petroliferi brasiliani e osservato da vicino quelli del Venezuela bolivariano. Con quel livello di pervasività e di controllo delle informazioni, difficile escludere la messa a segno di colpi bassi nel mercato finanziario e nei corsi del petrolio, attualmente in forte calo. Una situazione che ha penalizzato un paese ancora troppo dipendente dai proventi del petrolio, come il Venezuela e che si trova al centro di una rete di erogazione solidale ai paesi dell’America latina e dei Caraibi. Difficile dar torto ai presidenti progressisti dell’America latina che, dal Brasile all’Argentina, al Venezuela, dal Nicaragua, alla Bolivia, all’Ecuador, denunciano un attacco concentrico dei poteri forti.

Lo schema utilizzato è sempre lo stesso: quello di innestare le cosiddette “rivoluzioni colorate” contro i governi antipatici aguarimberos_con_traje_de_bano Washington, modulate a seconda della storia e dei problemi esistenti nello scacchiere mondiale e nei diversi paesi. Il tono d’avvio, è sempre dato da qualche gruppo di “pacifici studenti” modello Otpor nella ex Jugoslavia, ben finanziato e ben amplificato dalla propaganda internazionale attraverso le reti sociali. Anche la genericità dei temi è un modulo ricorrente: si protesta contro “la corruzione, il regime, per la libertà di stampa, la liberazione dei prigioni politici, e via discorrendo”.

E così, in Venezuela, i golpisti diventano improvvisamente campioni di democrazia, mentre in Messico, o in Spagna o in Germania, chi protesta per chiedere “pane, lavoro, un tetto e dignità” può essere manganellato e imprigionato in nome di quella stessa democrazia (borghese).

E così, anche in Brasile, sarebbero stati due sconosciuti “gruppi di studenti di classe media” a lanciare in internet la poderosa manifestazione contro il governo Rousseff che si è vista di recente, e che ha costituito una vera e propria prova di forza delle destre brasiliane.

Un ricatto incombente soprattutto sulle forze dell’alternativa, obbligate nei momenti di emergenza a silenziare la critica al moderatismo e agli errori di chi li governa per evitare un “rimedio” ben peggiore del male. E parliamo principalmente dell’involuzione e delle pecche del PT in Brasile, che già hanno vita lunga. Non a caso, movimenti e sinistra hanno dato a Rousseff un voto sotto condizione, aspettandosi passi avanti significativi.

Ma anche le destre e i loro padrini a Washington intendono condizionare con ben altri sistemi le politiche della nuova America latina: per accerchiare o depotenziare quei paesi, come il Venezuela, che più hanno rimesso in questione i rapporti di proprietà capitalistici.

Le prese di posizione del vicepresidente uruguayano Raul Sendic, molto morbide nei confronti di Washington nel giudicare l’attacco al Venezuela, non lasciano ben sperare sul governo di Tabaré Vazquez, succeduto a Mujica. E se nella Unasur non ci fossero Ecuador e Bolivia a controllare la solidarietà col Venezuela, il controllo passerebbe all’indirizzo prevalente di Vazquez (presidente pro-tempore) e a quello del segretario generale, il colombiano Ernesto Samper, il cui paese – insieme al Perù e al Cile – appartiene all’asse portante della neoliberista Alleanza del Pacifico a guida Usa (altro caposaldo, il Messico).

La partita che si gioca in Venezuela è determinante, sia sul piano concreto che su quello simbolico e sul piano dei rapporti continentali. Così com’è determinante la tenuta di Cuba e la sua ferma intenzione di non cedere ai ricatti del “disgelo” con gli Usa, consegnando “la testa” del Venezuela.

L’imperialismo ce la sta mettendo tutta per volgere a suo vantaggio la situazione in tutti e tre i piani: sul piano economico, sul piano simbolico e su quello delle relazioni internazionali. Quella che si è vista l’anno scorso, è stata la rivolta dei ricchi, non di chi protesta per chiedere “pane, lavoro, un tetto e dignità”. Le code che si vedono a Caracas non sono quelle dei poveri alla Caritas in Italia, in Spagna, in Grecia, che fanno fatica a sopravvivere. Nonostante la guerra economica contro il governo Maduro, la gente in coda ha di che comprare le merci che arrivano, e anche in modo compulsivo. Nonostante la crescita dell’inflazione, i salari e le pensioni, in Venezuela, sono aumentati, e la povertà estrema è diminuita: segno che il governo non ha messo al centro gli interessi del “mercato”, ma quello dei meno favoriti. Eppure la propaganda mediatica presenta le cose esattamente al contrario.

“Siamo una speranza, siamo il governo della strada, l’America latina del XXI secolo sarà lo scenario di grandi trasformazioni”, ha detto Nicolas Maduro. E tuttavia, a fronte di una congiuntura economica poco favorevole, la pressione sul Venezuela bolivariano sarà tanto più pesante quanto più prevarrà un indirizzo moderato nelle alleanze regionali dell’America latina. Il discorso vale anche per la politica interna del Venezuela. Le destre dicono che l’attacco di Obama fa il gioco del chavismo, perché ricompatta l’unità interna. Ma è davvero così? Il richiamo al nazionalismo e alla difesa della patria, amplificati dopo le ritorsioni Usa e il pericolo di un’aggressione militare, comportano anche dei rischi: essere solo “patrioti” e non socialisti a 16 anni dall’inizio del “proceso”, non è un ritorno indietro? Quanti opportunisti possono saltare sul carro per poi debilitare la rivoluzione dall’interno? E che dire di quei funzionari che hanno portato all’estero finanze sottratte al bene pubblico? Fuori e dentro il Psuv – che per fortuna sta mostrando grandi segni di rinnovamento – le denunce di carenze e inadempienze che provengono dalla parte più cosciente del socialismo bolivariano devono trovare una sponda e senza prestare il fianco alla destra. Altrimenti, si fa il gioco di quelli che vorrebbero proporre la cosiddetta “terza via” (moderata) per raccogliere i voti dei delusi o degli indecisi. Il socialismo non ha come obiettivo quello di rimpinguare le tasche dei nuovi ricchi.
Anche se indossano una camicia rossa.

 

Dopo Cristina, Evo e Maduro è la volta di Dilma

Traduzione di Raffaele Piras.

Importanti riflessioni sulle proteste di questi giorni in Brasile contro la presidente Dilma Rousseff .

In Brasile c’è una rabbia generalizzata contro il PT, che è piuttosto una rabbia indotta dai mezzi di comunicazione, e non si tratta tanto di odio nei confronti del Partito de Trabajadores quanto di odio nei confronti di quaranta milioni di poveri che sono stati inclusi e che occupano ora gli spazi che prima erano riservati alle classi benestanti

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Domenica scorsa, circa 1,7 milioni di persone hanno partecipato a diverse manifestazioni convocate dall’opposizione in ventisei capitali provinciali del Brasile e nella capitale federale Brasilia chiedendola destituzione della presidente Dilma Roussef. La moltitudine la responsabilizza della corruzione di Petrobras , la impresa petrolifera statale e privata, ma dietro tutto questo c’è la mano nera esperta in rivoluzioni che ora sta operando acutamente in Brasile.

Recentemente la Suprema Corte de Brasil autorizzò l’apertura delle investigazioni su cinquantuno politici, tra questi due governatori e trentaquattro legislatori, incluso il presidente del Senado, Renan Calheiros e quello della Cámara Baja, Eduardo Cunha. Apparentemente tutti erano coinvolti nella rete di corruzione di Petrobras che ha dirottato dall’impresa, tra il2004 e il 2012, circa 3700 milioni di dollari attraverso il riciclaggio di denaro e sovrafatturazione in lavori e contratti. Il supposto autore di questa rete, ex direttore dei servizi di Petrobras, Renato Duque è già stato arrestato e sta collaborando con gli investigatori.

Certamente le proteste in termini generali mostrano la solidità della democrazia in Brasile, recuperata trenta anni fa dopo ventuno anni di dittatura militare (1964-1985), e a riconoscerlo è stata la stessa Rousseff. Tuttavia i cortei di domenica scorsa non sono stati espressione di una reazione spontanea del popolo che espressa la propria indignazione, ma sono stati preparati ed organizzati dalla destra nazionale sconfitta alle elezioni presidenziali nel 2002, 2006, 2010 e 2014. Le sue parole d’ordine durante questi dodici anni di governo del Partito de Trabajadores (PT) continuano ad essere sempre le stesse : Fuera Lula ! Fuera Dilma ! Fuera PT !

Il teologo e filosofo brasiliano Leonardo Boff, nelle sue analisi delle recenti proteste, ha affermato che “in Brasile c’è una rabbia generalizzata contro il PT, che è piuttosto una rabbia indotta dai mezzi di comunicazione, e non si tratta tanto di odio nei confronti del Partito de Trabajadores quanto di odio nei confronti di quaranta milioni di poveri che sono stati inclusi e che occupano ora gli spazi che prima erano riservati alle classi benestanti”. Come ha detto lo scrittore e giornalista argentino José Steinsleger, invocando il film del famoso cineasta brasiliano Glauber Rocha”El León de 7 Cabezas” (1970), le sette teste dell’opposizione in Brasile rappresentano i banchieri, i latifondisti, gli imprenditori, i tecnocrati, i mezzi di comunicazione, i narcos e le sette religiose impegnati a rovesciare “il processo di cambiamento e giustizia sociale più profondo e prolungato che ha vissuto il Brasile dai tempi di Getulio Vargas e Joao Goulart (1951-1964)”.

La destra brasiliana non ha mai potuto accettare questi dodici anni del governo PT e la perdita del controllo del paese, della società e della nazione. Come non ha mai voluto riconoscere i successi dell’ultima decade dei governi di Lula da Silva e di Dilma Rousseff. La povertà relativa è scesa dal 36.4 % del 2002 al 18.6 % del 2014 e la povertà estrema dal 15 al5.29 %. Milioni di persone sono state beneficiate con abitazioni popolari,sussidi, accesso alla sanità e all’educazione; il salario minimo è stato aumentato e la disuguaglianza è diminuita.

La destra brasiliana non ha mai potuto accettare questi successi nonostante i governi di Lula e Dilma non abbiano osato finirla con il neoliberalismo, anche se sono riusciti a modificarlo leggermente ed a creare condizioni per la crescita economica con una redistribuzione della ricchezza più equa. Per questo continua ad aumentare le pressioni sul governo del PT tentando di screditarlo. La classe media partecipa a questo gioco, ed è influenzata dai mezzi di comunicazione guidati dall’oligarchia.

I mezzi di comunicazione brasiliani, in mano a quattordici gruppi familiari che possiedono il 90% del mercato della comunicazione, hanno assunto il ruolo di principale partito d’opposizione. Lo ha riconosciuto nel2010 la direttrice del quotidiano conservatore nazionale Folha de Sao Paulo,Judith Brito, che ha segnalato che “dato che l’opposizione si trova profondamente debilitata, sono i mezzi di comunicazione che di fatto portano avanti il lavoro. A volte con molta immaginazione”.

Ciò che dice Brito significa, nel mondo del giornalismo,distorcere la realtà accomodandola agli interessi della elite e convertire il falso nel vero, e qualsiasi errore o difficoltà del governo in crimine o inattitudine ad assecondare il malcontento popolare. A tali sedicenti difensori della democrazia non importa rovesciare, utilizzando tutti i mezzi a disposizione, un governo democraticamente eletto dalla maggioranza della popolazione.

Le manifestazioni del 15 marzo hanno confermato questi piani dell’opposizione, che nemmeno è stata capace di elaborare e presentare un piano coerente per indirizzare l’economia nazionale in un momento in cui attraversa una fase di forti difficoltà, ne tantomeno è riuscita ad individuare i mezzi con i quali contrastare la corruzione. Il principale candidato oppositore per il Partido Social Democracia Brasilena (PSDB), Aecio Neves, che subì lasconfitta nelle elezioni presidenziali del 2014, ha arringato i manifestanti per rovesciare la presidente Rousseff, assestare i programmi sociali e non permettere che il Brasile diventi una nuova Venezuela, secondo quanto ha detto.In totale circa venti organizzazioni, movimenti e partiti sono scesi in piazza per esigere la destituzione dell’attuale governo, e tra loro i movimenti Vem Para Rua (Ven a la Calle), conosciuto dal 2013 come uno degli organizzatori delle proteste contro la Coppa del Mondo, Revoltados Online, che ha cominciatola sua militanza undici anni fa lottando contro la pedofilia e finendo con l’appoggiare l’idea di un governo militare, e Movimiento Brasil Livre che riunisce molti universitari.

Nemmeno sono mancati i Legalistas, e la loro idea di un ritorno dei militari al potere per “calmare l’economia e terminare la corruzione”, con le parole d’ordine “SOS Fuerzas Armadas”. Sembra proprio che questi settori abbiano dimenticato il golpe del 1964 e la conseguente repressione degli oppositori, che continuò fino al 1985.

Tutti questi sostenitori del colpo di Stato dovrebbero rivedersi i documenti del dipartimento di Stato nordamericano del 1967-1977 che il vicepresidente Joe Biden ha consegnato a Dilma Rousseff durante la sua visita per la Coppa del Mondo. In questi dispacci si menziona il fatto che i brasiliani hanno sviluppato un nuovo “sistema di tortura basato sulla coazione psicofisica per intimidire e terrorizzare i sospettosi”. Quello che non è menzionato sui documenti statunitensi è che l’inventore di questo sistema è stato il tristemente famoso torturatore ed ex agente dell’FBI Dan Mitrione, il padre della “Silla de Dragón” che dal 1960 al 1967 andò in Brasile a perfezionare la sua diabolica arte e che poi operò in Uruguay dove fu giustiziato dai tupamaros. In questi stessi documenti l’ambasciatore statunitense in Brasile, William Rountree, raccomandava cinicamente al dipartimento di stato di “prendere in considerazione la sensibilità e l’orgoglio nazionale dei brasiliani ed evitare tentativi di pressione sul governo rispetto alla tortura, per non danneggiare le relazioni”. Dimenticare tutto questo sarebbe un crimine.

Tuttavia, l’opposizione senza poter contenere la sua rabbia di classe non prende in considerazione le conseguenze di un colpo di Stato. Simultaneamente, i suoi colleghi delle elites globalizzate internazionali e in particolare gli “illuminati” globalizzatori nordamericani vedono la possibilità di finirla con il Brasile come paese sovrano, allontanarlo da UNASUR e CELAC e debilitare il gruppo BRICS che rappresenta un pericolo per l’egemonia degli USA e del sistema economico mondiale creato dal Fondo MonetarioInternazionale, la Banca Mondiale e la Federal Reserve americana.

Nemmeno dobbiamo dimenticarci le rivelazioni di Snowden rispetto al Brasile: “Whats’s Behind Hidden CIA Base in Brazil”. In questo documento l’ex tecnico NSA parla dell’interesse geopolitico del nordamerica verso il Brasile e specialmente verso i suoi giacimenti di petrolio recentemente scoperti in mare, che arrivano a contenere intorno ai 100.000milioni di barili. Il problema è stato che tanto il governo Lula quanto quelloDilma ha preferito firmare contratti con la corporazione cinese SINOPEC invece che Chevron. A maggio del 2013 il vicepresidente USA Joe Biden, durante una visita in Brasile, cercò di persuadere invano la presidente Rousseff a lasciar entrare le imprese energetiche statunitensi nel mercato brasiliano.Curiosamente, due mesi dopo la sua fallita visita, cominciarono ondate di proteste sempre più intense contro il governo del Partido de Trabajadores. L’opposizione ha già annunciato il prossimo corteo per il 12 aprile:”No nos dispersemos!”.

Secondo il ministro di Giustizia brasiliano José Eduardo Cardoso, “la richiesta di destituzione contro Dilma puzza di golpe”. La stampa internazionale sta divulgando ripetutamente notizie sul fallimento economico del governo Rousseff, la corruzione, l’isolamento della presidente e il malcontento popolare, occultando i successi del suo governo durante questa decade. Lentamente si stanno creando condizioni per una “revolución de colores” e per far tornare il Brasile tra le braccia degli Stati Uniti.  Fino ad ora non si sa della partecipazione diWashington nell’organizzazione delle manifestazioni. Tuttavia, circa 400 agenti di differenti servizi d’intelligenza statunitense sarebbero arrivati recentemente alle ambasciate nordamericane in Brasile, Bolivia, Venezuela, Ecuador,Argentina e Cuba, secondo quanto denunciato dal periodista venezuelano José Vicente Rangel.

Si sta cucinando qualcosa in questo paese. Nel caso di Dilma Rousseff il suo destino verrà deciso il prossimo settembre durante la sua visita a Washington. Mentre sulla possibile reazione del popolo brasiliano alla decisione dell’opposizione di destituire la presidente è difficile esprimersi esattamente, per il momento. Il popolo, nell’espressione del poeta inglese Alexander Pope, “è una fiera di multiple teste” ed anche loro stanno organizzando cortei ed azioni di appoggio.

Fonte :
http://mundo.sputniknews.com/firmas/20150319/1035488417.html#ixzz3Upjgkal2

 

VENEZUELA MINACCIA(TA)

Di Luis Britto García.
Traduzione di Davide Angelilli

19-3-2015 Venezuela Minaccia(ta)

  1. Come può il Venezuela essere considerata una “minaccia straordinaria e inusuale alla sicurezza nazionale e alla politica estera statunitense? Siamo un paese di media estensione, con modesto sviluppo industriale, armamento convenzionale, esercito con moderato numero di effettivi e che, da quando liberammo quelle che oggi sono cinque repubbliche a inizio del secolo XIX, mai ha aggredito nessun popolo.
  2. Venezuela minaccia con l’esempio. L’impero vive del saccheggio delle risorse naturali delle industrie basiche delle nazioni periferiche. Venezuela è l’eloquente dimostrazione di che un paese può utilizzare i due elementi a beneficio del suo popolo per vie democratiche e costituzionali.
  3. L’impero ricorrerà a otto vie complementari per annichilare il Venezuela. La prima, l’esacerbazione della guerra economica con un bloqueo progressivo per forzare un risultato avverso al bolivarismo nelle elezioni per i Potere Legislativo. La seconda, utilizzare questa maggioranza desiderata per un golpe di Stato parlamentario in stile Paraguay. La terza, l’intensificazione del terrorismo dei paramilitari e mercenari per simulare uno scenario da “guerra civile”. La quarta, per coronare questo montaggio proverà ad assassinare il presidente o un attentato di falsa bandiera. La quinta, un intervento militare di un altro paese della regione. La sesta, un’aggressione diretta con truppe e macchine imperiali, dalle basi che già stanno in America Latina e il Caribe. La settima, la campagna mediatica per nascondere e deformare la natura delle precedenti aggressioni, al paese e al mondo. L’ottava, l’aggressione diplomatica per tirare fuori dagli organi internazionali verdetti di condanna al paese.
  4. Come salvarci? Combattere la guerra economica che demoralizza a la cittadinanza, con l’assunzione statale del controllo delle importazioni basiche, con implacabili sanzioni contro imprese corrotte e complici in frodi cambiarie, speculatrici, e di contrabbando d’estrazione, e con la promulgazione di leggi per regolare delitti finanziari, tradimento alla patria e infrazioni di sicurezza. Vincere le elezioni parlamentari con reputazione immacolata, non coinvolti in delitti né corruzioni.
  5. Così come terziarizza la sua economia, gli Stati Uniti terziarizzano i suoi eserciti. Prima l’integrano con mercenari reclutati trai sui ispani, afroamericani, gli emarginati; dopo, fonda finanzia e equipaggia organizzazioni terroriste composte da sicari e terroristi sotto salario come Al Qaeda e El Daesh. Probabilmente, l’aggressione al Venezuela si terziarizzerà attraverso di un terzo paese o delle loro forze paramilitari, che hanno infiltrato profondamente la nostra società. Molti degli integranti furono arrestati attuando durante le ondate terroriste del 2014. È opportuna un’azione congiunta tra organismi di sicurezza e movimenti sociali per localizzare e neutralizzare questi invasori silenziosi prima che tornino a mobilitarsi. In ogni caso, non è sicuro il trionfo degli aggressori.
  6. Potenziamo le misure di sicurezza per dirigenti e figure chiavi, così come per installazioni e persone statunitensi. Convinciamo a paesi vicini, che da mezzo secolo combattono infruttuosamente un’insurrezione interna, che sarebbe impossibile vincere contro una sollevazione interna e un’altra esterna.
  7. Nelle aggressioni imperiali, l’esercito convenzionale del paese vittima è spesso distrutto dopo poche settimane. Quello che decide il conflitto è la resistenza popolare. Il popolo venezuelano non può aspettare che cadano bombe per preparare la difesa. Organizzazioni popolari, movimenti sociali, sindacati, partiti, comunas, cooperative, devono già da ora coordinare con il governo e l’esercito regolare risposte, strategie di sopravvivenza e per preparare il popolo alla guerra.
  8. Abbiamo costruito un sistema di mezzi di servizio pubblico, comunitari, alternativi che ci permettono maneggiare la battaglia comunicativa interna. Bisogna riformare e dinamizzare senza esitazioni questo sistema per portarlo alla sua massima efficacia. Dobbiamo utilizzare i satelliti che disponiamo per portare questo messaggio al mondo.
  9. Venezuela ha fatto quasi più di qualunque altro paese per lo sviluppo di una diplomazia multipolare. Incorporata al Mercosur, motore di organizzazioni integrazioniste latinoamericane come l’ALBA, la Celac e Unasur che escludono a Stati Uniti e Canada. Venezuela ha consolidato relazioni con Asia e Africa e con i paesi Non Allineati. Queste reti diplomatiche hanno un peso negli organismi internazionali e devono essere usate per propiziare nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU il veto di Russia e Cina, impenetrabile scudo contro l’interventi.
    Cuba ce l’ha fatta. Noi anche.

 

 

Fonte:
http://luisbrittogarcia.blogspot.com.es/2015/03/venezuela-amenazada.html

 

Il Venezuela lancia due settimane di esercitazioni militari, con armi cinesi e russe: “U.S. pericolo imminente”.

Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: articolo di John Hall, apparso sul Daily Mail online lunedì 16 marzo, in cui si dipinge un Venezuela che si appresta ad un attacco militare nei confronti degli Stati Uniti, con tanto di addestramenti militari e rafforzamento dei poteri centrali.

 

Venezuela has declared the United States to be an ‘imminent danger’ at the launch of two weeks of Cold War-style military drills and parades featuring weapons made in Russia and China

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Soldati venezuelani nell’esercitazione militare ordinata da Nicolas Maduro lo scorso sabato a Caracas.
Il Venezuela ha dichiarato essere gli Stati Uniti un “pericolo imminente”  al lancio di due settimane di esercitazioni e parate militari, in stile Guerra Fredda, equipaggiati con armi fabbricate in Russia e Cina.

 

Al grido di “patria socialista” e marchiando gli Usa come “imperialisti”, sabato pomeriggio 80.000 soldati e 20.000 civili sono scesi sulle strade di Caracas per una manifestazione anti-statunitense.

 

Il parlamento venezuelano ha seguito le proteste di ieri, approvando una legge che consegna all’assediato presidente Nicolas Maduro il potere di legiferare tramite decreti per nove mesi, in faccia a quella che era descritta come la “minaccia statunitense” per le nazioni sudamericane.

 

Il varo di due settimane di esercitazioni militari arriva appena qualche giorno dopo che Barack Obama ha dichiarato il Venezuela una minaccia per la sicurezza nazionale, limitati i viaggi nel paese e congelato i beni di alcuni cittadini di una nazione alle prese con una diffusa scarsezza di risorse.

 

Maduro ha richiesto l’espansione dei poteri in risposta alle sanzioni statunitensi ai funzionari venezuelani accusati di violazione dei diritti umani. Critici del governo hanno chiamato la mossa una presa di potere.

 

Gli Stati Uniti stanno individuando i funzionari di alto rango dell’apparato di sicurezza venezuelano, responsabili di un giro di vite nelle proteste anti governative dello scorso anno e di  perseguire accuse contro gli oppositori di governo. Questi saranno privati del permesso di entrare negli Stati Uniti, e i loro beni congelati.

 

I leader dei governi di sinistra del Sud America si sono espressi in supporto del Venezuela, mentre Washington ha respinto le affermazioni di Maduro, secondo cui gli Usa stanno cercando di danneggiare il suo governo sollecitandolo a concentrarsi sui problemi interni del paese, come la scarsità di cibo e l’inflazione galoppante.

 

Le due settimane di esercitazioni militari sono largamente riconosciute come il tentativo di Maduro di sollevare il sentimento patriottico nella speranza di migliorare il decadente consenso nei suoi confronti, in vista delle cruciali elezioni di fine anno.

 

Parlando al Financial Times, il professore di relazioni internazionali all’Università Centrale del Venezuela Carlos Romero ha detto che le dichiarazioni di Washington sulla nazione come minaccia per la sicurezza nazionale “hanno ampiamente giovato il governo venezuelano”.

 

Romero ha aggiunto che il Venezuela ha usato l’annuncio per suonare la carica in sostegno del governo, tramite una reazione dai modi “esagerati, quasi drammatici”.

 

Maduro ha precedentemente affermato che gli Stati Uniti, i quali rimangono i più importanti acquirenti del petrolio venezuelano, hanno appoggiato il tentativo di rimuoverlo dal potere.

 

Nel 2002 un colpo di stato, che ebbe il tacito supporto degli Stati Uniti, spodestò brevemente Hugo Chávez, carismatico mentore di Maduro, nonché suo predecessore.

 

Articolo originale:

 

La comunità cristiana americana contro la Casa Bianca

Traduzione di Lorenzo Mastropasqua.

5 teologi e attivisti dei diritti umani scrivono a Obama riguardo la questione venezuelana.

Gli ambienti religiosi spesso sono fondamentali nel determinare la politica di un paese, in questo testo si coagulano le opinioni di 5 importanti personalità del mondo religioso americano (sia latino che statunitense) che si scagliano apertamente contro l’ordine esecutivo della Casa Bianca di classificare il Venezuela come minaccia per la sicurezza nazionale.

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1° foto: Miguel D’escoto prete cattolico(Maryknoll) ex cancelliere del Nicaragua, ex presidente dell’Assemblea generale dell’Onu. 2°foto: Ramsey clark avvocato e ex procuratore generale degli Stati Uniti. 3° foto: Pedro Casàldaliga Vescovo di Altava(Brasile) poeta e teologo della liberazione 4° foto: Leonardo Boff(Brasile) prete francescano insegnante filosofo e teologo della liberazione 5° foto: Thomas Gumbleton Vescovo cattolico di Detroit e attivista dei diritti umani.

Caro presidente Obama,

ti salutiamo come un fratello, discepolo di Gesù, con tutto l’amore e il rispetto che ti dobbiamo, come del resto in conformità ai nostri voti, dobbiamo a tutti, compresi quelli che con noi si comportano da nemici.

Cosa ti è successo, caro fratello? Cosa ne è stato dell’intrepido e luminoso Obama che, nel 2008 attraverso la sua campagna presidenziale, ha parlato del cambiamento, di un VERO cambiamento che contemplasse l’adesione del popolo? Tu hai ridato la speranza a milioni di persone, non solo negli Stati uniti ma ovunque nel mondo, a noi compresi. Ci ricordiamo dei tanti sondaggi fatti a persone afroamericane, molte delle quali non erano favorevoli alla tua elezione, non perché non ti amassero o perché non erano d’accordo con i valori che difendevi. Loro ti amavano troppo. Temevano la tua morte per mano del sistema industrial-militare e finanziario, che si sarebbe sicuramente attivato se tu avessi avuto il coraggio di affrontarlo con la tua visione e la tua promessa di riportare gli Stati uniti nella comunità «umana».

Sicuramente saprai che gli Stati uniti da sono sempre il paese più odiato nella storia del mondo, per la loro arroganza e la loro ossessione nazionalista e diabolica, di dominazione planetaria. Contrariamente ad alcuni tuoi predecessori come Ronald Reagan e George W. Bush, che non si sono certo distinti per la loro intelligenza, tu sei senza dubbio una persona dotata di spiccate facoltà intellettive. Di più, hai manifestato un attaccamento a dei valori morali ed etici profondamente ancorati nella tua coscienza ed un’adesione ai valori di Gesù, che  di fatto sono i valori di tutti i grandi leader spirituali di ogni religione del mondo. Quello che ci spinge, caro fratello, a scriverti questa lettera, è il vergognoso decreto esecutivo di «urgenza nazionale» che hai adottato il 9 marzo 2015 dichiarando che «la situazione in Venezuela rappresenta una minaccia inabituale e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli U.S.A».

Visto come ti sei comportato, non possiamo non pensare alla decisione presa da Reagan, ormai  trent’anni fa, di appoggiare le Contras nella guerra contro il Nicaragua Sandinista negli anni ’80. Questa decisione, che consideriamo vergognosa ed estremamente ipocrita, è anche una violazione flagrante del diritto internazionale: trattandosi di una minaccia dell’uso della forza contro il Venezuela e allo stesso tempo un’ incitamento ai tuoi scagnozzi venezuelani di continuare gli sforzi per destabilizzare il paese.

Dovresti sapere, caro fratello, che in America Latina esiste un sentimento crescente d’unità e solidarietà che attraversa tutta la regione. Nello stesso tempo, rigettiamo il tuo arrogante ordine esecutivo interventista, e ti auguriamo di voltarti verso Gesù, la fratellanza e la solidarietà; abbandonando una volta per tutte i demoni della cupidigia, della guerra e della dominazione planetaria.

Continueremo a pregare per te e per i tuoi cari.
Il tuo paese è il nostro mondo.

  • Miguel d’Escoto Brockmann, Prete Maryknoll, Nicaragua
  • Pedro Casaldaliga, Vescovo, Brasile
  • Ramsey Clark, Stati uniti
  • Leonardo Boff, Brasile
  • Thomas Gumbleton, Vescovo, Stati uniti

Fonte: https://venezuelainfos.wordpress.com/2015/03/15/6924/

L’imperialismo oggi. “Diritti umani o interessi di classe?”

clip_image052di Geraldina Colotti per CaracasChiAma

La bandiera dei diritti umani, si sa, può essere tirata da tutti i venti e non è detto che il vento più forte ne scopra il lato veritiero. E così, il presidente di uno stato che si considera il gendarme del mondo dichiara, senza paura del ridicolo, che il Venezuela è “una minaccia straordinaria” per la propria sicurezza nazionale, e decide di emettere sanzioni contro il governo di Nicolas Maduro per presunte violazioni ai diritti umani. Come può un paese piccolo il cui esercito non ha mai aggredito nessuno minacciare gli Stati uniti? Qualunque essere senziente dovrebbe porsi la domanda, e poi chiedersi ancora: con quale credibilità può ergersi a paladino dei diritti umani un governo come quello Usa, promotore di guerre e barbarie, alleato e complice dei governi più liberticidi? L’ipocrisia risulta più evidente osservando il disinteresse per i dati provenienti dal Messico, un paese in cui scompare una persona ogni 90 minuti. Ecco quanto ha appurato Juan Mendez, relatore speciale delle Nazioni unite sulla tortura e altri tratti o pene crudeli, inumane e degradanti: in Messico, la tortura è generalizzata e viene applicata in un contesto di totale impunità. Recita il rapportoprotesta-despaarecidos-turq_0_0_628_524_94_0_765_560 Onu: “La tortura e i maltrattamenti durante i momenti che seguono alla detenzione e prima del deferimento al giudice, in Messico sono generalizzati e avvengono in un contesto di impunità”. Il relatore ha visitato il paese tra il 21 aprile e il 2 maggio del 2014, dunque prima della scomparsa dei 43 studenti “normalistas”, attaccati dalla repressione congiunta di polizia e narcotrafficanti il 26 settembre del 2014. Un caso che ha commosso il mondo e che ha portato sotto i riflettori la terribile realtà delle scomparse in Messico e l’eliminazione degli oppositori politici. La relazione di Mendez dice che, nella pratica corrente della tortura “ è evidente la partecipazione attiva delle forze di polizia e di quelle ministeriali di quasi tutte le giurisdizioni, e anche quella delle Forze armate”, e che risulta anche “la tolleranza, indifferenza e complicità da parte di alcuni medici, difensori pubblici, giudici e procuratori”. Il relatore denuncia altresì che, soprattutto nelle prime fasi dell’arresto, le possibilità di preservarsi dalla tortura e dagli abusi e di chiedere “un’inchiesta rapida, imparziale, indipendente ed esaustiva sono minime”.

Non ce ne sarebbe a sufficienza per sanzionare il governo neo-liberista di Enrique Pena Nieto, grande amico degli Usa?

E che dire dell’Honduras, paese in cui dopo il golpe del 2009 contro il presidente Manuel Zelaya gli assassinii di oppositori politici e di giornalisti sono moneta corrente al pari del Guatemala dell’ex generale Otto Pérez Molina?

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In tutta evidenza, quelli che gli Usa difendono, non sono “diritti”, ma interessi: interessi di classe, di rapina e di mercato, imposti con le guerre imperialiste che li alimentano. “La vera minaccia per il popolo degli Stati uniti è il suo governo”, ha detto Nicolas Maduro. Come dargli torto?

Washington difende gli interessi dei golpisti venezuelani, messi in carcere non per le loro idee, ma per atti concreti, per dei reati che, negli Usa e in Europa, sarebbero costati ergastoli o poco di meno. In Italia, in Spagna, in Germania, ne sanno qualcosa i movimenti rivoluzionari di ieri e di oggi. E gli Usa, non hanno forse tenuto in carcere per 16 anni i cinque eroi cubani e lasciato liberi gli eversori di Miami? E non rimane da oltre trent’anni nelle carceri Usa l’indipendentista portoricano Oscar Lopez Rivera? E l’Italia non ha forse messo in galera quasi 6.000 militanti della lotta armata di sinistra degli anni ’70-80? Non hanno forse torturato le democrazie italiana e spagnola e condannato a centinaia di ergastoli i militanti brigatisti e quelli baschi?

In Venezuela, il 27 febbraio del 1989, durante la rivolta popolare denominata il Caracazo sono state uccise e fatte scomparire circa 3.000 persone: ma non c’è stata condanna per l’allora governo Pérez che ha dato ordine di sparare sulla folla inferocita dalla fame e dall’esclusione sociale. “Mano dura contro gli incappucciati”, proclamava l’allora governatore di Caracas Antonio Ledezma… E nessuna condanna è stata emessa dagli organismi internazionali dopo il colpo di stato contro il legittimo governo di Hugo Chavez, nel 2002. Anche allora, Ledezma era della partita, insieme alla pasdaran degli Usa, Maria Corina Machado e all’altro golpista Leopoldo Lopez. Quest’ultimo, come hanno mostrato i documenti pubblicati da Wikileaks – il sito che ha reso noto il Cablogate -, è al soldo di Washington da vent’anni. Tuttavia, mentre lui ha potuto liberamente complottare in Venezuela, fino alle violenze dell’anno scorso, il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, ha dovuto rifugiarsi nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per sfuggire all’ira di Washington. Quanto a Henrique Capriles, altro ex golpista, sobillatore delle violenze post elettorali dell’aprile 2013, oggi è più defilato, ma il programma che propone il suo campo non è meno insidioso.

E’ dunque il “diritto al golpismo” quello che gli Usa difendono, il diritto a sovvertire i governi non subalterni, il diritto a cancellare il cambiamento più profondo che abbia mai interessato il Venezuela: una rivoluzione per le classi popolari in un paese che custodisce le più importanti riserve certificate di petrolio al mondo.

Eppure, anche alcuni dirigenti della sinistra, in Europa e nell’America latina, hanno agitato la bandiera dei “diritti umani” come un’arma contro il Venezuela: in Spagna, Pablo Iglesias ha dichiarato di essere contrario alla detenzione di Ledezma; in Uruguay, il vicepresidente Raul Sendic (subito corretto dalle dichiarazioni dell’ex presidente Pepe Mujica) ha affermato che “non ci sono prove” delle ingerenze Usa in Venezuela; in Argentina, un candidato di sinistra alla presidenza, Jorge Altamira, ha difeso la ex deputata Machado e ha accusato di golpismo il governo bolivariano. Di tutt’altro tenore, invece, le dichiarazioni della presidenta argentina Cristina Kirchner, che ha ben chiara a portata del progetto reazionario perseguito dai poteri forti contro l’America latina progressista, dal Venezuela, all’Argentina, al Brasile. E tuttavia, in Europa e in Italia in particolare, si continua a parlare dell’esistenza di “due sinistre” latinoamericane: una, bollata come “caudillista” a cui, nell’eredità di Cuba, appartengono il Venezuela e i paesi dell’Alba. Un progetto da sanzionare e contrastare. Un’altra, più soft e accettabile, più simile alle tanto decantate democrazie europee, a cui apparterrebbero paesi come Uruguay e Brasile. Una sinistra da giocare in chiave antisocialista, anche se – all’atto pratico – risulta appartenere al campo delle relazioni solidali sud-sud. Ma, intanto, su questa scia e nel solco di Washington, il Parlamento europeo ha condannato il governo Maduro per le presunte “violazioni dei diritti umani” dell’opposizione.

Nicaragua_Libre_Ninha_Grafiti_450RDavvero la bandiera dei diritti umani non basta (e a volte non serve) per indicare un giudizio se non a patto di assumersi fino in fondo la propria scelta di campo. Il campo della borghesia è quello che, con un discorso analogo a quello pronunciato da Obama contro il Venezuela, nel 1980 ha condannato il Nicaragua sandinista alla barbarie dei Contras per bocca di Ronald Reagan. Il campo della borghesia ha dalla sua i grandi media e la loro lingua biforcuta, che capovolge i dati e il senso delle cose. E così, la Dea (l’antidroga Usa), con una mano favorisce il narcotraffico per pagare l’eversione contro il socialismo, con l’altra definisce narcotrafficanti gli stati come la Bolivia che rifiutano la sua tutela, o persegue con la stessa accusa le organizzazioni armate, come le Farc in Colombia, che lottano a fianco dei contadini e dei diseredati. E ora rivolge la medesima arma contro il Venezuela, benché abbia facilitato il processo di pace tra Farc e governo Santos fin dal principio. O appunto per questo.

L’altro campo, è quello di chi ha a cuore la libertà e la giustizia sociale, un binomio inseparabile e un termometro di civiltà. Il campo di chi riconosce il diritto inalienabile di un popolo a scegliere, in modo trasparente e consapevole, il cammino per realizzarle. Il campo di chi difende il diritto degli oppressi al proprio riscatto e non ha paura di farsene contagiare.

Wallmapuwen, l’unico strumento politico di tutti gli abitanti mapuche e cileni.

Pubblichiamo l’intervista al Presidente del Wallmapuwen, strumento politico delle popolazioni indigene del territorio Mapuche.

Traduzione di Raffaele Piras.

ci abbeveriamo delle lotte di altri popoli del mondo che sono referenti necessari delle resistenze per l’autonomia, come i Paesi Baschi, la Catalogna, la Palestina, il Kurdistan ed il popolo del Sahara Occidentale

 

WallmapuwenCon i suoi 30 anni, Ignacio Astete Nahuelcoy presiede il partito politico chiamato, insieme ad altre forze, a conquistare lo statuto autonomo di tutti gli abitanti del territorio mapuche nel paese cileno. E’ nato nel comune di Saavedra nella regione della Araucanía, territorio Lafquenche, e si è laureato in Contabilità e Finanza dell’Università di La Habana, Cuba. Racconta la sua dirigenza studentesca nell’Università di LaFrontera de Chile e ci spiega che “Wallmapuwen (‘ciudadano del país mapuche’) è un movimento autonomista che è situato nel territorio del Wallmapu (‘paìs mapuche’), il quale si trova sotto il dominio dello Stato Cileno all’incirca dal 1885, ovvero dalla “Pacificaciòn dela Araucanía”. Questa, tuttavia, altro non fu che un’occupazione ed usurpazione di un territorio che fin a quel momento era di sovranità del popolo mapuche”, ed aggiunge che “Wallmapuwen è nata una decade fa (2005) e porta avanti la missione di fare esercizio del diritto all’autodeterminazione e del diritto all’autonomia che ci spetta come popolo. L’obiettivo è quello di ottenere l’amministrazione mapuche del suo luogo, con tutte le caratteristiche che possiede il territorio oggi. Il suo funzionamento interno è semplice, effettivo e democratico. Si basa su un consiglio direttivo orizzontale eletto dall’Asamblea General, ed allo stesso modo vengono risolte le sue politiche principali. Comanda l’assemblea. Esistono comitati comunali decentralizzati con piena capacità decisionale”.

Partite da un’analisi concreta della situazione reale del territorio?

Infatti. Per questo motivo il nostro movimento tiene anche in considerazione il fatto che il territorio è occupato non solo dai mapuche, ma anche da altre popolazioni, come quella cilena. Pensiamo dunque che i diritti collettivi di entrambi i popoli debbano stare a parità di condizioni.

Somos una fuerza anticapitalista”

Qual è la differenza dello strumento Wallmapuwen rispetto alle altre iniziative politiche esistenti nel territorio mapuche che resiste?
“Non esiste altro movimento che partecipi alle elezioni e che sia situato nel territorio mapuche. Siamo l’unica organizzazione politica che reclama dal campo elettorale un territorio autonomo di amministrazione propria. Altra differenza è che noi rivendichiamo un territorio per tutti quelli che lo vivono, tanto per i mapuche quanto per i cileni. Per il resto dei partiti del sistema politico, i mapuche sono solo il fattore indigeno. Wallmapuwen è uno strumento che si allontana dai ghetti politici e che persegue l’obiettivo secondo cui ambo i popoli, mapuche e cileno, che hanno vissuto separati dal confronto continuo, possano vedersi come abitanti di uno stesso luogo, capaci di convivere rispettosamente”.

Riguardo le versioni politiche provenienti dal puro nazionalismo che, per ragioni storiche provenienti dall’oppressione dello Stato , si inalbera come caposaldo esclusivo per la liberazione ?

“L’identità nazionale esiste, certamente. Tuttavia, la nostra visione di nazione è democratica. Il nostro orizzonte è la radicalizzazione della democrazia. Non possiamo ne tantomeno vogliamo negare il diverso. Al contrario. Non parliamo del non-mapuche, parliamo del cileno. Non partiamo dall’esclusione. Nel nostro territorio ci sono mapuche e cileni in tutti gli ambiti della vita, e con loro condividiamo la vita stessa. Da questa realtà ineludibile, noi pretendiamo il principio dell’autonomia. Evidentemente ci sono conflitti con determinate persone e soggetti cileni, però l’immensa maggioranza della popolazione non si trova all’interno di tale conflitto.

Però l’accento è posto sul popolo Mapuche ovviamente…

Siamo stati oggetti di razzismo, criminalizzazione ed impoverimento dallo Stato cileno. Siamo i più castigati tra i castigati nel nostro stesso territorio. Siamo sottomessi economicamente, culturalmente, politicamente e militarmente. È in questo contesto basico che riconosciamo la coabitazione e l’inclusione dei popoli, sotto gli stessi diritti. E siamo rispettosi dei diritti umani e dei diritti cittadini di tutti quanti. Per questo non vogliamo fare proposte che schiaccino il cileno che vive con noi. Sarebbe un controsenso. Soprattutto, perché la maggioranza dei cileni che vive il territorio soffre i nostri stessi problemi: povertà, insalubrità e discriminazione”.

Cioè voi sostenete una prospettiva analitica che rivela le forme di dominazione globale e non solo del popolo Mapuche…

“Non siamo estranei al movimento del capitalismo mondiale ed ai suoi effetti nefasti in Cile. Non siamo estranei ai colpi sistematici inflitti al popolo lavoratore in generale. Il Wallmapu è vittima del capitalismo promotore di miseria, della dispersione del nostro popolo e della morte. Siamo contrari all’assoggettamento all’industria forestale ed all’insieme di progetti idroelettrici e termoelettrici che semplicemente deteriorano ancora di più la nostra pessima condizione di vita di mapuche e di cileno. Siamo parte delle relazioni sociali imposte dal capitalismo. Anche per questo siamo una forza anticapitalista”.

Lo scontro culturale

Qual è il programma Wallmapuwen ?

“Trasformare il paesaggio del Wallmapu dalla base. Attualmente siamo impegnati ad affrontare le elezioni  municipali di fine 2016 come partito politico legalizzato, senza dover stipulare alleanze che potrebbero obbligarci ad attenuare aspetti fondamentali del nostro progetto. L’idea di vincere i comuni è relazionata con la promozione dei diritti da tutti gli spazi possibili. Già abbiamo raggiunto esperienza, per esempio, nel comune di Galvarino della provincia di Cautìn, nona regione, che consacriamo come primo municipio bilingue del Wallmapu e del Cile (impartizione formativa della lingua mapudungun). Abbiamo realizzato campagne con l’obiettivo che l’intendente dichiari tutta la regione dell’Aracaunìa come bilingue. Il contesto generale delle nostre lotte è che lo Stato cileno capisca una volta per tutte che non siamo un anello economico in più della sua strategia ed egemonia. È irrisorio il fatto che il nucleo centrale del Wallmapu sia uno dei territori più impoveriti del Cile e allo stesso tempo sia inchiodato dall’industria forestale, una delle forme di saccheggio che riporta al P.I.L. il più alto numero di dividendi, dopo l’estrazione mineraria. Questo deve finire”.

E politicamente ?

Il Wallmapu deve convertirsi in un territorio di decisione. Attraverso un progetto costituente, lottiamo perché la Costituzione tenga conto della realtà plurinazionale e plurilinguistica del paese. Nel nostro strumento politico non abbiamo ricette né modelli, però sappiamo che l’insieme della popolazione del Wallmapu deve poter definire quale sarà la propria Carta Fondamentale che disciplini democraticamente e partecipatamente il territorio. Analogamente, crediamo che nel Wallmapu debba realizzarsi una riforma agraria generale che ci riconsegni tutti i territori usurpati, tanto quelli rubati durante l’invasione spagnola, quanto la terra delle comunità contadine che attualmente soffrono una situazione di emarginazione. Miriamo alla sovranità alimentare in modo che anche i piccoli produttori cileni siano beneficiati”.

Perché istituzionalizzare la lotta autonoma politica mediante la costituzione di un partito legale?

“Perché attraverso uno strumento politico pretendiamo potenziare le richieste sociali e d’autonomia. Il partito non può mai essere fine a se stesso. Il suo obiettivo è legato alla liberazione delle forze sociali per le rivendicazioni. Il Wallmapuwen s’imposta come un catalizzatore in più del movimento popolare territoriale. Da qui siamo aperti a possibile alleanze con tutte e tutti quelli che credono in un Wallmapu libero, autonomo e sovrano. Così è stato fino ad ora e così sarà in futuro”.

A quali successi per il territorio ha collaborato in modo sostanziale Wallmapuwen?

“Abbiamo collaborato affinché la commissione di decentralizzazione presidenziale del Cile preveda che il Wallmapu si trasformi in un territorio autonomo distinto dal resto del territorio cileno. Noi fummo parte di questa discussione, indipendentemente se questa diventi poi realtà o meno un domani. Allo stesso modo, siamo stati parte di un amplio movimento che cerca l’ufficializzazione della lingua mapuche, del mapundugon. Dobbiamo smontare l’apartheid e l’esclusione della cultura dell’identità attraverso l’insegnamento e la diffusione della nostra lingua. Questo è ciò che sta accadendo nel comune di Galvarino. Abbiamo poi realizzato il 20 febbraio del 2015, nel contesto del giorno internazionale della lingua materna, una marcia di due mila persone per la rivendicazione all’intendente regionale dell’ufficializzazione del mapudungu. Il nostro messaggio è diretto all’esecutivo così che ci faccia sapere il suo giudizio”.

La solidarietà internazionalista

E l’internazionalismo del Wallmapuwen?

“Miriamo sempre e ci abbeveriamo delle lotte di altri popoli del mondo che sono referenti necessari delle resistenze per l’autonomia, come i Paesi Baschi, la Catalogna, la Palestina, il Kurdistan ed il popolo del Sahara Occidentale. Le loro lotte ci ispirano perché sappiamo che noi non stiamo inventando la ruota. Di questi popoli facciamo nostro il meglio della loro resistenza. In particolare in materia di scontro per l’ufficializzazione della nostra lingua, con i Paesi Baschi abbiamo sempre avuto una vicinanza fraterna e solidale”.

Fonte : http://www.resumenlatinoamericano.org/2015/03/12/chile-wallmapuwen-el-unico-instrumento-politico-de-todos-los-habitantes-del-pais-mapuche-originarios-y-chilenos/