La Cumbre de las Américas senza afros e indigeni

Traduzione di Raffaele Piras

Jesús Chucho García, ambasciatore afrovenezuelano in Angola

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Marcia indigena a Panama. (fonte: hondurastierralibre.com)

Nonostante la Cumbre de las Américas realizzata la settimana scorsa a Panamà sia stata una delle più straordinarie dal punto di vista politico, riflettendo l’inarrestabile processo di sovranità dei nostri paesi, è stata anche uno dei summit in cui i temi che riguardano cinquanta milioni di indigeni e centocinquanta milioni di afrodiscendenti sono stati totalmente omessi, trascurando parte delle grandi problematiche che toccano i nostri paesi.

Volando basso, sono stati semplicemente menzionati senza sottolineare gli assassini, dislocazioni forzate, razzismo e discriminazione di queste due componenti etniche che con le mani e intelligenza hanno costruito questo continente. La maggior parte dei presidenti ha ignorato che il canale di Panamá è stato costruito, perlopiù, da afrodiscendenti provenienti da quasi tutta la regione del continente.

Molti presidenti e la famosa Cumbre de los Pueblos hanno ignorato che è proprio lì che si consumò uno dei peggiori massacri di studenti, per la maggior parte afroamericani, quando nella decade dei ’60 osarono togliere la bandiera degli Stati Uniti per sostituirla con quella di Panamá come rivendicazione di sovranità panameña sul canale.

Nella strategia della cosiddetta Alianza para la Prosperidad del summit, non sono stati menzionati gli impatti ambientali negativi, provocati dalle corporazioni transnazionali nei corridoi strategici-ecologici, dal Chiapas all’Amazzonia, l’aumentare della voragine nell’Amazzonia brasiliana e i disastrosi effetti delle compagnie petrolifere in Ecuador.

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Lotta indigena in Colombia (fonte: es.comunicas.org)

Indigeni e afrodiscendenti in cifre

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Proteste Garifuna a Vallecito – Honduras (fonte: upsidedownworld.org)

Secondo l’UNICEF ‘’ In America Latina e Caraibi, oltre ai 40-50 milioni di indigeni, sono presenti 150 milioni di afrodiscendenti distribuiti per tutta la regione. Si stima che dei circa 200 milioni di indigeni e afros circa la metà siano bambini e adolescenti minori di 18 anni .’’. Più di cinque mila lingue indigene, così come le varianti creole dei Caraibi, la lingua Garifuna parlata in Centroamerica e Belice, la lingua palenquera e quelle afroreligiose, conferiscono una grande diversità culturale al nostro continente. Nel summit non è stato mostrato nemmeno un simbolo di queste culture ancestrali, se non per essere sminuite o folclorizzate.

Per l’UNICEF ‘’ La marginalità e l’esclusione sono stati convertiti in parte strutturale di queste popolazioni a partire dall’instaurazione del regime di conquista e di colonizzazione europeo del XV secolo, che cercava la manodopera per i lavori agricoli e di miniera che alimentavano le città. La schiavitù e i meccanismi per mantenerla in vita fanno parte dell’olocausto più grande che abbia sofferto l’umanità. Come frutto del razzismo e della discriminazione, questi popoli sono caratterizzati da più bassi livelli nutrizionali, minor copertura e qualità nei servizi educativi e un limitato o inesistente accesso ad altri servizi basilari come quello sanitario, quello dell’acqua, e quello della protezione rispetto al resto della popolazione creolo-meticcia.’’.

Decennio Afrodiscendente

Ci troviamo nel contesto del Decenio de los Pueblos Afrodescendientes (2015/2024), in cui i paesi si sono compromessi nell’implementare un piano d’azione, che è però sabotato da parte di quei paesi che hanno partecipato al terribile commercio di africani e del lavoro forzato di milioni di uomini, donne e bambini per la ‘’prosperità coloniale e neocoloniale’’ delle grandi borghesie, che in qualche maniera contribuiscono tutt’oggi a mantenere in vita forme di potere neocoloniale in molti dei nostri paesi. È necessario innanzitutto che i paesi che nel summit hanno avuto il coraggio di esigere autonomia, sovranità e dignità, esigano anche l’inclusione dei ‘’condannati della terra ’’ che per secoli hanno sofferto discriminazione e violenza etnica. Gli ultradifensori dei diritti umani che hanno attaccato il Venezuela, come l’ossessivo ex presidente messicano Felipe Calderón o l’ex presidente colombiano Andrés Pastrana, non hanno detto assolutamente niente sui massacri di indigeni e afros nei loro rispettivi paesi, evidenziando la struttura mentale razzista e discriminatoria. L’auspicio è che nel summit della CELAC in Ecuador si conformi il comitato dei popoli afrodiscendenti per cominciare a saldare questo debito storico.

Fonte :
http://alainet.org/es/articulo/169034

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Manifestazione Mapuche in Cile. (Fonte: mapuche-nation.org)

Dopo Cristina, Evo e Maduro è la volta di Dilma

Traduzione di Raffaele Piras.

Importanti riflessioni sulle proteste di questi giorni in Brasile contro la presidente Dilma Rousseff .

In Brasile c’è una rabbia generalizzata contro il PT, che è piuttosto una rabbia indotta dai mezzi di comunicazione, e non si tratta tanto di odio nei confronti del Partito de Trabajadores quanto di odio nei confronti di quaranta milioni di poveri che sono stati inclusi e che occupano ora gli spazi che prima erano riservati alle classi benestanti

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Domenica scorsa, circa 1,7 milioni di persone hanno partecipato a diverse manifestazioni convocate dall’opposizione in ventisei capitali provinciali del Brasile e nella capitale federale Brasilia chiedendola destituzione della presidente Dilma Roussef. La moltitudine la responsabilizza della corruzione di Petrobras , la impresa petrolifera statale e privata, ma dietro tutto questo c’è la mano nera esperta in rivoluzioni che ora sta operando acutamente in Brasile.

Recentemente la Suprema Corte de Brasil autorizzò l’apertura delle investigazioni su cinquantuno politici, tra questi due governatori e trentaquattro legislatori, incluso il presidente del Senado, Renan Calheiros e quello della Cámara Baja, Eduardo Cunha. Apparentemente tutti erano coinvolti nella rete di corruzione di Petrobras che ha dirottato dall’impresa, tra il2004 e il 2012, circa 3700 milioni di dollari attraverso il riciclaggio di denaro e sovrafatturazione in lavori e contratti. Il supposto autore di questa rete, ex direttore dei servizi di Petrobras, Renato Duque è già stato arrestato e sta collaborando con gli investigatori.

Certamente le proteste in termini generali mostrano la solidità della democrazia in Brasile, recuperata trenta anni fa dopo ventuno anni di dittatura militare (1964-1985), e a riconoscerlo è stata la stessa Rousseff. Tuttavia i cortei di domenica scorsa non sono stati espressione di una reazione spontanea del popolo che espressa la propria indignazione, ma sono stati preparati ed organizzati dalla destra nazionale sconfitta alle elezioni presidenziali nel 2002, 2006, 2010 e 2014. Le sue parole d’ordine durante questi dodici anni di governo del Partito de Trabajadores (PT) continuano ad essere sempre le stesse : Fuera Lula ! Fuera Dilma ! Fuera PT !

Il teologo e filosofo brasiliano Leonardo Boff, nelle sue analisi delle recenti proteste, ha affermato che “in Brasile c’è una rabbia generalizzata contro il PT, che è piuttosto una rabbia indotta dai mezzi di comunicazione, e non si tratta tanto di odio nei confronti del Partito de Trabajadores quanto di odio nei confronti di quaranta milioni di poveri che sono stati inclusi e che occupano ora gli spazi che prima erano riservati alle classi benestanti”. Come ha detto lo scrittore e giornalista argentino José Steinsleger, invocando il film del famoso cineasta brasiliano Glauber Rocha”El León de 7 Cabezas” (1970), le sette teste dell’opposizione in Brasile rappresentano i banchieri, i latifondisti, gli imprenditori, i tecnocrati, i mezzi di comunicazione, i narcos e le sette religiose impegnati a rovesciare “il processo di cambiamento e giustizia sociale più profondo e prolungato che ha vissuto il Brasile dai tempi di Getulio Vargas e Joao Goulart (1951-1964)”.

La destra brasiliana non ha mai potuto accettare questi dodici anni del governo PT e la perdita del controllo del paese, della società e della nazione. Come non ha mai voluto riconoscere i successi dell’ultima decade dei governi di Lula da Silva e di Dilma Rousseff. La povertà relativa è scesa dal 36.4 % del 2002 al 18.6 % del 2014 e la povertà estrema dal 15 al5.29 %. Milioni di persone sono state beneficiate con abitazioni popolari,sussidi, accesso alla sanità e all’educazione; il salario minimo è stato aumentato e la disuguaglianza è diminuita.

La destra brasiliana non ha mai potuto accettare questi successi nonostante i governi di Lula e Dilma non abbiano osato finirla con il neoliberalismo, anche se sono riusciti a modificarlo leggermente ed a creare condizioni per la crescita economica con una redistribuzione della ricchezza più equa. Per questo continua ad aumentare le pressioni sul governo del PT tentando di screditarlo. La classe media partecipa a questo gioco, ed è influenzata dai mezzi di comunicazione guidati dall’oligarchia.

I mezzi di comunicazione brasiliani, in mano a quattordici gruppi familiari che possiedono il 90% del mercato della comunicazione, hanno assunto il ruolo di principale partito d’opposizione. Lo ha riconosciuto nel2010 la direttrice del quotidiano conservatore nazionale Folha de Sao Paulo,Judith Brito, che ha segnalato che “dato che l’opposizione si trova profondamente debilitata, sono i mezzi di comunicazione che di fatto portano avanti il lavoro. A volte con molta immaginazione”.

Ciò che dice Brito significa, nel mondo del giornalismo,distorcere la realtà accomodandola agli interessi della elite e convertire il falso nel vero, e qualsiasi errore o difficoltà del governo in crimine o inattitudine ad assecondare il malcontento popolare. A tali sedicenti difensori della democrazia non importa rovesciare, utilizzando tutti i mezzi a disposizione, un governo democraticamente eletto dalla maggioranza della popolazione.

Le manifestazioni del 15 marzo hanno confermato questi piani dell’opposizione, che nemmeno è stata capace di elaborare e presentare un piano coerente per indirizzare l’economia nazionale in un momento in cui attraversa una fase di forti difficoltà, ne tantomeno è riuscita ad individuare i mezzi con i quali contrastare la corruzione. Il principale candidato oppositore per il Partido Social Democracia Brasilena (PSDB), Aecio Neves, che subì lasconfitta nelle elezioni presidenziali del 2014, ha arringato i manifestanti per rovesciare la presidente Rousseff, assestare i programmi sociali e non permettere che il Brasile diventi una nuova Venezuela, secondo quanto ha detto.In totale circa venti organizzazioni, movimenti e partiti sono scesi in piazza per esigere la destituzione dell’attuale governo, e tra loro i movimenti Vem Para Rua (Ven a la Calle), conosciuto dal 2013 come uno degli organizzatori delle proteste contro la Coppa del Mondo, Revoltados Online, che ha cominciatola sua militanza undici anni fa lottando contro la pedofilia e finendo con l’appoggiare l’idea di un governo militare, e Movimiento Brasil Livre che riunisce molti universitari.

Nemmeno sono mancati i Legalistas, e la loro idea di un ritorno dei militari al potere per “calmare l’economia e terminare la corruzione”, con le parole d’ordine “SOS Fuerzas Armadas”. Sembra proprio che questi settori abbiano dimenticato il golpe del 1964 e la conseguente repressione degli oppositori, che continuò fino al 1985.

Tutti questi sostenitori del colpo di Stato dovrebbero rivedersi i documenti del dipartimento di Stato nordamericano del 1967-1977 che il vicepresidente Joe Biden ha consegnato a Dilma Rousseff durante la sua visita per la Coppa del Mondo. In questi dispacci si menziona il fatto che i brasiliani hanno sviluppato un nuovo “sistema di tortura basato sulla coazione psicofisica per intimidire e terrorizzare i sospettosi”. Quello che non è menzionato sui documenti statunitensi è che l’inventore di questo sistema è stato il tristemente famoso torturatore ed ex agente dell’FBI Dan Mitrione, il padre della “Silla de Dragón” che dal 1960 al 1967 andò in Brasile a perfezionare la sua diabolica arte e che poi operò in Uruguay dove fu giustiziato dai tupamaros. In questi stessi documenti l’ambasciatore statunitense in Brasile, William Rountree, raccomandava cinicamente al dipartimento di stato di “prendere in considerazione la sensibilità e l’orgoglio nazionale dei brasiliani ed evitare tentativi di pressione sul governo rispetto alla tortura, per non danneggiare le relazioni”. Dimenticare tutto questo sarebbe un crimine.

Tuttavia, l’opposizione senza poter contenere la sua rabbia di classe non prende in considerazione le conseguenze di un colpo di Stato. Simultaneamente, i suoi colleghi delle elites globalizzate internazionali e in particolare gli “illuminati” globalizzatori nordamericani vedono la possibilità di finirla con il Brasile come paese sovrano, allontanarlo da UNASUR e CELAC e debilitare il gruppo BRICS che rappresenta un pericolo per l’egemonia degli USA e del sistema economico mondiale creato dal Fondo MonetarioInternazionale, la Banca Mondiale e la Federal Reserve americana.

Nemmeno dobbiamo dimenticarci le rivelazioni di Snowden rispetto al Brasile: “Whats’s Behind Hidden CIA Base in Brazil”. In questo documento l’ex tecnico NSA parla dell’interesse geopolitico del nordamerica verso il Brasile e specialmente verso i suoi giacimenti di petrolio recentemente scoperti in mare, che arrivano a contenere intorno ai 100.000milioni di barili. Il problema è stato che tanto il governo Lula quanto quelloDilma ha preferito firmare contratti con la corporazione cinese SINOPEC invece che Chevron. A maggio del 2013 il vicepresidente USA Joe Biden, durante una visita in Brasile, cercò di persuadere invano la presidente Rousseff a lasciar entrare le imprese energetiche statunitensi nel mercato brasiliano.Curiosamente, due mesi dopo la sua fallita visita, cominciarono ondate di proteste sempre più intense contro il governo del Partido de Trabajadores. L’opposizione ha già annunciato il prossimo corteo per il 12 aprile:”No nos dispersemos!”.

Secondo il ministro di Giustizia brasiliano José Eduardo Cardoso, “la richiesta di destituzione contro Dilma puzza di golpe”. La stampa internazionale sta divulgando ripetutamente notizie sul fallimento economico del governo Rousseff, la corruzione, l’isolamento della presidente e il malcontento popolare, occultando i successi del suo governo durante questa decade. Lentamente si stanno creando condizioni per una “revolución de colores” e per far tornare il Brasile tra le braccia degli Stati Uniti.  Fino ad ora non si sa della partecipazione diWashington nell’organizzazione delle manifestazioni. Tuttavia, circa 400 agenti di differenti servizi d’intelligenza statunitense sarebbero arrivati recentemente alle ambasciate nordamericane in Brasile, Bolivia, Venezuela, Ecuador,Argentina e Cuba, secondo quanto denunciato dal periodista venezuelano José Vicente Rangel.

Si sta cucinando qualcosa in questo paese. Nel caso di Dilma Rousseff il suo destino verrà deciso il prossimo settembre durante la sua visita a Washington. Mentre sulla possibile reazione del popolo brasiliano alla decisione dell’opposizione di destituire la presidente è difficile esprimersi esattamente, per il momento. Il popolo, nell’espressione del poeta inglese Alexander Pope, “è una fiera di multiple teste” ed anche loro stanno organizzando cortei ed azioni di appoggio.

Fonte :
http://mundo.sputniknews.com/firmas/20150319/1035488417.html#ixzz3Upjgkal2