Internazionalismo o barbarie – un contributo della rete Caracas ChiAma

Rete Caracas ChiAma

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Il mediterraneo sputa cadaveri di donne, uomini, bambini e bambine: disperati migranti. Già non ci sono su questa terra saturata spazi vuoti dove buttare i residui di un sistema economico, quello globale, che genera esclusione, povertà, guerra, miseria.
Proprio dalla guerra e dalla miseria fuggivano costretti quei migranti, tragicamente affogati per le stesse vie a senso unico su cui scorrono incessantemente e senza sosta risorse primarie, petrolio, ricchezze, diamanti. Per quelle tratte che furono di masse e masse di schiavi, d’esseri umani ridotti a forza lavoro dal crimine mai pagato del colonialismo europeo.
Colonialismo che s’è trasformato in imperialismo, in dominio del centro sulla periferia, in imposizione di modelli economici e politici funzionali alle necessità d’accumulazione del sistema capitalista mondializzato e “purificato” dalla globalizzazione neoliberista.
Imperialismo di cui non parlano i latifondi mediatici, e di cui poco, troppo poco, parlano i movimenti e la sinistra anticapitalista. Segno inconfondibile dell’affievolirsi di visioni lucide sul presente che viviamo. Problema del presente che dobbiamo interpretare e considerare come problema storico, sbarazzandoci delle visioni astoriche, tirate fuori con artifici intellettuali da cilindri accademici.
E invece continua a mietere vittime l’imperialismo, creando caos e disordine nei paesi ricchi di risorse naturali, per far arrivare senza indugi e resistenze la dose quotidiana al mondo occidentale, drogato di ricchezza e schiavo del consumo sfrenato.

Sugli altari della Dea Produttività, le potenze del Nord sono pronte a scarificare tutto, tutti e tutte, così dimostra la Storia. Quella stessa, curiosa Dea Produttività che grazie ai miracoli della sua Ancella Tecnologia moltiplica i pani e pesci, ma senza sfamare bocche e accumulando obesità.
E’ già stato detto che i settecento morti del Canale di Sicilia non sono una tragedia ma un crimine. Crimine di criminali che, sì, tragicamente agiscono indisturbati, forti di un potente sistema politico, economico, culturale e comunicativo che gli copre le spalle. Un sistema irrazionale e disumano allo stesso tempo: una competizione senza scrupoli tra blocchi di potere con aspirazioni a espandersi globalmente, com’è tendenza congenita del capitalismo e della sua legge di sopravvivenza.
Se non cessano a breve termine le guerre portate per il mondo dagli Stati Uniti e dalle potenze occidentali, non ci sarà cordone umanitario che regga alla distruzione totale di nazioni, culture, territori, comunità. E l’unico modo per frenare la macchina da guerra è bloccarne l’ingranaggio: l’imperialismo occidentale che mette in fuga migliaia e migliaia di persone, dall’Africa delle Primavere appassite e dei bombardamenti NATO, all’Oriente martoriato dalla jihad dell’imperialismo.

L’unica soluzione a questo crimine è la solidarietà politica, la costruzione di un internazionalismo popolare contro quello del capitale. Solidarietà politica –d’andata e ritorno- da coltivare mettendo da parte e superando la carità cristiana, che si esercita dall’alto verso il basso e che non altera mai, nemmeno un pochino, le relazioni di potere mondiale.
Solidarietà che deve rompere i limiti nazionali, perché la contraddizione essenziale è quella che oppone i lavoratori e le lavoratrici di ogni parte alle oligarchie economiche, alle multinazionali, ai monopoli finanziari. E non è stata la “Destra”, ma la degenerazione socialdemocratica della “Sinistra” europea a rinchiudere la solidarietà nelle frontiere degli Stati Nazioni. Creando benessere materiale e ideologia della falsa coscienza, hanno trasformato in “aristocrazia della classe operaia” i settori popolari dei paesi a capitalismo avanzato. Settori a cui l’Età d’oro del Capitalismo ha concesso Welfare e libertà di consumo, per scacciare dal vecchio continente i fantasmi del comunismo, allora galoppante, e rompere i legami internazionali dei proletari/e.

Tatticamente, occorre chiedere misure umanitarie per imporre all’Unione Europea la fine di questo crimine senza fine. Strategicamente, però, è più che mai necessario superare questa visione umanitaria della solidarietà e rimettere al centro della lotta l’internazionalismo antimperialista.
Mentre ideologie come il cosmopolitismo o del “villaggio globale” si confermano, sconfitta dopo sconfitta, funzionali o comunque sterili di fronte all’espansione globale del capitalismo, si fa sempre più necessaria una nuova teoria e pratica internazionalista nel ventunesimo secolo.
Un internazionalismo pensato, e realizzabile, dentro le dinamiche di riconfigurazione del capitalismo globale, basato sulle condizioni oggettive che oggi attraversano i movimenti anticapitalisti, in tutte le loro espressioni, e sulla costituzione di un soggetto che permetta alla sinistra reale di guadagnare in estensione senza perdere nella profondità dell’agire politico.

I movimenti e i settori della sinistra vera latinoamericana sono riusciti nell’impresa di costruire un fronte antimperialista. Così che oggi, mentre dalle sponde africane arrivano masse di disperati, il continente latino è terraferma. Un esempio impossibile da replicare ma, sì, una preziosa bussola per il cammino che ci oppone al sistema dei “cimiteri marini”.

Perché vi sia nel mondo la libertà di movimento per tutti e tutte, ma anche il diritto di vivere la propria terra senza dover fuggire da barbarie, bombe e miseria.