Venezuela: mille tamburi contro i media, marcia per l’anniversario dell’abolizione della schiavitù

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In Brasile, un militante del movimento dei contadini senza terra che firma la petizione; insieme ad altri mille manifestava la sua solidarietà.

Traduzione di Lorenzo Mastropasqua

Raramente un presidente statunitense ha coagulato una tale unanimità contro di lui.

Dopo l’Unasur che rappresenta 12 governi sudamericani, la Celac che raggruppa i 33 stati dell’America latina e dei caraibi, l’Alba, PetroCarive, i 134 membri del G77 + la Cina.. Insomma tutto il sud del pianeta ha rigettato il decreto di Obama perchè «viola il diritto internazionale, la sovranità e l’indipendenza politica del Venezuela».

In tutto il mondo, dei movimenti sociali sostengono l’appello che, in Venezuela ha già raccolto 5 milioni di firme.

 

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In Ecuador, il presidente Rafael Correa si unisce alla campagna.

 

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Firmatari dell’appello in Nicaragua.

 

Parallelemente a questa mobilitazione nazionale, sembra che il lavoro sottotraccia intrapreso dal governo Maduro per contrastare la guerra economica incomici a dare i suoi frutti. Uno studio intrapreso dal privato Hinterkaces (realizzato dal 14 al 18 marzo su una base di 1200 interviste effettuate su tutto il territorio) rivela che il 65% della popolazione si dice «ottimista», ben 4 punti in più rispetto a gennaio 2015, contro i 34% di «pessimisti (38% a gennaio).

IL 24 marzo scorso abbiamo festeggiato il 161esimo anniversario dell’abolizione della schiavitù, decisa dal presidente Josè Gregorio Monagas, sulla scia dei decreti di Simon Bolivar. Una politica che ha valso a quest’ultimo di essere tacciato dai giornali delle grandi piantagioni schiaviste del sud degli Stati uniti e degli oligarchi latino americani come «Cesare assetato di potere». Ai giorni nostri, è organizzando una «marcia di mille tamburi» che il movimento discendente dagli schiavi africani, ha espresso il suo sdegno rispetto alle campagne mediatiche e al decreto del presidente Obama di classificare il Venezuela come minaccia inabituale e straordinaria per la politica estera degli Stati uniti. David Abello, del «consiglio per lo sviluppo della comunità afroamericana» ha dichiarato: «In questo momento della storia, che ci garantisce la libertà, non permetteremo a nessuno di ricolonizzarci».

tamburi4tamburi5tamburi6tamburi7tamburi8tamburi9tamburi91Foto: AVN (Juan Carlos La Cruz)

 

Fonte:
https://venezuelainfos.wordpress.com/
 

 

Non lasciamo sola la speranza venezuelana.

di Geraldina Colotti per CaracasChiAma

107156-mdGli Stati uniti hanno minacciato sanzioni alla Germania. Per gli oltre 350 fermi dei manifestanti che hanno protestato contro la Bce nei giorni scorsi? Non scherziamo: secondo quanto ha dichiarato il vice-cancelliere tedesco, le sanzioni Usa al potente alleato europeo sarebbero arrivate in caso il governo tedesco avesse dato asilo all’ex consulente Cia Edward Snowden, che ha divulgato il grosso scandalo del Datagate, e che poi ha trovato rifugio in Russia. Com’è noto, Snowden ha fatto conoscere l’estensione planetaria dello spionaggio Usa, il cui intreccio economico-politico va ben oltre la sempiterna retorica sulla “lotta al terrorismo” che giustifica le aggressioni neocoloniali. Tanto che la minaccia è stata quella di interrompere le relazioni tra servizi segreti proprio sul tema della sicurezza: per ritorsione, gli Stati uniti non avrebbero più avvertito la Germania di eventuali attentati in arrivo nel loro paese… Una bella lezione di moralità da parte di un governo che impone sanzioni al Venezuela bolivariano in nome della “difesa dei diritti umani”.

In America Latina – ha rivelato Snowden -, gli Usa hanno molti punti di intercettazione clandestina e basi militari sotto copertura, pronti a tessere le proprie trame nei punti considerati a rischio per i propri interessi. In barba alla tanto sbandierata difesa della privacy. Le parole dell’ambasciatore statunitense all’Osa, secondo il quale il suo paese non complotta contro il governo bolivariano, lasciano quindi il tempo che trovano. E ha ragione il governo Maduro a moltiplicare gli appelli alla solidarietà internazionale per far capire al Nordamerica che “non può passare”.

Lo scandalo del Datagate ha mostrato che le agenzie per la sicurezza Usa hanno spiato la presidente brasiliana Dilma Rousseff, e anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, tanto per non farci dimenticare che, se si tratta del portafoglio, gli amici non contano. Soprattutto, gli spioni nordamericani hanno messo il naso (e le zampe) negli interessi petroliferi brasiliani e osservato da vicino quelli del Venezuela bolivariano. Con quel livello di pervasività e di controllo delle informazioni, difficile escludere la messa a segno di colpi bassi nel mercato finanziario e nei corsi del petrolio, attualmente in forte calo. Una situazione che ha penalizzato un paese ancora troppo dipendente dai proventi del petrolio, come il Venezuela e che si trova al centro di una rete di erogazione solidale ai paesi dell’America latina e dei Caraibi. Difficile dar torto ai presidenti progressisti dell’America latina che, dal Brasile all’Argentina, al Venezuela, dal Nicaragua, alla Bolivia, all’Ecuador, denunciano un attacco concentrico dei poteri forti.

Lo schema utilizzato è sempre lo stesso: quello di innestare le cosiddette “rivoluzioni colorate” contro i governi antipatici aguarimberos_con_traje_de_bano Washington, modulate a seconda della storia e dei problemi esistenti nello scacchiere mondiale e nei diversi paesi. Il tono d’avvio, è sempre dato da qualche gruppo di “pacifici studenti” modello Otpor nella ex Jugoslavia, ben finanziato e ben amplificato dalla propaganda internazionale attraverso le reti sociali. Anche la genericità dei temi è un modulo ricorrente: si protesta contro “la corruzione, il regime, per la libertà di stampa, la liberazione dei prigioni politici, e via discorrendo”.

E così, in Venezuela, i golpisti diventano improvvisamente campioni di democrazia, mentre in Messico, o in Spagna o in Germania, chi protesta per chiedere “pane, lavoro, un tetto e dignità” può essere manganellato e imprigionato in nome di quella stessa democrazia (borghese).

E così, anche in Brasile, sarebbero stati due sconosciuti “gruppi di studenti di classe media” a lanciare in internet la poderosa manifestazione contro il governo Rousseff che si è vista di recente, e che ha costituito una vera e propria prova di forza delle destre brasiliane.

Un ricatto incombente soprattutto sulle forze dell’alternativa, obbligate nei momenti di emergenza a silenziare la critica al moderatismo e agli errori di chi li governa per evitare un “rimedio” ben peggiore del male. E parliamo principalmente dell’involuzione e delle pecche del PT in Brasile, che già hanno vita lunga. Non a caso, movimenti e sinistra hanno dato a Rousseff un voto sotto condizione, aspettandosi passi avanti significativi.

Ma anche le destre e i loro padrini a Washington intendono condizionare con ben altri sistemi le politiche della nuova America latina: per accerchiare o depotenziare quei paesi, come il Venezuela, che più hanno rimesso in questione i rapporti di proprietà capitalistici.

Le prese di posizione del vicepresidente uruguayano Raul Sendic, molto morbide nei confronti di Washington nel giudicare l’attacco al Venezuela, non lasciano ben sperare sul governo di Tabaré Vazquez, succeduto a Mujica. E se nella Unasur non ci fossero Ecuador e Bolivia a controllare la solidarietà col Venezuela, il controllo passerebbe all’indirizzo prevalente di Vazquez (presidente pro-tempore) e a quello del segretario generale, il colombiano Ernesto Samper, il cui paese – insieme al Perù e al Cile – appartiene all’asse portante della neoliberista Alleanza del Pacifico a guida Usa (altro caposaldo, il Messico).

La partita che si gioca in Venezuela è determinante, sia sul piano concreto che su quello simbolico e sul piano dei rapporti continentali. Così com’è determinante la tenuta di Cuba e la sua ferma intenzione di non cedere ai ricatti del “disgelo” con gli Usa, consegnando “la testa” del Venezuela.

L’imperialismo ce la sta mettendo tutta per volgere a suo vantaggio la situazione in tutti e tre i piani: sul piano economico, sul piano simbolico e su quello delle relazioni internazionali. Quella che si è vista l’anno scorso, è stata la rivolta dei ricchi, non di chi protesta per chiedere “pane, lavoro, un tetto e dignità”. Le code che si vedono a Caracas non sono quelle dei poveri alla Caritas in Italia, in Spagna, in Grecia, che fanno fatica a sopravvivere. Nonostante la guerra economica contro il governo Maduro, la gente in coda ha di che comprare le merci che arrivano, e anche in modo compulsivo. Nonostante la crescita dell’inflazione, i salari e le pensioni, in Venezuela, sono aumentati, e la povertà estrema è diminuita: segno che il governo non ha messo al centro gli interessi del “mercato”, ma quello dei meno favoriti. Eppure la propaganda mediatica presenta le cose esattamente al contrario.

“Siamo una speranza, siamo il governo della strada, l’America latina del XXI secolo sarà lo scenario di grandi trasformazioni”, ha detto Nicolas Maduro. E tuttavia, a fronte di una congiuntura economica poco favorevole, la pressione sul Venezuela bolivariano sarà tanto più pesante quanto più prevarrà un indirizzo moderato nelle alleanze regionali dell’America latina. Il discorso vale anche per la politica interna del Venezuela. Le destre dicono che l’attacco di Obama fa il gioco del chavismo, perché ricompatta l’unità interna. Ma è davvero così? Il richiamo al nazionalismo e alla difesa della patria, amplificati dopo le ritorsioni Usa e il pericolo di un’aggressione militare, comportano anche dei rischi: essere solo “patrioti” e non socialisti a 16 anni dall’inizio del “proceso”, non è un ritorno indietro? Quanti opportunisti possono saltare sul carro per poi debilitare la rivoluzione dall’interno? E che dire di quei funzionari che hanno portato all’estero finanze sottratte al bene pubblico? Fuori e dentro il Psuv – che per fortuna sta mostrando grandi segni di rinnovamento – le denunce di carenze e inadempienze che provengono dalla parte più cosciente del socialismo bolivariano devono trovare una sponda e senza prestare il fianco alla destra. Altrimenti, si fa il gioco di quelli che vorrebbero proporre la cosiddetta “terza via” (moderata) per raccogliere i voti dei delusi o degli indecisi. Il socialismo non ha come obiettivo quello di rimpinguare le tasche dei nuovi ricchi.
Anche se indossano una camicia rossa.

 

VENEZUELA MINACCIA(TA)

Di Luis Britto García.
Traduzione di Davide Angelilli

19-3-2015 Venezuela Minaccia(ta)

  1. Come può il Venezuela essere considerata una “minaccia straordinaria e inusuale alla sicurezza nazionale e alla politica estera statunitense? Siamo un paese di media estensione, con modesto sviluppo industriale, armamento convenzionale, esercito con moderato numero di effettivi e che, da quando liberammo quelle che oggi sono cinque repubbliche a inizio del secolo XIX, mai ha aggredito nessun popolo.
  2. Venezuela minaccia con l’esempio. L’impero vive del saccheggio delle risorse naturali delle industrie basiche delle nazioni periferiche. Venezuela è l’eloquente dimostrazione di che un paese può utilizzare i due elementi a beneficio del suo popolo per vie democratiche e costituzionali.
  3. L’impero ricorrerà a otto vie complementari per annichilare il Venezuela. La prima, l’esacerbazione della guerra economica con un bloqueo progressivo per forzare un risultato avverso al bolivarismo nelle elezioni per i Potere Legislativo. La seconda, utilizzare questa maggioranza desiderata per un golpe di Stato parlamentario in stile Paraguay. La terza, l’intensificazione del terrorismo dei paramilitari e mercenari per simulare uno scenario da “guerra civile”. La quarta, per coronare questo montaggio proverà ad assassinare il presidente o un attentato di falsa bandiera. La quinta, un intervento militare di un altro paese della regione. La sesta, un’aggressione diretta con truppe e macchine imperiali, dalle basi che già stanno in America Latina e il Caribe. La settima, la campagna mediatica per nascondere e deformare la natura delle precedenti aggressioni, al paese e al mondo. L’ottava, l’aggressione diplomatica per tirare fuori dagli organi internazionali verdetti di condanna al paese.
  4. Come salvarci? Combattere la guerra economica che demoralizza a la cittadinanza, con l’assunzione statale del controllo delle importazioni basiche, con implacabili sanzioni contro imprese corrotte e complici in frodi cambiarie, speculatrici, e di contrabbando d’estrazione, e con la promulgazione di leggi per regolare delitti finanziari, tradimento alla patria e infrazioni di sicurezza. Vincere le elezioni parlamentari con reputazione immacolata, non coinvolti in delitti né corruzioni.
  5. Così come terziarizza la sua economia, gli Stati Uniti terziarizzano i suoi eserciti. Prima l’integrano con mercenari reclutati trai sui ispani, afroamericani, gli emarginati; dopo, fonda finanzia e equipaggia organizzazioni terroriste composte da sicari e terroristi sotto salario come Al Qaeda e El Daesh. Probabilmente, l’aggressione al Venezuela si terziarizzerà attraverso di un terzo paese o delle loro forze paramilitari, che hanno infiltrato profondamente la nostra società. Molti degli integranti furono arrestati attuando durante le ondate terroriste del 2014. È opportuna un’azione congiunta tra organismi di sicurezza e movimenti sociali per localizzare e neutralizzare questi invasori silenziosi prima che tornino a mobilitarsi. In ogni caso, non è sicuro il trionfo degli aggressori.
  6. Potenziamo le misure di sicurezza per dirigenti e figure chiavi, così come per installazioni e persone statunitensi. Convinciamo a paesi vicini, che da mezzo secolo combattono infruttuosamente un’insurrezione interna, che sarebbe impossibile vincere contro una sollevazione interna e un’altra esterna.
  7. Nelle aggressioni imperiali, l’esercito convenzionale del paese vittima è spesso distrutto dopo poche settimane. Quello che decide il conflitto è la resistenza popolare. Il popolo venezuelano non può aspettare che cadano bombe per preparare la difesa. Organizzazioni popolari, movimenti sociali, sindacati, partiti, comunas, cooperative, devono già da ora coordinare con il governo e l’esercito regolare risposte, strategie di sopravvivenza e per preparare il popolo alla guerra.
  8. Abbiamo costruito un sistema di mezzi di servizio pubblico, comunitari, alternativi che ci permettono maneggiare la battaglia comunicativa interna. Bisogna riformare e dinamizzare senza esitazioni questo sistema per portarlo alla sua massima efficacia. Dobbiamo utilizzare i satelliti che disponiamo per portare questo messaggio al mondo.
  9. Venezuela ha fatto quasi più di qualunque altro paese per lo sviluppo di una diplomazia multipolare. Incorporata al Mercosur, motore di organizzazioni integrazioniste latinoamericane come l’ALBA, la Celac e Unasur che escludono a Stati Uniti e Canada. Venezuela ha consolidato relazioni con Asia e Africa e con i paesi Non Allineati. Queste reti diplomatiche hanno un peso negli organismi internazionali e devono essere usate per propiziare nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU il veto di Russia e Cina, impenetrabile scudo contro l’interventi.
    Cuba ce l’ha fatta. Noi anche.

 

 

Fonte:
http://luisbrittogarcia.blogspot.com.es/2015/03/venezuela-amenazada.html

 

Napoli, vento nuovo nel PSUV, e il futuro della Rivoluzione in Venezuela. G. Colotti per Caracas ChiAma

di Geraldina Colotti per CaracasChiama

In questo nuovo editoriale per Caracas ChiAma (che arriva eccezionalmente il martedì) Geraldina Colotti disegna una mappa immaginaria, che va da un sacchetto di farina in vendita a Napoli alle manifestazioni delle donne in Venezuela

 

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Iniziamo raccontando due episodi, accaduti in Italia, che rispecchiano la realtà del Venezuela: la realtà del sabotaggio, dei complotti e di quella che il governo chiama, aragion veduta, la “guerra economica”, scatenata contro il socialismo dall’impresa privata e dal grande capitale internazionale. A Napoli, in qualche negozio capita di poter comprare la “Harina Pan”. Si tratta di un tipo di farina di mais precotto ove Pan sta per “Producto Alimenticio Nacional”, prodotto alimentare nazionale. Un alimento che piace molto ai venezuelani e che viene prodotto dalla grande impresa privata Polar. La Harina Pan non basta mai a coprire la richiesta e, nei discorsi dell’opposizione, diventa il simbolo della presunta penuria di alimenti. Ora, il dato singolare è che la farina risulta essere stata importata in Italia dalla… Colombia. E come mai, se non ce n’è abbastanza per il consumo del paese, se – come hanno strillato i vertici di Polar – produrla costa troppo, ce n’è così tanta da “esportarla” in Colombia e da lì in Europa? E tornano in mente quelle immagini scattate negli empori di Cucuta, in Colombia, ben forniti di ogni merce che scarseggia invece inVenezuela. Cucuta è una città di frontiera, ed è una delle mete principali del contrabbando di alimenti: si fa incetta di beni di consumo venduti a prezzo calmierato in Venezuela e li si rivende oltreconfine. Un business più lucroso del narcotraffico.  Per la cronaca, come ha scritto la rivista Forbes che classifica i super milionari, tra questi risultano ben tre grandi imprenditori venezuelani: ma non erano stati debilitati dal socialismo? E invece risulta che hanno accresciuto i propri profitti, pur avendo dovuto sottostare alle leggi che garantiscono la tutela del lavoro e quindi rinunciare a qualche boccone della torta. I super ricchi appartentono al gruppo Cisneros – attivo nel campo della comunicazione, delle tecnologie, oltreché in quello dei beni e dei servizi -; al gruppo finanziario internazionale Banesco; e appunto alla Polar, principale produttore di bibite ealimenti, diretto da Lorenzo Mendoza.

Per ridurre il fenomeno dell’accaparramento truffaldino e la compulsione all’acquisto dettata dalla propaganda mediatica, il governo Maduro ha cominciato a installare in tutti i supermercati circa 20.000 scanner per il controllo delle impronte, ed evitare così che le persone tornino più volte a comprare. Intanto, quando i militanti segnalano episodi di sabotaggio, il governo occupa i grandi supermercati insieme alla popolazione e cerca di raddrizzare le storture. Una fatica di sisifo. Il progetto dichiarato dell’opposizione è quello di minare la fiducia della popolazione nel progetto bolivariano, mostrandosi più adatti a governare. Dove non riesce con i colpi bassi, cerca di arrivare con il sabotaggio economico e la guerra psicologica. Intanto, si attende che il Cne fissi la data delle elezioni: secondo Unasur potrebbero tenersi a settembre. Finora, però, l’unica cosa certa è la data delle primarie (3 maggio l’opposizione, 28 giugno il chavismo). Importanti novità caratterizzano il percorso di approfondimento che sta portando avanti il Psuv, che dovrà presentare il 50% di donne e farspazio ai giovani con identico spirito innovativo. Una spinta al futuroevidenziata dalla grande vitalità dell’8 marzo, che ha mostrato il camminopercorso dalla libertà delle donne e il loro potere di rappresentanza. Per giustificare che le sue primarie non si svolgeranno su tutto il territorio nazionale, e avallare gli inciuci interni, la coalizione opposta – la Mud – ha detto che risultano troppo costose (1,7 milioni di dollari) e che non se lo può permettere. Nonostante i fiumi di denaro che arrivano dagli Usa? Nonostante la ricchezza che possiedono i sempiterni candidati? E vale ricordare i documenti del sito Wikileaks sulle relazioni speciali della Cia intrattenute con Leopoldo Lopez, attualmente in carcere e sotto processo. E così, i militanti di base gridano alla truffa. E il Psuv rincara: “Stanno facendo il giro degli imprenditori per vendere a caro prezzo le poltrone”.

Che il piano per sovvertire l’ordine costituito sia da tempo in gestazione, è deducibile anche da un altro episodio, capitato a chi scrive qualche mese prima che scoppiassero le guarimbas. Camminando per le strade della capitale succede di parlare con la proprietaria di un negozio, che dice di avere amici in Venezuela: amici benestanti, precisa, dai quali gradirebbe farsi ospitare come ha già fatto in precedenza. “Però mi hanno detto di aspettare, che tra qualche mese silibereranno di Maburro”. Il nome del presidente Maduro viene storpiato così perché burro significa asino, ma la commerciante non lo sa e crede sia il suonome vero.

Niente di nuovo, si dirà, la borghesia difende sempre i propri privilegi con ogni mezzo. Lo si è visto nel Cile di Allende e poi nel Nicaragua minato dai Contras. Lo si è visto nei golpe “istituzionali” compiuti contro l’allora presidente dell’Honduras Manuel Zelaya e contro Fernando Lugo in Paraguay. Lo si è visto contro Chavez e ora contro Maduro. Com’è accaduto durante gli attacchi a Cuba, colpisce la sproporzione di mezzi impiegati contro un piccolo (ma petrolifero) paese. Colpisce la sfacciataggine con cui un Vargas Llosa mente sapendo di mentire, a dispetto di fatti e di evidenze. La borghesia si toglie i guanti bianchi e si schiera. Contro il “cattivo” esempio che viene dal socialismo bolivariano. Contro la Grande Paura.

Al campo che la contrasta, il compito di non farsi rubare il futuro.