Un inquietante e scandaloso dossier-giornalistico, un Fandango Tascabili(Collana Documenti), copertina bianca ed abbastanza maneggevole, riporta sin dalla prima pagina (l’ introduzione, a pag. 9) questo aneddoto:
“Quando avevo sette anni mia madre raccomandava a me e mia sorella Sonia, ogni volta che uscivamo in strada, di evitare la “ruba-bambine”, una vecchia nota nel quartiere perché rapiva le femmine; le attirava regalando caramelle e poi le vendeva ad estranei. La parola equivalente in inglese, “kindnapper”, attualmente è utilizzata per indicare il sequesto di persone di qualsiasi età. Quarant’ anni dopo quelle lezioni infantili, ho scoperto che ciò che da piccola mi sembrava un aneddoto tratto da un racconto di Dickens era diventato, con il passare del tempo, uno dei problemi più seri del XXI secolo. La società in generale tende a considerare la tratta di bambine e donne come una reminiscenza di un passato in cui la “tratta delle bianche” era un commercio minore proprio dei pirati che sequestravano donne per venderle a bordelli di paesi lontani. Credevamo che la modernizzazione e le forze del mercato globale l’ avrebbero sradicata e che gli abusi contro l’ infanzia negli angoli sperduti del “terzo-mondo” sarebbero scomparsi al semplice contatto con le leggi occidentali e l’ economia di mercato. La ricerca che è alla base di questo libro dimostra esattamente il contrario. Il mondo sta sperimentando un autentico boom di reti organizzate che rapiscono, comprano e schiavizzano bambine e donne; le stesse forze che, in teoria, avrebbero dovuto sradicare la schiavitù l’ hanno invece potenziata a livelli inauditi. In tutto il pianeta stiamo assistendo allo sviluppo di una cultura che tende a rendere normali il rapimento, la sparizione, la compravendita e la corruzione di bambine e adolescenti, allo scopo di trasformarle in oggetti sessuali da affittare o vendere; una cultura che per di più promuove la mercificazione dell’ essere umano come fosse un atto di libertà o progresso. Soggiogate da un’ economia di mercato disumanizzante, che ci è stata imposta come destino ineluttabile, milioni di persone considerano la prostituzione un male minore e scelgono di ignorare lo sfruttamento e i maltrattamenti che comporta, insieme a un sempre maggior potere del crimine organizzato, dove più dove meno, nel mondo intero. Nella mappa internazionale del crimine organizzato mafiosi, politici, militari, imprenditori, industriali, guide religiose, banchieri, poliziotti, giudici, sicari e uomini comuni costituiscono un’ enorme catena che resiste da secoli. La differenza tra delinquenti solitari, o piccoli raggruppamenti di bande locali, e reti criminali globalizzate consiste nelle strategie d’ azione, nei codici di comportamento e nelle tecniche di mercato…La tratta di esseri umani, documentata in 175 nazioni – mette in luce la debolezza del capitalismo globale e la disparità provocata dalle regole economiche dei paesi più potenti; ma, soprattutto, evidenzia come la crudeltà umana e i processi culturali che l’ hanno rafforzata siano diventati un fenomeno ordinario. Ogni anno nel mondo 1.390.000 persone, nella stragrande maggioranza donne e bambine, sono ridotte allo stato di schiavitù….”.
L’ autrice, Lidya María Cacho, giornalista e scrittrice messicana, nata al Città del Messico, il 12 aprile di 1963, è figlia di Oscar Roveri Cacho e Paulette Ribeiro Monteiro.
Artefice ed ideatrice di varie opere di impatto sociale, è stata premiata in varie occasioni per il suo lavoro giornalistico. Lydia Cacho è anche riconosciuta attivista per i diritti umani, in particolare i diritti della donna, membra della Rete Internazionale dei Giornalisti con una Visione di Genere, nell’anno 2000 fondò un Centro Integrato di Attenzione alle Donne, CIAM a Cancún, si tratta di un centro specializzato che studia la condizione delle donne, di bambini e bambine, vittime di violenza domestica e sessuale. Cacho ha vinto il Premio Francisco Ojeda al Valor Periodístico e nel 2006 Cacho si è impegnata in prima persona nelle indagini e nella soluzione di casi irrisolti, ripetuti e numerosi, di omicidi e abusi su donne a Ciudad Juárez. Nel 2007 Amnesty International le ha assegnato il “Ginetta Sagan Award for Women and Children’s Rights” e nel 2008 ha ricevuto l’UNESCO/Guillermo Cano World Press Freedom Prize.
Lydia Cacho fu a sua volta perseguitata e torturata per aver investigato sulla tratta delle persone, dovette lasciare la sua casa a Cancun – quella vicino al mare e che è la sua fonte di energia – per minacce di morte. “Se continua ad investigare, la faremo a pezzetti la sua famiglia”, le dissero. Non era la prima volta che riceveva simili minacce. Con la pubblicazione del suo secondo dossier giornalistico, ‘I Demoni dell’Eden’, non subì solo minacce di morte: soffrì perfino la detenzione arbitraria della Polizia che la portò ad affrontare le peggiori ore della sua vita. Ma questa volta il tono delle minacce era più serio del solito. Lydia prese un volo verso l’Europa e si rifugiò in U.K., con la decisione di continuare a parlare del tema che è l’asse del suo lavoro: la violenza contro la donna. Il suo dossier giornalistico: ‘Schiave del potere’, è una vera mappa della tratta sessuale di donne e bambine nel mondo. Un lavoro per il quale ha ricevuto vari premi internazionali da organismi come l’Unesco ed Amnesty International. Lydia è una donna magra, alta non più di 1,65 centimetri, ma con una prodezza che pesa tonnellate. Osa guardare sempre un po’ indietro per sapere da dove viene il tutto. La sua volontà di percorrere le zone più impervie del mondo, sempre sola, in onore alla sua investigazione, la sua decisione di affrontare la mafie del suo paese, la sua ossessione per il tema del genere ha un’origine: sua madre, Paulette Ribeiro Monteiro, figlia di un portoghese ed una francese che arrivarono dal Messico fuggendo dalla guerra. Paulette, francese di nascita, visse buona parte della sua vita in Messico. Si sposò con un ingegnere chiamato Óscar Cacho ed ebbero sei figli. Tra di essi, Lydia. “Ebbi un’infanzia molto interessante – dice la giornalista – Dentro casa abbiamo vissuto in uguaglianza, in libertà, c’ era molto dibattito. Quando dicevo qualcosa a mia madre, ella mi rispondeva: ‘Perché? Argomenta ciò che dici. Ed era tutto un conflitto, poiché quando uscivo da casa, sulla strada, mi imbattevo in un paese maschilista e misogino. In casa sviluppai la mia ribellione.” Proveniva da una famiglia di classe medio-bassa ma stimolante sotto il profilo intellettuale. Lydia frequentava una scuola che si trovava sulla strada di casa, diretta da spagnoli che arrivarono fuggendo dalla guerra civile. Nella Scuola Madrid, le inculcarono l’importanza di difendere le sue idee. La cosa prima che desiderò fu diventare un poeta. Scrisse un libro di versi che oggi definisce come brutto. Entrò a studiare Letteratura nell’Unam, ma l’ambiente le sembrò molto “pretenzioso” e si ritirò dall’ Università. Si lanciò a scrivere un primo romanzo, ‘Mordigli il cuore’ ma non ebbe successo. In esso, trattava già il tema che la svelò successivamente: la violenza contro la donna. Lydia è stata femminista ed attivista da bambina, quando andava con sua madre al lavoro, un lavoro che svolgeva nei quartieri. Ella ripartiva anticoncezionali, parlava alle donne dei loro diritti sessuali e riproduttivi, mentre le lasciava giocare coi bambini. Era, per lei, molto inquietante scorgere quella povertà. Era brutale ritornare a casa e confrontare quelle realtà tanto differenti. Quella disuguaglianza che da bambine non si comprende. Sin dal principio, le sue cronache furono intrise di quello spirito. Lydia divenne esperta in violenza di genere e presto arrivò al suo tema centrale: la pornografia infantile, lo sfruttamento sessuale di bambine ed adolescenti. Un collega l’incoraggiò ad unirsi ad un’investigazione su una rete di pornografia che includeva alberghieri, politici ed impresari di Cancun. Lydia prese molto sul serio il caso e quando arrivò dal giornalista con tutte le informazione, con i nomi propri dei responsabili dell’ industria pedofila, il suo collega decise di uscire dal progetto. Le disse “: ‘Buona fortuna. Sei pazza, fallo da sola’. Proseguì l’ inchiesta ed il suo prodotto fu il libro ‘I demoni dell’Eden’ che causò un enorme scandalo in Messico e varie accuse per “diffamazione”. Tutte le inchieste giudiziarie si chiusero a suo favore, ma il danno era fatto. Ormai era circondata da nemici: come al solito, fu costretta a ritirarsi in semi-clandestinità. Lydia Cacho viaggiò per il mondo cinque anni per scrivere il suo primo dossier: ‘Schiave del potere’, un libro che fa un panorama del mercato sessuale di bambine ed adolescenti. In alcuni posti, sopraggiunse come Lydia Cacho; in altri, dovette mascherare la propria identità come suora anonima o prostituta. Toccò confini pericolosi, ma comprovò il potere creato da questo commercio. È il più redditizio, dopo il narcotraffico e la vendita di armi. Ogni anno, secondo i dati raccolti dal suo libro, 1,39 milioni di persone sono vendute per tutto il mondo, in netta maggioranza donne e bambine/i provenienti dai paesi più poveri o da aree di guerra.
Molti narcotrafficanti, soprattutto di mezzo-livello, si stanno impegnando nella tratta delle donne perché vedono in essa un buon commercio. Solitamente sono protetti da militari, politici, impresari, a volte direttamente; altre volte indirettamente. Per diverse ragioni, nei paesi africani, si cercano bambine perché vergini o perché, probabilmente, non hanno ancora contratto l’ AIDS. Per di più, esiste una superstizione molto diffusa, in posti come Uganda e Nigeria, che un uomo con l’HIV può curarsi attraverso l’ atto sessuale con una vergine. In America Latina, invece, usano fare sesso con le bambine perché ritenute più ‘più ubbidienti.’ Il machismo, tuttavia, non ha sesso. E questo è stato confermato dalle molte donne coinvolte o complici della tratta. L’unica differenza è che le donne coinvolte nella tratta ancora non sono ad alti livelli di potere, bensì medio. Se sono capi, si tratta spesso di “madame”. Ma i leader sono senza eccezioni gli uomini. Secondo la giornalista, oggi le mafie russe dominano il mercato della pornografia in cui tempo addietro primeggiava Svezia e Stati Uniti. Sono i nuovi padroni: Russia ed Europa dell’est, paesi entrati direttamente nel traffico di donne. Invece, per quanto concerne l’ America Latina, le autorità colombiane non hanno voluto indagare sul fenomeno pedofilia o pedo-pornografia. È chiaro che furono i grandi cartelli della droga-colombiana che aprirono il mercato dell’ iper-sessuazione delle bambine e delle adolescenti, con il tema di ‘Senza tette, non c’è paradiso’, l’ idea che tutte volessero adorare un leader, ispirare romanzi e fomentare quella nozione culturale. Quello che Lydia documenta nel suo libro è una realtà crudele che può cambiare solo a lungo termine, se si modificano gli ingredienti strutturali della società: “…. si ha bisogno di una trasformazione dei modelli culturali sul sessismo. Allevano gli uomini dicendo loro che sono il loro pene e che il loro pene rappresenta se stessi. È una deformazione della loro sessualità, del loro erotismo, della loro relazione con le donne. Si ha bisogno di più politiche sulla sicurezza umana, cioè meno povertà, più educazione, più promozione della salute, più lavoro, non solo uno stuolo di poliziotti”.
Lydia soffrì persino di uno stupro, ma la cosa importante è che fu chiaro sin dall’ inizio che la colpa non fu sua. L’unico colpevole fu il suo violentatore che aveva molte motivazioni, tra esse, il fatto che qualcuno lo pagò. Lydia ebbe il privilegio di contare su sua madre che era psicologa. Segue ancora una terapia, fa yoga a scrive un diario. Vollero darle “una lezione” e tentare di annichilirla emozionalmente e moralmente. Ma la lezione è che la violazione non finisce con la vita. È traumatica, dolorosa, richiede un processo di guarigione. Ma non è la fine della propria vita.