Sì, il Venezuela è una minaccia per la sicurezza

Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: Carlos Alberto Montaner firma questo articolo per il Miami Herald – 16 marzo 2015 – in cui ci dimostra come gli specchi, più che fornire appigli per scalare la parete della menzogna, la riflettono.

Venezuela is indeed a risk to the security of the United States, not because it violated the democrats’ human rights — that was the excuse — but because of three activities that are codified in the doctrinary definition that indicates where the danger to U.S. society begins or intensifies.

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CARACAS: Un sostenitore del governo con un poster che mostra una fotografia deturpata del presidente americano Barack Obama nel corso di una manifestazione davanti palazzo presidenziale di Miraflores a Caracas Domenica. Fernando Llano – AP

 

Il presidente Obama ha firmato la scorsa settimana un ordine esecutivo che proclama il regime in Venezuela un pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti. Perché? Perché questi ha violato i diritti umani dell’opposizione democratica nel paese. In seguito, Obama ha imposto sanzioni contro numerosi ufficiali militari e funzionari di governo.

Strana mossa, fatta poche settimane dopo aver iniziato ad abolire le sanzioni contro la dittatura cubana, la quale, per l’ultima metà del secolo o anche di più, ha maltrattato i dissidenti con la stessa (o maggiore) brutalità che è stata mostrata dal governo di Nicolás Maduro in Venezuela.

A margine, c’è una questione di gerarchie. Cuba è la nonna. Il Venezuela si comporta come se sia al comando del consiglieri cubani che guidano il paese. Queste sono le competenze che Cuba vende al Venezuela: servizi segreti, controllo sociale e pugno duro nella “governabilità”.

Naturalmente, Fidel e Raúl Castro hanno immediatamente reso pubblica un’appassionata difesa di Maduro. I fratelli Castro sanno perfettamente che i 13 milioni di Dollari annuali in sussidi, aiuti e affari commerciali forniti dalla loro grande colonia politica valgono di più delle recenti dimostrazioni di affetto e promesse ricevute dagli stati Uniti.

“Il Venezuela non è solo”, ha dichiarato una nota ufficiale cubana, suggerendo che se sì arriverà ad un conflitto armato, i soldati della patria cubana non rimarranno a guardare.

Certo, sono solo parole, atteggiamenti per i balconi. I Castro sanno che gli Stati Uniti non sono minimamente interessati a passare alla violenza per liquidare la “rivoluzione” bolivariana. Nessuno invaderà il Venezuela.

Ciò che è generalmente ignorato è il perché Obama abbia preso questa contraddittoria decisione che aiuta solo a dare a Maduro un pretesto per incrementare il sentimento nazionalista, la repressione e mescolare il nido del vespaio sudamericano.

Eppure, ci sono buone ragioni dietro questa iniziativa. Il Venezuela è davvero un rischio per la sicurezza degli Stati uniti, non perché ha violato i diritti umani – questa era la scusa – ma a causa di tre attività che sono codificate nella definizione dottrinale che indicano dove il pericolo per la società nordamericana inizia o si intensifica.

Chiunque voglia conoscere la visione che prevale a Washington sulla questione dovrebbe leggere il libro Reconceptualizing Security in the Americas in the 21st Century, con particolare attenzione al capitolo intitolato Venezuela: tendenze nel crimine organizzato, scritto dall’analista Joseph M. Humire.

Il movimento fondato da Hugo Chávez ed ereditato da Maduro ha oltrepassato tre linee di confine:

  • Primo, la complicità venezuelana coi terroristi islamici in Iran. Il governatore dello stato di Aragua, Tareck El Aissami, di origini arabe ed ex ministro dell’Interno, ha detto di avere forti relazioni con il governo iraniano. Questi ha usato la sua posizione per creare una rete di relazioni con i terroristi in Medio Oriente, finanziati dal traffico di droga.
  • Il secondo limite oltrepassato a Caracas è, precisamente, relativo al traffico di droga. Ci sono generali venezuelani che sono coinvolti fin sopra i capelli in questo torbido mercato. Su 700 tonnellate di cocaina prodotte annualmente nel mondo, 300 vanno attraverso il Venezuela fino in Europa passando per l’Africa, o arrivano negli Stati Uniti tramite l’America Centrale. Il presidente del Parlamento, Diosdado Cabello, è stato accusato di essere il capo del principale cartello.
  • Terzo, il diffuso riciclaggio di soldi sporchi. Petróleos de Venezuela, la compagnia petrolifera statale meglio conosciuta con l’acronimo PDVSA, è dove avvengono la maggior parte delle transizioni sospette, incluse le emissioni di obbligazioni. Più che un’attività, la PDVSA è il nascondiglio di Ali Babà, ma con più di 40 ladroni. Quei soldi servono per corrompere politici, comprare consenso e pagare i criminali per i loro servigi.

La Casa Bianca sa tutto questo nel dettaglio.

E’ stata istruita dai suoi diplomatici, dai servizi segreti e dai disertori. Walid Makled García, venezuelano a capo del traffico di droga, paragonabile a Pablo Escobar al suo apice, fu intensamente interrogato dagli agenti della DEA prima che il suo carceriere colombiano lo deportò in Venezuela.

“Il Turco”, come era chiamato, cantava La Traviata, spifferò tutto. L’ultimo membro del coro è Leamsy Salazar, braccio destro di Cabello e Chávez, il quale chiese asilo politico negli Stati Uniti e confermò tutto questo. Contribuì inoltre con nuove informazioni. Potrebbe non essere stato detto abbastanza che “il Venezuela non è un pericolo, ma una seccatura”.

A dire il vero, il Venezuela è un pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti e per tutto l’emisfero. L’errore di Obama non fu di affrontare i suoi nemici e chiamare le cose con il proprio nome, ma di scegliere un’accusa indiretta, formulata malamente, così che molte persone non hanno potuto capirla. Il presidente voleva soddisfare tutti, ma è riuscito a fare esattamente il contrario. Un peccato.

Articolo originale:
http://www.miamiherald.com/opinion/op-ed/article14674460.html