Socialisti dissidenti sollecitano il Venezuela ad investigare sulla corruzione

Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: secondo la Reuters, per l’occasione nella versione pubblicata dal Daily Mail lo scorso mercoledì 3 giugno, il pericolo per il governo bolivariano verrebbe dalle sue stesse fila a causa della dilagante corruzione fra i membri del partito.

“The republic is at risk” due to corruption, (…) “The revolution is at risk”.

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Nicmer Evans

Ex membri ormai dissidenti del Partito socialista al governo in Venezuela hanno richiesto, lo scorso mercoledì, un’investigazione governativa su una presunta frode multi-milionaria, che dicono essere prosperata sotto il rigido controllo sulla valuta da parte del paese sudamericano membro dell’OPEC.

Marea socialista, un piccolo gruppo di intellettuali di sinistra, nonché frangia del Partito socialista, ha detto che le compagnie corrotte e i politici complici stanno giocando con il sistemo valutario designato per controllare le variazioni sulle importazioni, dal cibo ai medicinali.

Sotto un complesso comando fondato nel 2003 dall’ex leader venezuelano Hugo Chávez, compagnie e individui fanno domanda di dollari ad un tasso di cambio preferenziale.

“Molti burocrati e operatori politici si sono avvantaggiati di questa opportunità per dissanguare il paese,” ha dichiarato Nicmer Evans, leader di Marea socialista, nell’ufficio dell’Amministratore finanziario di Caracas, dove insieme ad altri dissidenti ha presentato le loro richieste e cercato di presentare un nuovo sito per gli informatori che volessero denunciare le frodi.

Il gruppo ha stimato in circa 259 miliardi di dollari la cifra non conteggiata fin dall’implementazione del sistema. La stima è basata su informazioni e dichiarazioni pubbliche, inclusa l’ipotesi dell’ex direttore della Banca centrale che ammonta a 20 miliardi di dollari sottratti in un anno.

La pressione sta crescendo sul presidente venezuelano Nicolas Maduro per indagare sulle attività illegali, in mezzo alle inchieste dei media statunitensi sul traffico di droga degli alti funzionari venezuelani e alle recenti accuse secondo cui una banca di Andorra avrebbe facilitato il trasferimento di 4,2 miliardi di dollari connessi al riciclaggio di soldi nel paese.

“Andorra rappresenta solo la punta dell’iceberg, noi vogliamo arrivare fino alla radice del problema” ha detto Evans.

“La rivoluzione è a rischio”

Richieste di chiarimenti al governo non hanno ricevuto risposte.

Il governo Maduro in passato è stato incolpato di corruzione e additato come “traditore della rivoluzione” e promise di sradicare le mele marce.

Ma la frustrazione sui problemi, così come la percezione che Maduro difetti di leadership tra i colpi della crisi economica, ha solamente aumentato la frammentazione del blocco “chavista”.

La stessa Marea socialista ha recentemente abbandonato il partito, sebbene la domanda di diventare un’entità separata sia stata rigettata in maggio.

La critica del gruppo afferma che la corruzione è inerente al sistema a conduzione statale caldeggiato da Chávez, e domandano perché gli stessi membri non ne abbiano parlato prima.

Comunque i dissidenti socialisti sostengono che Chávez fece del suo meglio per sradicare la corruzione che da tempo tormenta la nazione ricca di petrolio, e dicono che queste pratiche sono più esplicite perché Maduro non ha lo stesso pugno duro del suo predecessore.

“La repubblica è a rischio” a causa della corruzione, ha avvisato Ana Elisa Osorio, ministro dell’ambiente dell’era Chávez e membro del Partito socialista, che sta spingendo per avviare le investigazioni.

“La rivoluzione è a rischio.”

Articolo originale:
http://www.dailymail.co.uk/wires/reuters/article-3109829/Dissenting-socialists-urge-Venezuela-investigate-corruption.html

Aereo carico di droga proveniente dal Venezuela precipita sulla coste colombiane

Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: no, non è Roberto Saviano in missione per il New York Times, ma l’articolo a firma Associated Press propone la stessa storia amaramente apprezzata sui media nazionali: alti funzionari boliavariani accusati di impeachment col narcotraffico.

Venezuela has become a key transit country for cocaine produced in Colombia, with several government officials and high-level members of the military sanctioned by the United States

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Raytheon Hawker 800A (da wikipedia)

BOGOTA, Colombia – Un piccolo aereo, in volo dal Venezuela con più di una tonnellata di cocaina a bordo, è precipitato nei Caraibi lo scorso mercoledì dopo essere stato inseguito dall’aviazione colombiana.

Questo è il solo punto di accordo tra le autorità dei due paesi, ciascuno dei quali si prende il merito mentre offre versioni discordanti su come sia stata sventata la fuga.

Un video realizzato dall’aviazione colombiana mostra un Hawker 800 intercettato dai caccia dopo essere entrato nello spazio aereo del paese intorno alle 2:30 del mattino. Ufficiali riferiscono che il pilota tentava la fuga, ma si è schiantato sulle coste di Puerto Colombia a causa di un guasto di uno dei motori.

La guardia costiera ha trovato il corpo del pilota, la cui nazionalità non è stata accertata, in mezzo ai rottami con 1,2 tonnellate di cocaina, imbustata in pacchetti da un chilogrammo.

Ore dopo, il ministro della difesa venezuelano Vladimir Padrino è apparso sulla rete televisiva nazionale per contestare la versione colombiana.

Padrino ha dichiarato che l’aereo è atterrato su una pista clandestina nello stato di Apure, ovest del paese, appena dopo la mezzanotte. Quando alcune ore dopo l’aereo ha ripreso il decollo, jet venezuelani hanno ordinato al pilota di atterrare, ma al suo rifiuto gli spari hanno colpito il velivolo.

Il ministro ha detto che le autorità venezuelane hanno perso le tracce dell’aereo sospetto subito dopo il passaggio della frontiera, procedendo ad allertare le controparti colombiane.

Il Venezuela è diventato un paese chiave per il transito della cocaina prodotta in Colombia, con numerosi funzionari di governo e alti membri delle forse militari sanzionati dagli Stati uniti per, secondo quanto riportato, collusione con i narcotrafficanti. Ma molta della cocaina è trasportata a nord verso il Centro America su rotte che evitano lo spazio aereo colombiano, saldamente controllato in cooperazione con gli Usa.

Sin dal 2013, le autorità venezuelane dicono di aver abbattuto o neutralizzato 90 aeroplani che trasportavano più 180 tonnellate di cocaina.

Articolo originale:
http://www.nytimes.com/aponline/2015/05/20/world/americas/ap-lt-colombia-venezuela-drug-plane.html

Il lancio di un mango al presidente ispira un gioco

Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: il 6 maggio 2015 il New York Times pubblica un pezzo firmato Associated Press, in cui anche un mango e un’applicazione per telefonia mobile sono buoni pretesti per screditare le politiche del governo bolivariano.

The goal of “Maduro Mango Attack” is to accumulate points by throwing tropical fruit at the socialist leader

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Due venezuelani, emigrati per sfuggire alla crisi economica del paese, stanno dispensando risate con un gioco per telefoni cellulari che deride il presidente Nicolas Maduro per la sua decisione di dare una nuova casa alla donna che gli lanciò un mango per attirare l’attenzione alla sua supplica di  avere un alloggio.

Lo scopo di “Maduro Mango Attack” è di accumulare punti tirando frutti tropicali al leader socialista che passa freneticamente nello schermo a ritmo di musica elettronica, intramezzato dalle urla di illustri capi dell’opposizione che scatenano la loro furia.

I giocatori sono inoltre ricompensati con la possibilità di scuoiare il presidente dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello, che si pavoneggia con una borsa piena di dollari, e di colpire l’ex presidente Hugo Chávez, incarnato da un piccolo uccello in un berretto rosso – allusione all’osservazione di Maduro durante la campagna elettorale in cui Chávez lo avrebbe visitato in “forme svolazzanti” .

Secondo Google Play, negozio online per i giochi, nella settimana di debutto più di 10.000 persone hanno scaricato l’applicazione gratuita.
Il gioco è stato ispirato da un incidente dello scorso mese, in cui una donna scagliò un mango sulla testa di Maduro mentre guidava un bus attraverso una folla di sostenitori. Successivamente, sulla tv nazionale, Maduro mostrava il mango dove Marleny Olivo aveva scarabocchiato il suo numero di telefono, ammettendo poi la preghiera della donna per una nuova casa.

Scarpe, torte e uova rimangono gli oggetti più popolari da lanciare ai disprezzati politici di tutto il mondo. Ma il missile lanciato a Maduro proviene interamente dai sostenitori; il presidente inizialmente accolse positivamente la tendenza, “è il momento del mango” scherzava il 28 aprile, e, per l’umiliazione delle sue guardie del corpo, incoraggiava i fan a consegnare la frutta con le loro richieste di aiuto al governo.

Tuttavia, recentemente ha tentato di smorzare  i toni: “dovete fare attenzione compagni,” ha detto Maduro al corteo del primo maggio dopo aver evitato una maglietta contenente qualcosa di pesante. “Qualche volta una gentilezza può tramutarsi in qualcosa di completamente diverso.”

Fernando Malave, uno dei creatori del gioco, ha detto che non intendeva incoraggiare la violenza contro il presidente, ma piuttosto usare l’umorismo per attirare l’attenzione sui problemi del Venezuela. Malave ha dichiarato che assieme al suo socio, Gabriel Diaz, si trasferirono in Argentina lo scorso anno per cercare lavoro, stufi dell’alto tasso di criminalità e le scarse prospettive lavorative in mezzo ad una crisi economica segnata da una crescente inflazione e una diffusa mancanza di beni.

Le difficoltà hanno dimezzato  il consenso nei confronti di Maduro da quando è stato eletto presidente nel 2013, toccando il fondo con il 28% in un sondaggio raccolto dall’agenzia locale Datanalisis in aprile.

“La gente è stanca e tutti vogliono un cambiamento, ma non sanno che tipo di cambiamento,” ha detto Malave. “Fortunatamente lo spirito, che ha sempre unito i venezuelani, riesce ad alleviare  lo stress quotidiano.”

Articolo originale:
http://www.nytimes.com/aponline/2015/05/06/world/americas/ap-lt-venezuela-maduro-mango-attack.html

Sindaco venezuelano trasferito dal carcere in ospedale per un intervento

Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: secondo William Neuman, NYT, l’ex sindaco di Caracas Antonio Ledezma non è altro che uno dei tanti oppositori incarcerati dal governo bolivariano, colpevoli per aver criticato apertamente il disastro economico causato dall’amministrazione Maduro.

Mr. Ledezma’s arrest was met with widespread international appeals for his release, increasing pressure on the government, which had begun to build last year with the jailing of other opposition figures.

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Vanessa, figlia di Antonio Ledezma ad UnoMattina su Rai1

Il sindaco di Caracas, Venezuela, arrestato con l’accusa di cospirazione contro il governo del presidente Nicolas Maduro, è stato trasferito in un ospedale privato per un’operazione all’ernia lo scorso sabato. Secondo sua moglie e un portavoce, sarà successivamente trasferito agli arresti domiciliari durante la riabilitazione.

Non è chiaro se al sindaco, Antonio Ledezma, sarà chiesto di tornare in prigione dopo il completo recupero.

Ledezma, arrestato dai poliziotti, pesantemente equipaggiati, dell’intelligence in febbraio, è uno dei numerosi politici oppositori di Maduro finiti agli arresti. E’ trattenuto in una prigione militare in attesa del processo.

Agenti governativi lo hanno accusato di complottare il rovesciamento di Maduro, nonostante non abbiano ancora fornito prove evidenti a supporto delle affermazioni. L’avvocato di Ledezma ha respinto le accuse.

L’arresto di Ledezma ha incontrato un diffuso appello internazionale per il suo rilascio, aumentando la pressione sul governo, pressione cominciata a montare lo scorso anno con l’incarcerazione di altre figure dell’opposizione.

Maduro, presidente di sinistra eletto nell’aprile del 2013, sta lottando con una cascata di problemi economici, compresa la recessione, l’alta inflazione e la scarsità di beni di prima necessità. Ha dichiarato che questi problemi sono parte di una cospirazione per indebolire il suo governo e ha spesso riferito di misteriosi quanto vaghi complotti per assassinarlo o deporlo.

Come gli altri esponenti dell’opposizione, Ledezma è stato un critico “non silenzioso” di Maduro.

La moglie di Ledezma, Mitzy Capriles, lo stesso sabato ha criticato il governo per il mancato rilascio di suo marito e per non aver fatto cadere le accuse nei suoi confronti. Capriles ha richiamato la pressione internazionale per forzare il governo ha riconsiderare l’imprigionamento di Ledezma.

Articolo originale:
http://www.nytimes.com/2015/04/27/world/americas/antonio-ledezma-jailed-venezuelan-mayor-is-moved-to-hospital-for-surgery.html

La Cumbre de las Américas senza afros e indigeni

Traduzione di Raffaele Piras

Jesús Chucho García, ambasciatore afrovenezuelano in Angola

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Marcia indigena a Panama. (fonte: hondurastierralibre.com)

Nonostante la Cumbre de las Américas realizzata la settimana scorsa a Panamà sia stata una delle più straordinarie dal punto di vista politico, riflettendo l’inarrestabile processo di sovranità dei nostri paesi, è stata anche uno dei summit in cui i temi che riguardano cinquanta milioni di indigeni e centocinquanta milioni di afrodiscendenti sono stati totalmente omessi, trascurando parte delle grandi problematiche che toccano i nostri paesi.

Volando basso, sono stati semplicemente menzionati senza sottolineare gli assassini, dislocazioni forzate, razzismo e discriminazione di queste due componenti etniche che con le mani e intelligenza hanno costruito questo continente. La maggior parte dei presidenti ha ignorato che il canale di Panamá è stato costruito, perlopiù, da afrodiscendenti provenienti da quasi tutta la regione del continente.

Molti presidenti e la famosa Cumbre de los Pueblos hanno ignorato che è proprio lì che si consumò uno dei peggiori massacri di studenti, per la maggior parte afroamericani, quando nella decade dei ’60 osarono togliere la bandiera degli Stati Uniti per sostituirla con quella di Panamá come rivendicazione di sovranità panameña sul canale.

Nella strategia della cosiddetta Alianza para la Prosperidad del summit, non sono stati menzionati gli impatti ambientali negativi, provocati dalle corporazioni transnazionali nei corridoi strategici-ecologici, dal Chiapas all’Amazzonia, l’aumentare della voragine nell’Amazzonia brasiliana e i disastrosi effetti delle compagnie petrolifere in Ecuador.

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Lotta indigena in Colombia (fonte: es.comunicas.org)

Indigeni e afrodiscendenti in cifre

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Proteste Garifuna a Vallecito – Honduras (fonte: upsidedownworld.org)

Secondo l’UNICEF ‘’ In America Latina e Caraibi, oltre ai 40-50 milioni di indigeni, sono presenti 150 milioni di afrodiscendenti distribuiti per tutta la regione. Si stima che dei circa 200 milioni di indigeni e afros circa la metà siano bambini e adolescenti minori di 18 anni .’’. Più di cinque mila lingue indigene, così come le varianti creole dei Caraibi, la lingua Garifuna parlata in Centroamerica e Belice, la lingua palenquera e quelle afroreligiose, conferiscono una grande diversità culturale al nostro continente. Nel summit non è stato mostrato nemmeno un simbolo di queste culture ancestrali, se non per essere sminuite o folclorizzate.

Per l’UNICEF ‘’ La marginalità e l’esclusione sono stati convertiti in parte strutturale di queste popolazioni a partire dall’instaurazione del regime di conquista e di colonizzazione europeo del XV secolo, che cercava la manodopera per i lavori agricoli e di miniera che alimentavano le città. La schiavitù e i meccanismi per mantenerla in vita fanno parte dell’olocausto più grande che abbia sofferto l’umanità. Come frutto del razzismo e della discriminazione, questi popoli sono caratterizzati da più bassi livelli nutrizionali, minor copertura e qualità nei servizi educativi e un limitato o inesistente accesso ad altri servizi basilari come quello sanitario, quello dell’acqua, e quello della protezione rispetto al resto della popolazione creolo-meticcia.’’.

Decennio Afrodiscendente

Ci troviamo nel contesto del Decenio de los Pueblos Afrodescendientes (2015/2024), in cui i paesi si sono compromessi nell’implementare un piano d’azione, che è però sabotato da parte di quei paesi che hanno partecipato al terribile commercio di africani e del lavoro forzato di milioni di uomini, donne e bambini per la ‘’prosperità coloniale e neocoloniale’’ delle grandi borghesie, che in qualche maniera contribuiscono tutt’oggi a mantenere in vita forme di potere neocoloniale in molti dei nostri paesi. È necessario innanzitutto che i paesi che nel summit hanno avuto il coraggio di esigere autonomia, sovranità e dignità, esigano anche l’inclusione dei ‘’condannati della terra ’’ che per secoli hanno sofferto discriminazione e violenza etnica. Gli ultradifensori dei diritti umani che hanno attaccato il Venezuela, come l’ossessivo ex presidente messicano Felipe Calderón o l’ex presidente colombiano Andrés Pastrana, non hanno detto assolutamente niente sui massacri di indigeni e afros nei loro rispettivi paesi, evidenziando la struttura mentale razzista e discriminatoria. L’auspicio è che nel summit della CELAC in Ecuador si conformi il comitato dei popoli afrodiscendenti per cominciare a saldare questo debito storico.

Fonte :
http://alainet.org/es/articulo/169034

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Manifestazione Mapuche in Cile. (Fonte: mapuche-nation.org)

Obama incontra il presidente del Venezuela parallelamente al Summit

Per il mercoledì Narrazioni tossiche: sabato 11 Aprile, sulle maggiori testate nazionali, Associated Press ci presenta un Maduro remissivo e in difficoltà, alle prese con un Obama concreto e protagonista nella salvaguardia, e nella diffusione, dei valori democratici.

 

President Obama indicated our strong support for a peaceful dialogue between the parties within Venezuela,” said Bernadette Meehan, a spokeswoman for the White House’s National Security Council. “He reiterated that our interest is not in threatening Venezuela, but in supporting democracy, stability and prosperity in Venezuela and the region.

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Sabato il presidente Barack Obama ha incontrato privatamente il suo omologo venezuelano, in mezzo all’aspra disputa fra le due nazioni dopo le recenti sanzioni Usa sui sette funzionari venezuelani.

L’incontro tra Obama ed il presidente Nicolas Maduro ha avuto luogo parallelamente al Summit delle Americhe e, secondi fonti della Casa Bianca, non autorizzate però ha rilasciare un commento ufficiale, è durato solo pochi minuti.

Lo scontro è avvenuto dopo che l’amministrazione Obama ha dichiarato che la crisi economica e politica in Venezuela è una minaccia per la sicurezza degli Stati Uniti, e il congelamento dei beni nel paese di sette funzionari, accusati di violazione dei diritti umani nelle proteste antigovernative dello scorso anno in Venezuela.

Maduro e gran parte dell’America Latina hanno condannato l’azione come un ritorno ai tempi della Guerra Fredda, azione che aumenta solo la tensione in un Venezuela profondamente diviso, in cui l’opposizione chiede le dimissioni di Maduro.

“Il presidente Obama ha indicato il nostro forte supporto per un dialogo pacifico fra la parti in Venezuela”, ha detto Bernadette Meehan, portavoce per il Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca. “Ha ripetuto che il nostro interesse non è intimidire il Venezuela, ma supportare la democrazia, la stabilità e la prosperità in Venezuela e nel resto della regione.”

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In seguito Maduro ha descritto l’incontro come franco e cordiale, dicendo che i dieci minuti di consultazione possono aprire la strada per un significativo dialogo fra le due nazioni nei prossimi giorni.

 “Gli ho detto che non siamo nemici degli Stati Uniti” ha dichiarato Maduro. “Ci siamo detti vicendevolmente la verità.”

Obama non ha menzionato il confronto nelle osservazioni alla conclusione del summit.

Ma durante un intervento, Obama ha difeso il diritto della sua amministrazione di criticare linee politiche con cui non si trova d’accordo.

“Quando parliamo apertamente di qualcosa come i diritti umani, non è perché pensiamo di essere perfetti, ma perché riteniamo che il concetto di non imprigionare persone se non sono d’accordo con te, sia quello giusto” ha detto hai leader regionali, senza menzionare direttamente il Venezuela.

Articolo originale:
http://www.nytimes.com/aponline/2015/04/11/world/americas/ap-americas-summit-obama-maduro.html

L’Impero all’attacco. Venezuela e Cuba si ritirano dal foro della Società Civile a Panama.

Traduzione: Caracas ChiAma

 

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Il deputato cubano Luis Morlote ha segnalato che alcuni partecipanti al foro “non rappresentano la società civile di Cuba” e sono amici di terroristi. La delegazione cubana si è ritirata questo mercoledì dalla sessione plenaria del Foro della Società Civile e Agenti Sociali, che si realizza dentro la cornice del VII Vertice delle Americhe, poiché rifiutava alcuni partecipanti “che non rappresentano la società civile di Cuba e tra cui ci sono alcuni che vantano amicizie con terroristi” (ndt. La delegazione cubana aveva denunciato la presenza in sala dell’assassino del Che Guevara) . Per solidarietà con Cuba, anche la delegazione venezuelana si è ritirata dalla sessione. Lo stesso deputato cubano ha dichiarato che “i rappresentanti della vera società civile hanno lasciato il foro perché non hanno intenzione di condividere lo spazio con rappresentanti di una supposta società civile, che non è la nostra, che sta sotto soldo”. Dopo l’uscita, Morlote ha spiegato che già avevano sollecitato gli organizzatori a mandare via dalla sala questi individui. “Non possiamo stare nello stesso spazio… non è possibile che ci siano mercenari che si autonominano come rappresentanti della società civile. È inammissibile” ha aggiunto il deputato cubano. Tuttavia, ha dichiarato che rimane l’intenzione di partecipare ai tavoli di dialogo al foro, che inizieranno il 10 aprile. Inoltre, la delegazione cubana ha denunciato di non aver ricevuto le apposite credenziali per assistere all’evento, e quindi di aver dovuto usare i passaporti per assistere alla sessione.

IL CONTESTO:
Questo mercoledì, si sono realizzati due delle sessioni che occupano il dibattito tecnico previo al Vertice delle Americhe: quello della Società Civile e degli Agenti Sociali (8, 9, 10 aprile) e quello della Gioventù (8 e 9 di aprile). In entrambi gli spazi si sono riuniti principalmente rappresentanti di estrema destra, opposti alle politiche progressiste di America Latina e Caraibi. Almeno 20 controrivoluzionari cubani hanno le credenziali per partecipare al Foro della Società Civile, non si scarta nemmeno la partecipazione di ONG che rifiutano le politiche di Cuba, e che godono di finanziamento internazionale.

 

Fonte: Telesur
http://www.telesurtv.net/news/Venezuela-y-Cuba-se-retiran-de-Foro-de-Sociedad-Civil-en-Panama-20150408-0045.html

In pericolo a casa: stelle venezuelane dell’MLB fuggono dal paese

Per le Narrazioni tossiche: Jorge L.Ortiz, articolo apparso su Usa Today (unico quotidiano a tiratura nazionale) il 24 marzo 2015. Negli Stati Uniti il baseball è lo sport più seguito in assoluto, davanti al football e al basket: quale miglior occasione dunque, per screditare le politiche bolivariane, se non quella di intervistare professionisti più-che-benestanti in ritirata dal presunto regime socialista?

Uncomfortable with the rampant crime in the country with the second-highest homicide rate in the world last year, Montero renewed his passport in his native Caracas and hurried back to the USA, feeling terrible for the family members and countrymen he left behind.

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Wilson Ramos, vittima di rapitori tre anni fa, dice che sta ora valutando di lasciare definitivamente il Venezuela. (Foto: Reinhold Matay, USA TODAY Sport)

Il ricevitore dei Chicago Cubs Miguel Montero, stabilitosi a Phoenix sin dal 2007, è tornato la scorsa estate in Venezuela, dove vivono la maggior parte dei suoi parenti.

Ci è rimasto cinque giorni.

A disagio col dilagare del crimine nel paese con il secondo tasso di omicidi più alto del mondo nel 2014, Montero ha rinnovato il passaporto nella città che gli ha dato i natali, Caracas, ed è corso indietro negli Stati Uniti, in angoscia per i membri della famiglia e per i connazionali lasciati nel paese.

Andrei dal posto dove stavo cercando ti avere il mio passaporto e tornerei indietro. Solo questo,” ha detto Montero. “Uno vuole andare nel suo paese per rilassarsi e stare bene, non per essere sparato dentro casa perché si ha paura di uscire… Ci sono problemi di sicurezza in tutto il mondo, ma uno guarda le notizie sul Venezuela e ci sono più omicidi che in Afghanistan.”

Montero, che ha due figli e chiederà la cittadinanza statunitense quest’anno, è salito alla ribalta per quella che è diventata un’ondata di giocatori venezuelani trasferitisi con la famiglia negli Usa, principalmente per motivi di sicurezza.

Felix Hernandez, Miguel Cabrera, Carlos Gonzales e Victor Martinez sono alcuni dei più famosi venezuelani che hanno stabilito radici negli Stati Uniti, ma non sono soltanto le star che stanno cambiando casa. Gregor Blanco e Guillermo Quiroz, compagni di squadra nei San Francisco Giants, si sono trasferiti a Miami, destinazione favorita per gli espatriati.

L’esterno dei Chicago White Sox Avisail Garcia e Alex Torreas e Yangervis Solarte, compagni nei San Diego Padres, sono fra quelli che stanno chiedendo la residenza permanente.

Nel bel mezzo di questa migrazione, tensioni continuano a crescere fra il governo socialista venezuelano del presidente Nicolas Maduro e gli Stati Uniti.

A dicembre, il governo statunitense ha ufficialmente giudicato la situazione in Venezuela, dove la repressione delle proteste anti-governative ha causato più di 40 vittime lo scorso anno, un’emergenza nazionale. Maduro ha risposto definendo questa dichiarazione “un atto di aggressione”.

All’inizio del mese il presidente Obama ha emanato un ordine esecutivo sanzionando sette funzionari venezuelani, considerati responsabili per il giro di vite. Da parte sua, Maduro ha ordinato la riduzione dello staff dell’ambasciata Usa in Venezuela da 100 membri fino a 17, e ha annunciato che i cittadini americani adesso dovrebbero richiedere il visto per entrare nel paese sudamericano.

Mentre i giocatori di baseball tendono a stare lontano dalla politica, molti venezuelani della Major League dicono che la combinazione di problemi di sicurezza ed emergenza economica nel paese – il tasso d’inflazione ha sorpassato il 60% – ha suggerito loro di cercare un futuro per la propria famiglia da qualche altra parte.

Non ho mai pensato di trasferirmi qui per vivere,” ha detto Blanco, il quale ha un figlio di 4 anni con sua moglie e un altro di 9 anni avuto da una precedente relazione. “Gli Stati Uniti sono un bellissimo paese con un sacco di ottime cose, ma è dura trasferirsi dal proprio paese in un altro. Sei abituato alle tue tradizioni, alla tua patria, alla tua gente. Tutto è cambiato da un giorno all’altro quando ho realizzato – Wow, devo fare attenzione alla sicurezza dei miei figli. – Per questo ho preso quella decisione.”

Decisione confermata quando Blanco ha passato tre settimane in estate a Los Valley del Tuy, il sobborgo dove è cresciuto fuori Caracas. Blanco lo ricordava come piacevole e tranquillo. Non lo è più.

Carenza di cibo e di beni primari come carta igienica, pannolini e medicine rendono la vita difficile. Blanco ha provato per cinque anni a costruire una casa per il ritorno, ma non ha potuto trovare elettrodomestici da comprare.

Peggio ancora, una sensazione di illegalità ha permeato la zona.

Sei sempre spaventato che qualcosa di brutta possa accadere,” ha detto Blanco. “Quando sei addormentato, ogni rumore ti fa pensare alle peggiori conseguenze. E’ dura vivere con questo stress tutti i giorni.”

Fonte:
http://www.usatoday.com/story/sports/mlb/2015/03/24/mlb-venezuelan-players-unrest/70373988/

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Venezuela: mille tamburi contro i media, marcia per l’anniversario dell’abolizione della schiavitù

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In Brasile, un militante del movimento dei contadini senza terra che firma la petizione; insieme ad altri mille manifestava la sua solidarietà.

Traduzione di Lorenzo Mastropasqua

Raramente un presidente statunitense ha coagulato una tale unanimità contro di lui.

Dopo l’Unasur che rappresenta 12 governi sudamericani, la Celac che raggruppa i 33 stati dell’America latina e dei caraibi, l’Alba, PetroCarive, i 134 membri del G77 + la Cina.. Insomma tutto il sud del pianeta ha rigettato il decreto di Obama perchè «viola il diritto internazionale, la sovranità e l’indipendenza politica del Venezuela».

In tutto il mondo, dei movimenti sociali sostengono l’appello che, in Venezuela ha già raccolto 5 milioni di firme.

 

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In Ecuador, il presidente Rafael Correa si unisce alla campagna.

 

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Firmatari dell’appello in Nicaragua.

 

Parallelemente a questa mobilitazione nazionale, sembra che il lavoro sottotraccia intrapreso dal governo Maduro per contrastare la guerra economica incomici a dare i suoi frutti. Uno studio intrapreso dal privato Hinterkaces (realizzato dal 14 al 18 marzo su una base di 1200 interviste effettuate su tutto il territorio) rivela che il 65% della popolazione si dice «ottimista», ben 4 punti in più rispetto a gennaio 2015, contro i 34% di «pessimisti (38% a gennaio).

IL 24 marzo scorso abbiamo festeggiato il 161esimo anniversario dell’abolizione della schiavitù, decisa dal presidente Josè Gregorio Monagas, sulla scia dei decreti di Simon Bolivar. Una politica che ha valso a quest’ultimo di essere tacciato dai giornali delle grandi piantagioni schiaviste del sud degli Stati uniti e degli oligarchi latino americani come «Cesare assetato di potere». Ai giorni nostri, è organizzando una «marcia di mille tamburi» che il movimento discendente dagli schiavi africani, ha espresso il suo sdegno rispetto alle campagne mediatiche e al decreto del presidente Obama di classificare il Venezuela come minaccia inabituale e straordinaria per la politica estera degli Stati uniti. David Abello, del «consiglio per lo sviluppo della comunità afroamericana» ha dichiarato: «In questo momento della storia, che ci garantisce la libertà, non permetteremo a nessuno di ricolonizzarci».

tamburi4tamburi5tamburi6tamburi7tamburi8tamburi9tamburi91Foto: AVN (Juan Carlos La Cruz)

 

Fonte:
https://venezuelainfos.wordpress.com/
 

 

A sei mesi dalla sparizione dei 43 normalisti: l’autoritarismo di Peña Nieto aumenta

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Traduzione di Raffaele Piras

Sono passati già 6 mesi da quando il governo messicano ha compiuto un massacro senza precedenti nella storia del paese. Il 26 settembre del 2014 a Iguala, Guerrero, è stato massacrato un gruppo di studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa e sono stati poi detenuti/fatti sparire 43 di loro.

Da allora un movimento multitudinario ha preso le strade esigendo giustizia. Praticamente in tutto il paese studenti, lavoratori e le fasce più povere della popolazione si è riversata in strada con il motto Vivos se los llevaron, vivos los queremos !

Le proteste hanno raggiunto un punto molto avanzato di mobilitazione il 20 novembre del 2014. Molti analisti considerano quella manifestazione storica per diversi motivi: l’imponenza, l’emotività e l’unità tra sindacati e settori popolari. I numeri della mobilitazione variano, ma chi di noi si trovava in quel fiume umano che ha protestato da diversi punti sa che eravamo almeno centinaia di migliaia, e diversi mezzi di comunicazione hanno calcolato in 2 milioni la cifra di manifestanti in tutto il Messico.

Anche l’emotività fu impressionante: per un momento avevamo obbligato il governo federale a sgomberare il Zócalo di Città del Messico e ad annullare la parata militare. La partecipazione del movimento giovanile e popolare si è affiancata ai sindacati, come quello dei lavoratori della telefonia, nella realizzazione di uno sciopero nazionale, confluendo nella mobilitazione in tutto il paese.

Il caso Ayotzinapa ha messo in crisi il regime messicano. Le parole d’ordine della mobilitazione recitavano #FueElEstado. Il movimento ha colpevolizzato tutti i partiti del congresso (PRI, PAN, PRD) e ha denunciato che tutto il paese è marcio.

Gli eroici familiari dei 43 studenti non hanno cessato di mobilitarsi giorno e notte per ottenere la presentazione con vita dei ragazzi, e hanno sollecitato una trasformazione dalla radice di tutto il paese. Insistono che è stato lo Stato e hanno denunciato che il Batallón 27 delle forze armate si trova implicato nel massacro.

Anche se il governo cerca di insabbiare la vicenda presentando la verità storica secondo cui i 43 sarebbero stati bruciati nella discarica di Cocula dal crimine organizzato, ci sono indizi dei periti del Equipo Argentino de Antropología Forense, di accademici universitari e degli stessi familiari delle vittime che vedono probabile che le forze armate siano implicate nel massacro.

Offensiva reazionaria: Peña Nieto vuole superare il caso Ayotzinapa e spinge a votare alle prossime elezioni.

Il regime messicano ha realizzato una forte offensiva reazionaria contro il movimento che esige la presentazione con vita dei 43 studenti. In primo luogo la Procuraduría General de la República ha dichiarato che esiste una sola verdad histórica sul caso Iguala: gli studenti sono morti a causa del crimine organizzato.

In secondo luogo il regime è tornato a ricorrere alla repressione a ogni manifestazione. Il 20 novembre, per esempio, gli studenti che sono stati detenuti sono stati portati in carceri di massima sicurezza, seminando il panico nella mobilitazione. A inizio anno è stato assassinato l’attivista Gustavo Salgado a Cuernacava, militante del FPR, ed è stata giustiziata Norma Angélica, della Comisíon de Búsqueda de Familiares Desaparecidos a Iguala.

Con il logoramento della mobilitazione e l’impotenza della strategia delle direzioni sindacali nell’avanzare un piano unificato che concentri lo scontento nazionale, il regime ha avanzato ancor di più con una forte offensiva contro i lavoratori.

Ha imposto un nuovo taglio alla PEMEX con più di 100mila licenziamenti annunciati, tagli alla sicurezza sociale (IMSS, ISSSTE) e ha anticipato la volontà di riforma dell’apparato B dell’articolo 123, che liquida il diritto allo sciopero e alla contrattazione collettiva dei lavoratori del settore pubblico. Ha avuto luogo, inoltre, un recorte alle libertà democratiche con il licenziamento di Carmen Aristegui del MVS, per aver diffuso i casi di corruzione del governo di Peña Nieto.

L’offensiva continua con l’iniziativa di legge che prevede la privatizzazione dell’acqua: gli impresari potranno privatizzare il diritto umano all’uso del liquido vitale.

Il Consejo Coordinador Empresarial, massima organizzazione dei capitalisti del paese, ha lanciato un appello affinché il prossimo processo elettorale si sviluppi nel segno della normalità.

L’esercito messicano in diverse occasioni ha insistito affermando che continuare a diffondere l’idea secondo cui il Batallón 27 sia implicato nella sparizione dei 43 studenti altro non è che una provocazione; mentre l’incaricato alla sicurezza insiste spiegando che i prossimi comizi elettorali si realizzeranno:’’Llegaron a ser desalojadas siete juntas electorales, las siete ya han sido recuperadas. No veo que haya condiciones para que se pueda alterar el proceso electoral’’.

La repressione autoritaria ha raggiunto anche la comunità accademica: per decreto della Secretaria de Gobernación è stato chiuso l’accesso alla Galera 1 dell’Archivo General de la Nación (AGN), in cui lavoravano centinaia di storici alla ricerca di dati di sparizione forzata degli anni 70. Nell’AGN ci sono gli archivi della c.d. ‘’Guerra Sucia’’.

La Comisión Nacional de Derechos Humanos (CNHD) ha emesso oggi una dichiarazione: dopo Ayotzinapa in Messico non siamo più gli stessi. I familiari dei 43 ragazzi, non ricevendo nessun aiuto dalla CNHD, hanno viaggiato in Caravana fino alla Comisión Interamericana e si trovano oggi negli USA per realizzare proteste ed azioni.

A 6 mesi dalla sparizione, Peña Nieto ha lanciato un appello alla partecipazione alle prossime elezioni, e ha dichiarato che ‘’a giugno avranno luogo i comizi più controllati e trasparenti della nostra democrazia’’. Nel messaggio diffuso nella pagina web della presidenza ha dichiarato: ‘’presentiamoci alle urne e riaffermiamo la nostra fiducia verso le istituzioni democratiche, perché con ciascun voto costruiamo un Messico più forte’’.

La democrazia messicana è la ‘’democrazia’’ dei più di 160mila morti, dei 25mila desaparecidos e delleimages migliaia di sfollati. La nostra democrazia ha convertito il Messico in una fossa clandestina. La sottomissione ai piani statunitensi, con l’applicazione della riforma educativa, del lavoro, energetica, e la forte militarizzazione del paese, hanno messo in evidenza che la nostra democrazia è una ‘’barbarie’’, come detto in diverse occasioni 50 anni fa l’intellettuale marxista José Revueltas.

La storia però è ancora più assurda, e supera le storie di terrore e umore nero. L’Instituto Nacional Electoral (INE) ha scelto uno dei 43 normalisti scomparsi come scrutatore elettorale.

Dal Movimiento de los Trabajadores Socialistas stiamo portando avanti una campagna verso le prossime elezioni in Messico. Pensiamo che questo regime politica sia marcio e irriformabile, e che i lavoratori non debbano votare nessun partito politico del Congresso: né PRI, né PAN, né PRD.

Nel caso del Morena (Movimiento Regeneración Nacional, ndr), anche se si considera un oppositore, nei fatti non ha partecipato a nessuna mobilitazione di ripudio al governo. Come si sa, Andrés Manuel López Obrador ha appoggiato José Luis Abarca, ex sindaco di Iguala e uno dei principali responsabili del massacro del Guerrero. Con la sua strategia utopistica di riformare e democratizzare le istituzioni esistenti, un eventuale rafforzamento del Morena sarebbe solamente funzionale alla legittimazione di questo regime assassino.

Dobbiamo sostenere l’appello dei familiari degli studenti normalisti spariti e ripudiare il processo elettorale. A queste elezioni i lavoratori e le fasce più povere non hanno alternativa. Annulliamo il nostro voto con il motto #Nosfaltan43!

Fonte :
http://www.laizquierdadiario.com/A-seis-meses-de-la-desaparicion-de-los-43-el-autoritarismo-de-Pena-Nieto-aumenta

Gruppo 77+Cina: Dichiarazione in appoggio al Governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela

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Il Gruppo dei 77 + Cina esprime il rifiuto della recente decisione del governo degli Stati Uniti d’America di ampliare le sanzioni unilaterali contro il governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, stabilite attraverso un Decreto Esecutivo firmato dal Presidente Barack Obama il 9 Marzo 2015, in cui si dichiara “un’emergenza nazionale a causa della minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli Stati Uniti rappresentata dalla situazione interna del Venezuela”.

Allo stesso modo, ribadisce l’importanza della Dichiarazione adottata durante il Vertice dei Capi di Stato e di Governo del Gruppo dei 77 + Cina, riunitosi a Santa Cruz de la Sierra, in cui si rifiuta fermamente l’imposizione di leggi e regolamenti ad effetto extraterritoriale e di ogni altra misura economica coercitiva, incluse le sanzioni unilaterali contro i paesi in via di sviluppo.

Il Gruppo dei 77 + Cina, deplora la misura e ribadisce il suo fermo rispetto della sovranità, dell’integrità territoriale e dell’indipendenza politica della Repubblica Bolivariana del Venezuela. Inoltre, il Gruppo dei 77 + Cina pone anfasi sulla necessità di rispettare il diritto internazionale, così come i principi e i propositi sanciti nella Carta delle Nazioni Unite e nel Diritto Internazionale, in riferimento alle relazioni d’amicizia e cooperazione tra gli Stati e in conformità alla Carta delle Nazioni Unite. Il G-77 + Cina, sottolinea il contributo positivo del Venezuela nel rafforzamento della cooperazione Sud-Sud, della solidarietà e delle relazioni d’amicizia tra i popoli e le nazioni per promuovere la pace e lo sviluppo.

Il Gruppo dei 77 + Cina, esprime solidarietà e appoggio al governo venezuelano, colpito da queste misure che non contribuiscono, in alcun modo, al dialogo politico ed economico e alla mutua intesa tra i paesi. Inoltre, esorta la comunità internazionale ad adottare misure efficaci ed urgenti atte ad eliminare l’uso di misure economiche coercitive unilaterali contro gli Stati e in particolare contro i paesi in via di sviluppo.

Il G-77 + Cina, lancia un appello al governo degli Stati Uniti affinchè valuti e implementi soluzioni alternative di dialogo con il governo della Repubblica Bolivariana del Venezuela, basate sul principio di rispetto della sovranità e dell’autodeterminazione dei popoli. Di conseguenza, chiede l’abrogazione del suddetto ordine esecutivo.

New York, 25 Marzo 2015

Fonte:
http://italia.embajada.gob.ve/index.php?option=com_content&view=article&id=318:g77china-transmite-su-apoyo-al-gobierno-y-pueblo-de-venezuela-&catid=3:noticias-de-venezuela-en-el-mundo&Itemid=19

La CIA sponsorizzò Felipe González, del Partito Socialista Spagnolo che da pochi giorni è assessore dell’ “oppositore venezuelano Capriles”

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Nel suo libro “La CIA in Spagna”, il giornalista d’inchiesta Alfredo Grimaldos assicura che l’ascesa al potere del socialista Felipe González come presidente del Governo spagnolo nel 1982, fu in realtà l’alternativa “disegnata e controllata” dalla Cia per mantenere la tutela sulla Spagna,

Il libro di Grimaldos, pubblicato nel 2006, afferma che l’attuale Partito Socialista Obrero Español (PSOE) non nacque da una vera e propria base sociale, ma che fu creato, modellato e finanziato dalla CIA nordamericana, attraverso fondazioni del Partito Socialdemocratico di Willi Brandt della Repubblica Federale Tedesca: “I servizi segreti nordamericani e la socialdemocrazia tedesca si diedero gelosamente il turno nella direzione della Transizione spagnola, con due obiettivi: impedire una rivoluzione dopo la morte di Franco e annientare la sinistra comunista. Questo lavoro sottile di costruire un partito “di sinistra” precisamente per impedire che la sinistra arrivi al potere in Spagna, è opera della CIA, in collaborazione con l’Internazionale Socialista”.

Alfredo Grimaldos ha pubblicato un nuovo libro: “Claves de la transición 1973-1986 para adultos” (Editorial Peninsula). Il libro inizia con la seguente frase: “Il Franchismo non è una dittatura che finisce con il dittatore, ma una struttura di potere specifica che integra alla nuova monarchia”.

In un’intervista pubblicata per il giornale Público.es, Grimaldi risponde a una domanda: “Fino a che punto la CIA tutela la Transizione?”

Quando Nixon arriva in Spagna nel 1970 trova un Franco molto invecchiato. Nixon torna preoccupato. Per loro era molto importante mantenere la Penisola Iberica nel sistema di alleanze. Quindi, gli dica a Vernon Walters, il suo uomo di fiducia, che vada in Spagna per vedere cosa potrebbe succedere dopo la morte del dittatore. Franco si rese conto immediatamente di quello che accadeva e disse a Walters che era tutto sotto controllo e ben controllato, che l’Esercito si schiererà dalla parte di Juan Carlos I e che il suo principale monumento non è la “Valle de los Caidos” ma la classe media spagnola che farà da materasso per impedire una rivoluzione.

Grimaldos fa a pezzi l’immagine officiale che si ha della Transizione Spagnola, segnalata costantemente come riferimento esemplare del passaggio da una dittatura alla maturità della vita democratica e in questo contesto, al ruolo svolto da quel giovane lottatore, intelligente, carismatico, eloquente, a cui il giornale Pravda, quando era ancora organo del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, riempirà d’elogi sul finire degli anni ’80 per la sua “flessibilità e pragmatismo”.

Risulta quindi che il faro della chiamata Transizione fu costruito sull’inganno e la manipolazione? Così sembrerebbe dalla testimonianza, pubblicata nel libro di Grimaldi, del generale Manuel Fernández Monzón, contatto dei servizi segreti del franchista Luis Carrero Blanco con la CIA: “Non è vero quello che si è detto sulla Transizione. Come che il re fu il motore. Né Suárez né lui furono i motori di niente, solo pezzi importanti di un piano concepito all’altro lato dell’Atlantico. Fu tutto disegnato dalla CIA e dalla Segreteria di Stato”.

Recentemente, l’ex candidato presidenziale venezuelano e governatore di stato Miranda, Henrique Capriles Radonski, informò attraverso Twitter d’essersi incontrato in Bolgotá, Colombia, con l’ex presidente del governo spagnolo Felipe González, che fu “amico intimo” dell’ex presidente venezuelano Carlos Andrés Pérez, promotore delle politiche neoliberiste in Spagna e in America Latina.

Intervistato da una radio uruguaiana, l’analista James Petras ha risposto così alla domanda sulla decisione di Felipe González di assistere a Henrique Capriles:

“Felipe Gonzalez lavorava per Álvaro Uribe, l’assassino, narco-presidente della Colombia. Felipe González appoggiava i gruppi squadroni della morte in Centroamerica, quando fui in Spagna e Grecia, ebbi l’occasione di vedere con i miei occhi come i partiti di destra del Salvador e del Guatemala ricevevano l’appoggio di Felipe González. Quindi, il fatto che stia con Capriles non mi sorprende perché Felipe González non è venduto, ma affittato. Qualsiasi governatore o dirigente della destra può controllarlo con una tariffa. Servono per lo meno 300 mila dollari per ricevere i “consigli” di Felipe González. Non è semplicemente un reazionario, ma uno dei più corrotti e immorali, in tutta la storia della socialdemocrazia europea”.

Fonte:
http://www.larepublica.es/2014/01/la-cia-apadrino-al-socialista-felipe-gonzalez-en-el-psoe-y-es-ahora-asesor-de-capriles/

 

Sì, il Venezuela è una minaccia per la sicurezza

Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: Carlos Alberto Montaner firma questo articolo per il Miami Herald – 16 marzo 2015 – in cui ci dimostra come gli specchi, più che fornire appigli per scalare la parete della menzogna, la riflettono.

Venezuela is indeed a risk to the security of the United States, not because it violated the democrats’ human rights — that was the excuse — but because of three activities that are codified in the doctrinary definition that indicates where the danger to U.S. society begins or intensifies.

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CARACAS: Un sostenitore del governo con un poster che mostra una fotografia deturpata del presidente americano Barack Obama nel corso di una manifestazione davanti palazzo presidenziale di Miraflores a Caracas Domenica. Fernando Llano – AP

 

Il presidente Obama ha firmato la scorsa settimana un ordine esecutivo che proclama il regime in Venezuela un pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti. Perché? Perché questi ha violato i diritti umani dell’opposizione democratica nel paese. In seguito, Obama ha imposto sanzioni contro numerosi ufficiali militari e funzionari di governo.

Strana mossa, fatta poche settimane dopo aver iniziato ad abolire le sanzioni contro la dittatura cubana, la quale, per l’ultima metà del secolo o anche di più, ha maltrattato i dissidenti con la stessa (o maggiore) brutalità che è stata mostrata dal governo di Nicolás Maduro in Venezuela.

A margine, c’è una questione di gerarchie. Cuba è la nonna. Il Venezuela si comporta come se sia al comando del consiglieri cubani che guidano il paese. Queste sono le competenze che Cuba vende al Venezuela: servizi segreti, controllo sociale e pugno duro nella “governabilità”.

Naturalmente, Fidel e Raúl Castro hanno immediatamente reso pubblica un’appassionata difesa di Maduro. I fratelli Castro sanno perfettamente che i 13 milioni di Dollari annuali in sussidi, aiuti e affari commerciali forniti dalla loro grande colonia politica valgono di più delle recenti dimostrazioni di affetto e promesse ricevute dagli stati Uniti.

“Il Venezuela non è solo”, ha dichiarato una nota ufficiale cubana, suggerendo che se sì arriverà ad un conflitto armato, i soldati della patria cubana non rimarranno a guardare.

Certo, sono solo parole, atteggiamenti per i balconi. I Castro sanno che gli Stati Uniti non sono minimamente interessati a passare alla violenza per liquidare la “rivoluzione” bolivariana. Nessuno invaderà il Venezuela.

Ciò che è generalmente ignorato è il perché Obama abbia preso questa contraddittoria decisione che aiuta solo a dare a Maduro un pretesto per incrementare il sentimento nazionalista, la repressione e mescolare il nido del vespaio sudamericano.

Eppure, ci sono buone ragioni dietro questa iniziativa. Il Venezuela è davvero un rischio per la sicurezza degli Stati uniti, non perché ha violato i diritti umani – questa era la scusa – ma a causa di tre attività che sono codificate nella definizione dottrinale che indicano dove il pericolo per la società nordamericana inizia o si intensifica.

Chiunque voglia conoscere la visione che prevale a Washington sulla questione dovrebbe leggere il libro Reconceptualizing Security in the Americas in the 21st Century, con particolare attenzione al capitolo intitolato Venezuela: tendenze nel crimine organizzato, scritto dall’analista Joseph M. Humire.

Il movimento fondato da Hugo Chávez ed ereditato da Maduro ha oltrepassato tre linee di confine:

  • Primo, la complicità venezuelana coi terroristi islamici in Iran. Il governatore dello stato di Aragua, Tareck El Aissami, di origini arabe ed ex ministro dell’Interno, ha detto di avere forti relazioni con il governo iraniano. Questi ha usato la sua posizione per creare una rete di relazioni con i terroristi in Medio Oriente, finanziati dal traffico di droga.
  • Il secondo limite oltrepassato a Caracas è, precisamente, relativo al traffico di droga. Ci sono generali venezuelani che sono coinvolti fin sopra i capelli in questo torbido mercato. Su 700 tonnellate di cocaina prodotte annualmente nel mondo, 300 vanno attraverso il Venezuela fino in Europa passando per l’Africa, o arrivano negli Stati Uniti tramite l’America Centrale. Il presidente del Parlamento, Diosdado Cabello, è stato accusato di essere il capo del principale cartello.
  • Terzo, il diffuso riciclaggio di soldi sporchi. Petróleos de Venezuela, la compagnia petrolifera statale meglio conosciuta con l’acronimo PDVSA, è dove avvengono la maggior parte delle transizioni sospette, incluse le emissioni di obbligazioni. Più che un’attività, la PDVSA è il nascondiglio di Ali Babà, ma con più di 40 ladroni. Quei soldi servono per corrompere politici, comprare consenso e pagare i criminali per i loro servigi.

La Casa Bianca sa tutto questo nel dettaglio.

E’ stata istruita dai suoi diplomatici, dai servizi segreti e dai disertori. Walid Makled García, venezuelano a capo del traffico di droga, paragonabile a Pablo Escobar al suo apice, fu intensamente interrogato dagli agenti della DEA prima che il suo carceriere colombiano lo deportò in Venezuela.

“Il Turco”, come era chiamato, cantava La Traviata, spifferò tutto. L’ultimo membro del coro è Leamsy Salazar, braccio destro di Cabello e Chávez, il quale chiese asilo politico negli Stati Uniti e confermò tutto questo. Contribuì inoltre con nuove informazioni. Potrebbe non essere stato detto abbastanza che “il Venezuela non è un pericolo, ma una seccatura”.

A dire il vero, il Venezuela è un pericolo per la sicurezza degli Stati Uniti e per tutto l’emisfero. L’errore di Obama non fu di affrontare i suoi nemici e chiamare le cose con il proprio nome, ma di scegliere un’accusa indiretta, formulata malamente, così che molte persone non hanno potuto capirla. Il presidente voleva soddisfare tutti, ma è riuscito a fare esattamente il contrario. Un peccato.

Articolo originale:
http://www.miamiherald.com/opinion/op-ed/article14674460.html

Dopo Cristina, Evo e Maduro è la volta di Dilma

Traduzione di Raffaele Piras.

Importanti riflessioni sulle proteste di questi giorni in Brasile contro la presidente Dilma Rousseff .

In Brasile c’è una rabbia generalizzata contro il PT, che è piuttosto una rabbia indotta dai mezzi di comunicazione, e non si tratta tanto di odio nei confronti del Partito de Trabajadores quanto di odio nei confronti di quaranta milioni di poveri che sono stati inclusi e che occupano ora gli spazi che prima erano riservati alle classi benestanti

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Domenica scorsa, circa 1,7 milioni di persone hanno partecipato a diverse manifestazioni convocate dall’opposizione in ventisei capitali provinciali del Brasile e nella capitale federale Brasilia chiedendola destituzione della presidente Dilma Roussef. La moltitudine la responsabilizza della corruzione di Petrobras , la impresa petrolifera statale e privata, ma dietro tutto questo c’è la mano nera esperta in rivoluzioni che ora sta operando acutamente in Brasile.

Recentemente la Suprema Corte de Brasil autorizzò l’apertura delle investigazioni su cinquantuno politici, tra questi due governatori e trentaquattro legislatori, incluso il presidente del Senado, Renan Calheiros e quello della Cámara Baja, Eduardo Cunha. Apparentemente tutti erano coinvolti nella rete di corruzione di Petrobras che ha dirottato dall’impresa, tra il2004 e il 2012, circa 3700 milioni di dollari attraverso il riciclaggio di denaro e sovrafatturazione in lavori e contratti. Il supposto autore di questa rete, ex direttore dei servizi di Petrobras, Renato Duque è già stato arrestato e sta collaborando con gli investigatori.

Certamente le proteste in termini generali mostrano la solidità della democrazia in Brasile, recuperata trenta anni fa dopo ventuno anni di dittatura militare (1964-1985), e a riconoscerlo è stata la stessa Rousseff. Tuttavia i cortei di domenica scorsa non sono stati espressione di una reazione spontanea del popolo che espressa la propria indignazione, ma sono stati preparati ed organizzati dalla destra nazionale sconfitta alle elezioni presidenziali nel 2002, 2006, 2010 e 2014. Le sue parole d’ordine durante questi dodici anni di governo del Partito de Trabajadores (PT) continuano ad essere sempre le stesse : Fuera Lula ! Fuera Dilma ! Fuera PT !

Il teologo e filosofo brasiliano Leonardo Boff, nelle sue analisi delle recenti proteste, ha affermato che “in Brasile c’è una rabbia generalizzata contro il PT, che è piuttosto una rabbia indotta dai mezzi di comunicazione, e non si tratta tanto di odio nei confronti del Partito de Trabajadores quanto di odio nei confronti di quaranta milioni di poveri che sono stati inclusi e che occupano ora gli spazi che prima erano riservati alle classi benestanti”. Come ha detto lo scrittore e giornalista argentino José Steinsleger, invocando il film del famoso cineasta brasiliano Glauber Rocha”El León de 7 Cabezas” (1970), le sette teste dell’opposizione in Brasile rappresentano i banchieri, i latifondisti, gli imprenditori, i tecnocrati, i mezzi di comunicazione, i narcos e le sette religiose impegnati a rovesciare “il processo di cambiamento e giustizia sociale più profondo e prolungato che ha vissuto il Brasile dai tempi di Getulio Vargas e Joao Goulart (1951-1964)”.

La destra brasiliana non ha mai potuto accettare questi dodici anni del governo PT e la perdita del controllo del paese, della società e della nazione. Come non ha mai voluto riconoscere i successi dell’ultima decade dei governi di Lula da Silva e di Dilma Rousseff. La povertà relativa è scesa dal 36.4 % del 2002 al 18.6 % del 2014 e la povertà estrema dal 15 al5.29 %. Milioni di persone sono state beneficiate con abitazioni popolari,sussidi, accesso alla sanità e all’educazione; il salario minimo è stato aumentato e la disuguaglianza è diminuita.

La destra brasiliana non ha mai potuto accettare questi successi nonostante i governi di Lula e Dilma non abbiano osato finirla con il neoliberalismo, anche se sono riusciti a modificarlo leggermente ed a creare condizioni per la crescita economica con una redistribuzione della ricchezza più equa. Per questo continua ad aumentare le pressioni sul governo del PT tentando di screditarlo. La classe media partecipa a questo gioco, ed è influenzata dai mezzi di comunicazione guidati dall’oligarchia.

I mezzi di comunicazione brasiliani, in mano a quattordici gruppi familiari che possiedono il 90% del mercato della comunicazione, hanno assunto il ruolo di principale partito d’opposizione. Lo ha riconosciuto nel2010 la direttrice del quotidiano conservatore nazionale Folha de Sao Paulo,Judith Brito, che ha segnalato che “dato che l’opposizione si trova profondamente debilitata, sono i mezzi di comunicazione che di fatto portano avanti il lavoro. A volte con molta immaginazione”.

Ciò che dice Brito significa, nel mondo del giornalismo,distorcere la realtà accomodandola agli interessi della elite e convertire il falso nel vero, e qualsiasi errore o difficoltà del governo in crimine o inattitudine ad assecondare il malcontento popolare. A tali sedicenti difensori della democrazia non importa rovesciare, utilizzando tutti i mezzi a disposizione, un governo democraticamente eletto dalla maggioranza della popolazione.

Le manifestazioni del 15 marzo hanno confermato questi piani dell’opposizione, che nemmeno è stata capace di elaborare e presentare un piano coerente per indirizzare l’economia nazionale in un momento in cui attraversa una fase di forti difficoltà, ne tantomeno è riuscita ad individuare i mezzi con i quali contrastare la corruzione. Il principale candidato oppositore per il Partido Social Democracia Brasilena (PSDB), Aecio Neves, che subì lasconfitta nelle elezioni presidenziali del 2014, ha arringato i manifestanti per rovesciare la presidente Rousseff, assestare i programmi sociali e non permettere che il Brasile diventi una nuova Venezuela, secondo quanto ha detto.In totale circa venti organizzazioni, movimenti e partiti sono scesi in piazza per esigere la destituzione dell’attuale governo, e tra loro i movimenti Vem Para Rua (Ven a la Calle), conosciuto dal 2013 come uno degli organizzatori delle proteste contro la Coppa del Mondo, Revoltados Online, che ha cominciatola sua militanza undici anni fa lottando contro la pedofilia e finendo con l’appoggiare l’idea di un governo militare, e Movimiento Brasil Livre che riunisce molti universitari.

Nemmeno sono mancati i Legalistas, e la loro idea di un ritorno dei militari al potere per “calmare l’economia e terminare la corruzione”, con le parole d’ordine “SOS Fuerzas Armadas”. Sembra proprio che questi settori abbiano dimenticato il golpe del 1964 e la conseguente repressione degli oppositori, che continuò fino al 1985.

Tutti questi sostenitori del colpo di Stato dovrebbero rivedersi i documenti del dipartimento di Stato nordamericano del 1967-1977 che il vicepresidente Joe Biden ha consegnato a Dilma Rousseff durante la sua visita per la Coppa del Mondo. In questi dispacci si menziona il fatto che i brasiliani hanno sviluppato un nuovo “sistema di tortura basato sulla coazione psicofisica per intimidire e terrorizzare i sospettosi”. Quello che non è menzionato sui documenti statunitensi è che l’inventore di questo sistema è stato il tristemente famoso torturatore ed ex agente dell’FBI Dan Mitrione, il padre della “Silla de Dragón” che dal 1960 al 1967 andò in Brasile a perfezionare la sua diabolica arte e che poi operò in Uruguay dove fu giustiziato dai tupamaros. In questi stessi documenti l’ambasciatore statunitense in Brasile, William Rountree, raccomandava cinicamente al dipartimento di stato di “prendere in considerazione la sensibilità e l’orgoglio nazionale dei brasiliani ed evitare tentativi di pressione sul governo rispetto alla tortura, per non danneggiare le relazioni”. Dimenticare tutto questo sarebbe un crimine.

Tuttavia, l’opposizione senza poter contenere la sua rabbia di classe non prende in considerazione le conseguenze di un colpo di Stato. Simultaneamente, i suoi colleghi delle elites globalizzate internazionali e in particolare gli “illuminati” globalizzatori nordamericani vedono la possibilità di finirla con il Brasile come paese sovrano, allontanarlo da UNASUR e CELAC e debilitare il gruppo BRICS che rappresenta un pericolo per l’egemonia degli USA e del sistema economico mondiale creato dal Fondo MonetarioInternazionale, la Banca Mondiale e la Federal Reserve americana.

Nemmeno dobbiamo dimenticarci le rivelazioni di Snowden rispetto al Brasile: “Whats’s Behind Hidden CIA Base in Brazil”. In questo documento l’ex tecnico NSA parla dell’interesse geopolitico del nordamerica verso il Brasile e specialmente verso i suoi giacimenti di petrolio recentemente scoperti in mare, che arrivano a contenere intorno ai 100.000milioni di barili. Il problema è stato che tanto il governo Lula quanto quelloDilma ha preferito firmare contratti con la corporazione cinese SINOPEC invece che Chevron. A maggio del 2013 il vicepresidente USA Joe Biden, durante una visita in Brasile, cercò di persuadere invano la presidente Rousseff a lasciar entrare le imprese energetiche statunitensi nel mercato brasiliano.Curiosamente, due mesi dopo la sua fallita visita, cominciarono ondate di proteste sempre più intense contro il governo del Partido de Trabajadores. L’opposizione ha già annunciato il prossimo corteo per il 12 aprile:”No nos dispersemos!”.

Secondo il ministro di Giustizia brasiliano José Eduardo Cardoso, “la richiesta di destituzione contro Dilma puzza di golpe”. La stampa internazionale sta divulgando ripetutamente notizie sul fallimento economico del governo Rousseff, la corruzione, l’isolamento della presidente e il malcontento popolare, occultando i successi del suo governo durante questa decade. Lentamente si stanno creando condizioni per una “revolución de colores” e per far tornare il Brasile tra le braccia degli Stati Uniti.  Fino ad ora non si sa della partecipazione diWashington nell’organizzazione delle manifestazioni. Tuttavia, circa 400 agenti di differenti servizi d’intelligenza statunitense sarebbero arrivati recentemente alle ambasciate nordamericane in Brasile, Bolivia, Venezuela, Ecuador,Argentina e Cuba, secondo quanto denunciato dal periodista venezuelano José Vicente Rangel.

Si sta cucinando qualcosa in questo paese. Nel caso di Dilma Rousseff il suo destino verrà deciso il prossimo settembre durante la sua visita a Washington. Mentre sulla possibile reazione del popolo brasiliano alla decisione dell’opposizione di destituire la presidente è difficile esprimersi esattamente, per il momento. Il popolo, nell’espressione del poeta inglese Alexander Pope, “è una fiera di multiple teste” ed anche loro stanno organizzando cortei ed azioni di appoggio.

Fonte :
http://mundo.sputniknews.com/firmas/20150319/1035488417.html#ixzz3Upjgkal2

 

VENEZUELA MINACCIA(TA)

Di Luis Britto García.
Traduzione di Davide Angelilli

19-3-2015 Venezuela Minaccia(ta)

  1. Come può il Venezuela essere considerata una “minaccia straordinaria e inusuale alla sicurezza nazionale e alla politica estera statunitense? Siamo un paese di media estensione, con modesto sviluppo industriale, armamento convenzionale, esercito con moderato numero di effettivi e che, da quando liberammo quelle che oggi sono cinque repubbliche a inizio del secolo XIX, mai ha aggredito nessun popolo.
  2. Venezuela minaccia con l’esempio. L’impero vive del saccheggio delle risorse naturali delle industrie basiche delle nazioni periferiche. Venezuela è l’eloquente dimostrazione di che un paese può utilizzare i due elementi a beneficio del suo popolo per vie democratiche e costituzionali.
  3. L’impero ricorrerà a otto vie complementari per annichilare il Venezuela. La prima, l’esacerbazione della guerra economica con un bloqueo progressivo per forzare un risultato avverso al bolivarismo nelle elezioni per i Potere Legislativo. La seconda, utilizzare questa maggioranza desiderata per un golpe di Stato parlamentario in stile Paraguay. La terza, l’intensificazione del terrorismo dei paramilitari e mercenari per simulare uno scenario da “guerra civile”. La quarta, per coronare questo montaggio proverà ad assassinare il presidente o un attentato di falsa bandiera. La quinta, un intervento militare di un altro paese della regione. La sesta, un’aggressione diretta con truppe e macchine imperiali, dalle basi che già stanno in America Latina e il Caribe. La settima, la campagna mediatica per nascondere e deformare la natura delle precedenti aggressioni, al paese e al mondo. L’ottava, l’aggressione diplomatica per tirare fuori dagli organi internazionali verdetti di condanna al paese.
  4. Come salvarci? Combattere la guerra economica che demoralizza a la cittadinanza, con l’assunzione statale del controllo delle importazioni basiche, con implacabili sanzioni contro imprese corrotte e complici in frodi cambiarie, speculatrici, e di contrabbando d’estrazione, e con la promulgazione di leggi per regolare delitti finanziari, tradimento alla patria e infrazioni di sicurezza. Vincere le elezioni parlamentari con reputazione immacolata, non coinvolti in delitti né corruzioni.
  5. Così come terziarizza la sua economia, gli Stati Uniti terziarizzano i suoi eserciti. Prima l’integrano con mercenari reclutati trai sui ispani, afroamericani, gli emarginati; dopo, fonda finanzia e equipaggia organizzazioni terroriste composte da sicari e terroristi sotto salario come Al Qaeda e El Daesh. Probabilmente, l’aggressione al Venezuela si terziarizzerà attraverso di un terzo paese o delle loro forze paramilitari, che hanno infiltrato profondamente la nostra società. Molti degli integranti furono arrestati attuando durante le ondate terroriste del 2014. È opportuna un’azione congiunta tra organismi di sicurezza e movimenti sociali per localizzare e neutralizzare questi invasori silenziosi prima che tornino a mobilitarsi. In ogni caso, non è sicuro il trionfo degli aggressori.
  6. Potenziamo le misure di sicurezza per dirigenti e figure chiavi, così come per installazioni e persone statunitensi. Convinciamo a paesi vicini, che da mezzo secolo combattono infruttuosamente un’insurrezione interna, che sarebbe impossibile vincere contro una sollevazione interna e un’altra esterna.
  7. Nelle aggressioni imperiali, l’esercito convenzionale del paese vittima è spesso distrutto dopo poche settimane. Quello che decide il conflitto è la resistenza popolare. Il popolo venezuelano non può aspettare che cadano bombe per preparare la difesa. Organizzazioni popolari, movimenti sociali, sindacati, partiti, comunas, cooperative, devono già da ora coordinare con il governo e l’esercito regolare risposte, strategie di sopravvivenza e per preparare il popolo alla guerra.
  8. Abbiamo costruito un sistema di mezzi di servizio pubblico, comunitari, alternativi che ci permettono maneggiare la battaglia comunicativa interna. Bisogna riformare e dinamizzare senza esitazioni questo sistema per portarlo alla sua massima efficacia. Dobbiamo utilizzare i satelliti che disponiamo per portare questo messaggio al mondo.
  9. Venezuela ha fatto quasi più di qualunque altro paese per lo sviluppo di una diplomazia multipolare. Incorporata al Mercosur, motore di organizzazioni integrazioniste latinoamericane come l’ALBA, la Celac e Unasur che escludono a Stati Uniti e Canada. Venezuela ha consolidato relazioni con Asia e Africa e con i paesi Non Allineati. Queste reti diplomatiche hanno un peso negli organismi internazionali e devono essere usate per propiziare nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU il veto di Russia e Cina, impenetrabile scudo contro l’interventi.
    Cuba ce l’ha fatta. Noi anche.

 

 

Fonte:
http://luisbrittogarcia.blogspot.com.es/2015/03/venezuela-amenazada.html

 

Il Venezuela lancia due settimane di esercitazioni militari, con armi cinesi e russe: “U.S. pericolo imminente”.

Per il mercoledì delle Narrazioni tossiche: articolo di John Hall, apparso sul Daily Mail online lunedì 16 marzo, in cui si dipinge un Venezuela che si appresta ad un attacco militare nei confronti degli Stati Uniti, con tanto di addestramenti militari e rafforzamento dei poteri centrali.

 

Venezuela has declared the United States to be an ‘imminent danger’ at the launch of two weeks of Cold War-style military drills and parades featuring weapons made in Russia and China

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Soldati venezuelani nell’esercitazione militare ordinata da Nicolas Maduro lo scorso sabato a Caracas.
Il Venezuela ha dichiarato essere gli Stati Uniti un “pericolo imminente”  al lancio di due settimane di esercitazioni e parate militari, in stile Guerra Fredda, equipaggiati con armi fabbricate in Russia e Cina.

 

Al grido di “patria socialista” e marchiando gli Usa come “imperialisti”, sabato pomeriggio 80.000 soldati e 20.000 civili sono scesi sulle strade di Caracas per una manifestazione anti-statunitense.

 

Il parlamento venezuelano ha seguito le proteste di ieri, approvando una legge che consegna all’assediato presidente Nicolas Maduro il potere di legiferare tramite decreti per nove mesi, in faccia a quella che era descritta come la “minaccia statunitense” per le nazioni sudamericane.

 

Il varo di due settimane di esercitazioni militari arriva appena qualche giorno dopo che Barack Obama ha dichiarato il Venezuela una minaccia per la sicurezza nazionale, limitati i viaggi nel paese e congelato i beni di alcuni cittadini di una nazione alle prese con una diffusa scarsezza di risorse.

 

Maduro ha richiesto l’espansione dei poteri in risposta alle sanzioni statunitensi ai funzionari venezuelani accusati di violazione dei diritti umani. Critici del governo hanno chiamato la mossa una presa di potere.

 

Gli Stati Uniti stanno individuando i funzionari di alto rango dell’apparato di sicurezza venezuelano, responsabili di un giro di vite nelle proteste anti governative dello scorso anno e di  perseguire accuse contro gli oppositori di governo. Questi saranno privati del permesso di entrare negli Stati Uniti, e i loro beni congelati.

 

I leader dei governi di sinistra del Sud America si sono espressi in supporto del Venezuela, mentre Washington ha respinto le affermazioni di Maduro, secondo cui gli Usa stanno cercando di danneggiare il suo governo sollecitandolo a concentrarsi sui problemi interni del paese, come la scarsità di cibo e l’inflazione galoppante.

 

Le due settimane di esercitazioni militari sono largamente riconosciute come il tentativo di Maduro di sollevare il sentimento patriottico nella speranza di migliorare il decadente consenso nei suoi confronti, in vista delle cruciali elezioni di fine anno.

 

Parlando al Financial Times, il professore di relazioni internazionali all’Università Centrale del Venezuela Carlos Romero ha detto che le dichiarazioni di Washington sulla nazione come minaccia per la sicurezza nazionale “hanno ampiamente giovato il governo venezuelano”.

 

Romero ha aggiunto che il Venezuela ha usato l’annuncio per suonare la carica in sostegno del governo, tramite una reazione dai modi “esagerati, quasi drammatici”.

 

Maduro ha precedentemente affermato che gli Stati Uniti, i quali rimangono i più importanti acquirenti del petrolio venezuelano, hanno appoggiato il tentativo di rimuoverlo dal potere.

 

Nel 2002 un colpo di stato, che ebbe il tacito supporto degli Stati Uniti, spodestò brevemente Hugo Chávez, carismatico mentore di Maduro, nonché suo predecessore.

 

Articolo originale:

 

La comunità cristiana americana contro la Casa Bianca

Traduzione di Lorenzo Mastropasqua.

5 teologi e attivisti dei diritti umani scrivono a Obama riguardo la questione venezuelana.

Gli ambienti religiosi spesso sono fondamentali nel determinare la politica di un paese, in questo testo si coagulano le opinioni di 5 importanti personalità del mondo religioso americano (sia latino che statunitense) che si scagliano apertamente contro l’ordine esecutivo della Casa Bianca di classificare il Venezuela come minaccia per la sicurezza nazionale.

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1° foto: Miguel D’escoto prete cattolico(Maryknoll) ex cancelliere del Nicaragua, ex presidente dell’Assemblea generale dell’Onu. 2°foto: Ramsey clark avvocato e ex procuratore generale degli Stati Uniti. 3° foto: Pedro Casàldaliga Vescovo di Altava(Brasile) poeta e teologo della liberazione 4° foto: Leonardo Boff(Brasile) prete francescano insegnante filosofo e teologo della liberazione 5° foto: Thomas Gumbleton Vescovo cattolico di Detroit e attivista dei diritti umani.

Caro presidente Obama,

ti salutiamo come un fratello, discepolo di Gesù, con tutto l’amore e il rispetto che ti dobbiamo, come del resto in conformità ai nostri voti, dobbiamo a tutti, compresi quelli che con noi si comportano da nemici.

Cosa ti è successo, caro fratello? Cosa ne è stato dell’intrepido e luminoso Obama che, nel 2008 attraverso la sua campagna presidenziale, ha parlato del cambiamento, di un VERO cambiamento che contemplasse l’adesione del popolo? Tu hai ridato la speranza a milioni di persone, non solo negli Stati uniti ma ovunque nel mondo, a noi compresi. Ci ricordiamo dei tanti sondaggi fatti a persone afroamericane, molte delle quali non erano favorevoli alla tua elezione, non perché non ti amassero o perché non erano d’accordo con i valori che difendevi. Loro ti amavano troppo. Temevano la tua morte per mano del sistema industrial-militare e finanziario, che si sarebbe sicuramente attivato se tu avessi avuto il coraggio di affrontarlo con la tua visione e la tua promessa di riportare gli Stati uniti nella comunità «umana».

Sicuramente saprai che gli Stati uniti da sono sempre il paese più odiato nella storia del mondo, per la loro arroganza e la loro ossessione nazionalista e diabolica, di dominazione planetaria. Contrariamente ad alcuni tuoi predecessori come Ronald Reagan e George W. Bush, che non si sono certo distinti per la loro intelligenza, tu sei senza dubbio una persona dotata di spiccate facoltà intellettive. Di più, hai manifestato un attaccamento a dei valori morali ed etici profondamente ancorati nella tua coscienza ed un’adesione ai valori di Gesù, che  di fatto sono i valori di tutti i grandi leader spirituali di ogni religione del mondo. Quello che ci spinge, caro fratello, a scriverti questa lettera, è il vergognoso decreto esecutivo di «urgenza nazionale» che hai adottato il 9 marzo 2015 dichiarando che «la situazione in Venezuela rappresenta una minaccia inabituale e straordinaria per la sicurezza nazionale e la politica estera degli U.S.A».

Visto come ti sei comportato, non possiamo non pensare alla decisione presa da Reagan, ormai  trent’anni fa, di appoggiare le Contras nella guerra contro il Nicaragua Sandinista negli anni ’80. Questa decisione, che consideriamo vergognosa ed estremamente ipocrita, è anche una violazione flagrante del diritto internazionale: trattandosi di una minaccia dell’uso della forza contro il Venezuela e allo stesso tempo un’ incitamento ai tuoi scagnozzi venezuelani di continuare gli sforzi per destabilizzare il paese.

Dovresti sapere, caro fratello, che in America Latina esiste un sentimento crescente d’unità e solidarietà che attraversa tutta la regione. Nello stesso tempo, rigettiamo il tuo arrogante ordine esecutivo interventista, e ti auguriamo di voltarti verso Gesù, la fratellanza e la solidarietà; abbandonando una volta per tutte i demoni della cupidigia, della guerra e della dominazione planetaria.

Continueremo a pregare per te e per i tuoi cari.
Il tuo paese è il nostro mondo.

  • Miguel d’Escoto Brockmann, Prete Maryknoll, Nicaragua
  • Pedro Casaldaliga, Vescovo, Brasile
  • Ramsey Clark, Stati uniti
  • Leonardo Boff, Brasile
  • Thomas Gumbleton, Vescovo, Stati uniti

Fonte: https://venezuelainfos.wordpress.com/2015/03/15/6924/

Wallmapuwen, l’unico strumento politico di tutti gli abitanti mapuche e cileni.

Pubblichiamo l’intervista al Presidente del Wallmapuwen, strumento politico delle popolazioni indigene del territorio Mapuche.

Traduzione di Raffaele Piras.

ci abbeveriamo delle lotte di altri popoli del mondo che sono referenti necessari delle resistenze per l’autonomia, come i Paesi Baschi, la Catalogna, la Palestina, il Kurdistan ed il popolo del Sahara Occidentale

 

WallmapuwenCon i suoi 30 anni, Ignacio Astete Nahuelcoy presiede il partito politico chiamato, insieme ad altre forze, a conquistare lo statuto autonomo di tutti gli abitanti del territorio mapuche nel paese cileno. E’ nato nel comune di Saavedra nella regione della Araucanía, territorio Lafquenche, e si è laureato in Contabilità e Finanza dell’Università di La Habana, Cuba. Racconta la sua dirigenza studentesca nell’Università di LaFrontera de Chile e ci spiega che “Wallmapuwen (‘ciudadano del país mapuche’) è un movimento autonomista che è situato nel territorio del Wallmapu (‘paìs mapuche’), il quale si trova sotto il dominio dello Stato Cileno all’incirca dal 1885, ovvero dalla “Pacificaciòn dela Araucanía”. Questa, tuttavia, altro non fu che un’occupazione ed usurpazione di un territorio che fin a quel momento era di sovranità del popolo mapuche”, ed aggiunge che “Wallmapuwen è nata una decade fa (2005) e porta avanti la missione di fare esercizio del diritto all’autodeterminazione e del diritto all’autonomia che ci spetta come popolo. L’obiettivo è quello di ottenere l’amministrazione mapuche del suo luogo, con tutte le caratteristiche che possiede il territorio oggi. Il suo funzionamento interno è semplice, effettivo e democratico. Si basa su un consiglio direttivo orizzontale eletto dall’Asamblea General, ed allo stesso modo vengono risolte le sue politiche principali. Comanda l’assemblea. Esistono comitati comunali decentralizzati con piena capacità decisionale”.

Partite da un’analisi concreta della situazione reale del territorio?

Infatti. Per questo motivo il nostro movimento tiene anche in considerazione il fatto che il territorio è occupato non solo dai mapuche, ma anche da altre popolazioni, come quella cilena. Pensiamo dunque che i diritti collettivi di entrambi i popoli debbano stare a parità di condizioni.

Somos una fuerza anticapitalista”

Qual è la differenza dello strumento Wallmapuwen rispetto alle altre iniziative politiche esistenti nel territorio mapuche che resiste?
“Non esiste altro movimento che partecipi alle elezioni e che sia situato nel territorio mapuche. Siamo l’unica organizzazione politica che reclama dal campo elettorale un territorio autonomo di amministrazione propria. Altra differenza è che noi rivendichiamo un territorio per tutti quelli che lo vivono, tanto per i mapuche quanto per i cileni. Per il resto dei partiti del sistema politico, i mapuche sono solo il fattore indigeno. Wallmapuwen è uno strumento che si allontana dai ghetti politici e che persegue l’obiettivo secondo cui ambo i popoli, mapuche e cileno, che hanno vissuto separati dal confronto continuo, possano vedersi come abitanti di uno stesso luogo, capaci di convivere rispettosamente”.

Riguardo le versioni politiche provenienti dal puro nazionalismo che, per ragioni storiche provenienti dall’oppressione dello Stato , si inalbera come caposaldo esclusivo per la liberazione ?

“L’identità nazionale esiste, certamente. Tuttavia, la nostra visione di nazione è democratica. Il nostro orizzonte è la radicalizzazione della democrazia. Non possiamo ne tantomeno vogliamo negare il diverso. Al contrario. Non parliamo del non-mapuche, parliamo del cileno. Non partiamo dall’esclusione. Nel nostro territorio ci sono mapuche e cileni in tutti gli ambiti della vita, e con loro condividiamo la vita stessa. Da questa realtà ineludibile, noi pretendiamo il principio dell’autonomia. Evidentemente ci sono conflitti con determinate persone e soggetti cileni, però l’immensa maggioranza della popolazione non si trova all’interno di tale conflitto.

Però l’accento è posto sul popolo Mapuche ovviamente…

Siamo stati oggetti di razzismo, criminalizzazione ed impoverimento dallo Stato cileno. Siamo i più castigati tra i castigati nel nostro stesso territorio. Siamo sottomessi economicamente, culturalmente, politicamente e militarmente. È in questo contesto basico che riconosciamo la coabitazione e l’inclusione dei popoli, sotto gli stessi diritti. E siamo rispettosi dei diritti umani e dei diritti cittadini di tutti quanti. Per questo non vogliamo fare proposte che schiaccino il cileno che vive con noi. Sarebbe un controsenso. Soprattutto, perché la maggioranza dei cileni che vive il territorio soffre i nostri stessi problemi: povertà, insalubrità e discriminazione”.

Cioè voi sostenete una prospettiva analitica che rivela le forme di dominazione globale e non solo del popolo Mapuche…

“Non siamo estranei al movimento del capitalismo mondiale ed ai suoi effetti nefasti in Cile. Non siamo estranei ai colpi sistematici inflitti al popolo lavoratore in generale. Il Wallmapu è vittima del capitalismo promotore di miseria, della dispersione del nostro popolo e della morte. Siamo contrari all’assoggettamento all’industria forestale ed all’insieme di progetti idroelettrici e termoelettrici che semplicemente deteriorano ancora di più la nostra pessima condizione di vita di mapuche e di cileno. Siamo parte delle relazioni sociali imposte dal capitalismo. Anche per questo siamo una forza anticapitalista”.

Lo scontro culturale

Qual è il programma Wallmapuwen ?

“Trasformare il paesaggio del Wallmapu dalla base. Attualmente siamo impegnati ad affrontare le elezioni  municipali di fine 2016 come partito politico legalizzato, senza dover stipulare alleanze che potrebbero obbligarci ad attenuare aspetti fondamentali del nostro progetto. L’idea di vincere i comuni è relazionata con la promozione dei diritti da tutti gli spazi possibili. Già abbiamo raggiunto esperienza, per esempio, nel comune di Galvarino della provincia di Cautìn, nona regione, che consacriamo come primo municipio bilingue del Wallmapu e del Cile (impartizione formativa della lingua mapudungun). Abbiamo realizzato campagne con l’obiettivo che l’intendente dichiari tutta la regione dell’Aracaunìa come bilingue. Il contesto generale delle nostre lotte è che lo Stato cileno capisca una volta per tutte che non siamo un anello economico in più della sua strategia ed egemonia. È irrisorio il fatto che il nucleo centrale del Wallmapu sia uno dei territori più impoveriti del Cile e allo stesso tempo sia inchiodato dall’industria forestale, una delle forme di saccheggio che riporta al P.I.L. il più alto numero di dividendi, dopo l’estrazione mineraria. Questo deve finire”.

E politicamente ?

Il Wallmapu deve convertirsi in un territorio di decisione. Attraverso un progetto costituente, lottiamo perché la Costituzione tenga conto della realtà plurinazionale e plurilinguistica del paese. Nel nostro strumento politico non abbiamo ricette né modelli, però sappiamo che l’insieme della popolazione del Wallmapu deve poter definire quale sarà la propria Carta Fondamentale che disciplini democraticamente e partecipatamente il territorio. Analogamente, crediamo che nel Wallmapu debba realizzarsi una riforma agraria generale che ci riconsegni tutti i territori usurpati, tanto quelli rubati durante l’invasione spagnola, quanto la terra delle comunità contadine che attualmente soffrono una situazione di emarginazione. Miriamo alla sovranità alimentare in modo che anche i piccoli produttori cileni siano beneficiati”.

Perché istituzionalizzare la lotta autonoma politica mediante la costituzione di un partito legale?

“Perché attraverso uno strumento politico pretendiamo potenziare le richieste sociali e d’autonomia. Il partito non può mai essere fine a se stesso. Il suo obiettivo è legato alla liberazione delle forze sociali per le rivendicazioni. Il Wallmapuwen s’imposta come un catalizzatore in più del movimento popolare territoriale. Da qui siamo aperti a possibile alleanze con tutte e tutti quelli che credono in un Wallmapu libero, autonomo e sovrano. Così è stato fino ad ora e così sarà in futuro”.

A quali successi per il territorio ha collaborato in modo sostanziale Wallmapuwen?

“Abbiamo collaborato affinché la commissione di decentralizzazione presidenziale del Cile preveda che il Wallmapu si trasformi in un territorio autonomo distinto dal resto del territorio cileno. Noi fummo parte di questa discussione, indipendentemente se questa diventi poi realtà o meno un domani. Allo stesso modo, siamo stati parte di un amplio movimento che cerca l’ufficializzazione della lingua mapuche, del mapundugon. Dobbiamo smontare l’apartheid e l’esclusione della cultura dell’identità attraverso l’insegnamento e la diffusione della nostra lingua. Questo è ciò che sta accadendo nel comune di Galvarino. Abbiamo poi realizzato il 20 febbraio del 2015, nel contesto del giorno internazionale della lingua materna, una marcia di due mila persone per la rivendicazione all’intendente regionale dell’ufficializzazione del mapudungu. Il nostro messaggio è diretto all’esecutivo così che ci faccia sapere il suo giudizio”.

La solidarietà internazionalista

E l’internazionalismo del Wallmapuwen?

“Miriamo sempre e ci abbeveriamo delle lotte di altri popoli del mondo che sono referenti necessari delle resistenze per l’autonomia, come i Paesi Baschi, la Catalogna, la Palestina, il Kurdistan ed il popolo del Sahara Occidentale. Le loro lotte ci ispirano perché sappiamo che noi non stiamo inventando la ruota. Di questi popoli facciamo nostro il meglio della loro resistenza. In particolare in materia di scontro per l’ufficializzazione della nostra lingua, con i Paesi Baschi abbiamo sempre avuto una vicinanza fraterna e solidale”.

Fonte : http://www.resumenlatinoamericano.org/2015/03/12/chile-wallmapuwen-el-unico-instrumento-politico-de-todos-los-habitantes-del-pais-mapuche-originarios-y-chilenos/

Venezuela: Barack Obama dichiara l’urgenza nazionale, Fidel Castro solidale con Nicolas Maduro

obamaTraduzione di Lorenzo Mastropasqua.

ANCORA SANZIONI CONTRO IL GOVERNO DI NICOLAS MADURO DA PARTE DI WASHINGTON.

Un ordine esecutivo della Casa Bianca dichiara “l’urgenza” per il “pericolo inabituale” che minaccia la sicurezza nazionale. Il presidente statunitense Barack Obama ha annunciato questo lunedi, che prenderà nuove misure contro il governo venezuelano per le “così dette” violazioni dei diritti dell’uomo e ha dichiarato l’urgenza nazionale a causa di rischi straordinari generati dalla situazione di questo paese che minaccerebbero la sicurezza degli Stati uniti.

Il Congresso degli Stati uniti aveva già approvato il 10 dicembre scorso delle sanzioni contro i funzionari venezuelani, e ratificate da Obama il 18 dicembre ma niente era stato fatto fino a questo lunedi giorno in cui la Casa Bianca ha diffuso i nomi delle persone colpite dalle sanzioni, tra le quali risultano 7 figure di spicco: Benavides Torres ex leader del Gnb, Gustavo Enrique González López, direttore del Servizio nazionale d’intelligence (Sebin) e presidente del Centro strategico per la sicurezza e la protezione della patria (Cesspa), Justo José Noguera Pietri, presidente della Corporazione venezuelana della Guyana (Cvg) e già comandante della Guardia nazionale (Gnb), Katherine Nayarith Haringhton Padron, procuratore a livello nazionale del 20esimo distretto venezuelano, Manuel Eduardo Pérez Urdaneta direttore della Polizia nazionale bolivariana, Manuel Gregorio Bernal Martínez a capo della 31esima brigata corazzata dell’esercito venezuelano ed ex direttore della Sebin e, infine, Miguel Alcides Vivas Landino, ispettore generale delle forze armate e già comandante della Redi. Il comunicato diffuso riporta: «la Casa Bianca è profondamente preoccupata dalle azioni del governo venezuelano tese a intimidire gli avversari politici» il documento si conclude con la richiesta di liberazioni di tutti i “prigionieri politici”.

Secondo gli Stati uniti, questi funzionari sarebbero implicati in faccende che violano i diritti umani, precisamente per aver fermato “il piano di uscita”(allusione alle dimissioni del presidente Maduro) durante le contestazioni putschiste svoltesi tra Febbraio e Maggio scorso nelle quali 43 persone sono state uccise, molte delle quali con un colpo d’arma da fuoco alla testa. In risposta a queste provocazioni si è costituito il “Comitato delle vittime delle guarimbas” per far conoscere al mondo la loro storia, occultata meschinamente dal resto dei media. Il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest ha dichiarato che “i funzionari dello Stato bolivariano che hanno violato i diritti dei cittadini venezuelani, non sono i benvenuti nel territorio, e che gli Stati uniti dispongono di strumenti per bloccare i lori assett e l’uso che fanno del sistema finanziario nordamericano”.

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bandierecubaIL GOVERNO CUBANO SOLIDALE
Nella giornata di ieri si è espresso anche il governo rivoluzionario della Repubblica di Cuba, dichiarando: l’atto che qualifica il Venezuela come “paese minaccia” è arbitrario e aggressivo. Questo documento simboleggia una rappresaglia alle misure che il governo bolivariano ha adottato per difendere la propria sovranità di fronte alle ingerenze del Congresso degli Stati uniti. Come potrebbe il Venezuela minacciare gli Stati uniti? Considerando che il Venezuela è a migliaia di chilometri di distanza, non dispone di armi strategiche, e non impiega né risorse né funzionari per cospirare contro l’ordine costituzionale statunitense, questa dichiarazione appare poco credibile e rivela i veri obiettivi di chi l’ha emessa. Una tale esternazione, in un anno di elezioni legislative in Venezuela riafferma, ancora una volta, il carattere offensivo della politica estera statunitense. La gravità di questo atto esecutivo ha messo in allerta i governi dell’America Latina e quelli dei Caraibi, che, nel gennaio 2014 durante il 2° summit della Celac a l’Avana, hanno dichiarato la regione “Zona di Pace” e condannato tutti gli atti che possono destabilizzare il continente, dal momento che hanno già accumulato abbastanza esperienze di “interventismo imperiale” nel corso della loro stroria. Il governo rivoluzionario della Repubblica di Cuba riafferma di nuovo il suo sostegno incondizionato, e quello del suo popolo, alla Repubblica bolivariana, al governo legittimo del presidente Nicolas Maduro Moros e all’eroico popolo fratello del venezuela. Nessuno ha il diritto di intervenire negli affari interni di uno Stato sovrano né di dichiararlo, senza ragione, minaccia per la sua sicurezza nazionale. Così come Cuba non è mai stata sola, anche il Venezuela non lo sarà.

fidel_hugoLETTERA DI FIDEL CASTRO
Anche Fidel Castro ha voluto ricordare ancora una volta il suo appoggio a Nicolas Maduro inviandogli una lettera che lo incoraggia e lo loda per il discorso sostenuto in risposta alle misure del governo degli Stati uniti: «Caro Nicolas Maduro, Presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela: mi congratulo con te per il tuo brillante e coraggioso discorso intrapreso per rispondere ai piani brutali del governo degli Stati uniti. Le tue parole passeranno alla storia come prova che l’umanità può e deve conoscere la verità».

L’avana 9 Marzo 2015

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Fonti:

Narrazioni Tossiche: In Venezuela puniscono i capri espiatori

Il mercoledì delle Narrazioni tossiche: L’editoriale del New York Times, datato 5 marzo 2015, ci presenta un Maduro sconclusionato e in affanno nel tentativo di arginare una crisi, a detta del fogliaccio nordamericano, figlia solo dell’inefficienza del governo bolivariano.

History is likely to record it as yet another self-inflicted wound by a leader whose relatively short time in power has been characterized by impulsive, erratic and vengeful behavior.

 Venezuelan acting president Nicolás MaduroLa strategia di governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro si affida sempre più alla ritorsione e allo scarico di responsabilità verso i capri espiatori, per i propri fallimenti. Approccio che nell’ultimo fine settimana ha raggiunto livelli grotteschi, con l’annuncio del presidente della riduzione forzata del personale dell’ambasciata statunitense a Caracas da 100 funzionari fino a 17, e la necessità per i cittadini americani di un visto per entrare in Venezuela.

In apparente risposta alla recente decisione all’amministrazione Obama di proibire ad alcuni funzionari venezuelani sospettati di violazione dei diritti umani di viaggiare negli Stati Uniti, Mr. Maduro ha svelato la sua lista personale, dichiarando l’ex presidente George W. Bush, l’ex vice presidente Dick Cheney e l’ex direttore della Cia George Tenet, personae non gratae.

Maduro inoltre ha segnalato che i diplomatici statunitensi rimasti in Venezuela hanno l’obbligo di dichiarare ogni appuntamento, presumibilmente con chiunque, al suo governo. La manovra intende combattere l’”aggressione imperialista”, ha detto sabato ad una folla di sostenitori durante uno sconclusionato quanto esuberante intervento.

Il teatrino di Maduro replica ai dimostranti antigovernativi, scesi in piazza nella città occidentale di San Cristobal, per denunciare la morte di un ragazzo quattordicenne, ucciso da un colpo d’arma da fuoco la scorsa settimana durante una manifestazione. Denigrare i nordamericani durante un momento di crescente malcontento e dell’intensificarsi della crisi economica forse potrà galvanizzare la base nel breve periodo, ma alla lunga può solo danneggiare il suo governo. E la storia presumibilmente registra questo atteggiamento come l’ennesimo autogol di un leader il cui breve operato è stato caratterizzato da un comportamento impulsivo, incoerente e vendicativo.

La richiesta del visto di entrata in Venezuela per gli statunitensi potrebbe diventare ancora l’ennesimo disincentivo per i cittadini del più importante partner commerciale del Venezuela, a  investire nel paese. Smembrare lo staff diplomatico dell’ambasciata Usa a Caracas, potrebbe parimenti rendere più difficoltoso per i venezuelani viaggiare, e fare affari, negli Stati Uniti.

Ad ogni carcerazione ed espulsione di altri capri espiatori, i limiti di Maduro verranno inevitabilmente messi a fuoco.

 

Articolo originale: http://www.nytimes.com/2015/03/06/opinion/in-venezuela-punishing-scapegoats.html?_r=1