I movimenti contro il latifondo mediatico

Geraldina Colotti il manifesto 06.03.2015

Venezuela. Intervista all’analista belga Thierry Deronne, direttore della Scuola di cinema popolare.

 

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Venezuela, il documentarista belga Thierry Deronne

 

 

“Un gior­na­li­sta di sini­stra, in occi­dente, quando descrive le cose buone della rivo­lu­zione boli­va­riana si sente sem­pre in dovere di pre­met­tere che lui però non è dog­ma­tico, che fa anche delle cri­ti­che, e magari con­fonde la libertà di impresa con la libertà di stampa”. Così dice al mani­fe­sto Thierry Deronne. Atti­vi­sta liber­ta­rio e ana­li­sta dei media di ori­gine belga, Deronne ha una lunga espe­rienza nel set­tore dell’audiovisivo. Dopo una per­ma­nenza in Nica­ra­gua, tra il 1986 e l’88, si è tra­sfe­rito in Vene­zuela, dove ha rea­liz­zato diversi docu­men­tari e, nel ’95, ha fon­dato la Scuola di cinema popo­lare. Durante il governo Cha­vez ha ideato varie tele­vi­sioni comu­ni­ta­rie ed è stato vice­di­ret­tore della tele­vi­sione pub­blica Vive Tv. Attual­mente, è diret­tore del Cen­tro de For­ma­cion en Tele­vi­sion Comu­nal alla Fun­da­cion Escuela Popu­lar de Cine, Tele­vi­sion y Tea­tro (Eplacite).

Qual è lo spi­rito e il pro­getto del Cen­tro che dirige?
Il nostro lavoro è quello di for­mare col­let­tivi, movi­menti sociali e abi­tanti delle comuni alla scrit­tura e alla nar­ra­zione deco­lo­niz­zata dalla tv com­mer­ciale per farne dei mol­ti­pli­ca­tori, nel paese e in tutto il con­ti­nente. L’obiettivo è anche quello di con­tri­buire al dibat­tito pub­blico sulla demo­cra­tiz­za­zione nel con­trollo delle fre­quenze radio­te­le­vi­sive e allo svi­luppo di nuovi para­digmi della comu­ni­ca­zione che raf­for­zino il potere popo­lare. Stiamo ripen­sando la tele­vi­sione comu­ni­ta­ria per come l’avevamo intesa nel 2000: nella pro­spet­tiva di una nuova tappa dello svi­luppo economico-produttivo in Vene­zuela, quello dello stato comu­nale, del mutua­li­smo e delle comuni auto­ge­stite. La ricerca di nuovi modi di pro­durre infor­ma­zione accom­pa­gna la ten­sione verso un nuovo modo di pro­durre e il sor­gere di nuove rela­zioni sociali.

Qual è la situa­zione dei media, com’è rego­lata l’informazione?
Dalla fine degli anni ’90, con l’arrivo di Hugo Cha­vez al potere, vi sono stati alcuni impor­tanti cam­bia­menti. Tra il 2000 e il 2010 sono state appro­vate la Ley orga­nica de Tele­co­mu­ni­ca­cio­nes (2000), la Ley de Respon­sa­bi­li­dad Social de Radio y Tele­vi­sion (2004) e la Ley de Respon­sa­bi­li­dad Social de Radio, Tele­vi­sion y Medios Elec­tro­ni­cos, che amplia la legge del 2004, appro­vata nel 2010. La costi­tu­zione boli­via­riana del 1999 ha aperto il cam­mino al plu­ra­li­smo dell’informazione garan­tito dallo stato. Un per­corso che, sul piano legi­sla­tivo, si è messo in mar­cia anche in altri paesi dell’America latina, in maniera diret­ta­mente pro­por­zio­nale alla demo­cra­tiz­za­zione del rap­porto tra stato e società. Penso all’Argentina, all’Ecuador, anche all’Uruguay e ora alle pos­si­bi­lità aperte con il secondo man­dato Rous­seff in Bra­sile, dove la situa­zione è ancora simile a quella del Vene­zuela pre-Chavez. Da noi, in que­sti anni, tutti i mezzi di infor­ma­zione sono aumen­tati, sia quelli pri­vati che pub­blici, che comu­ni­tari. Sia per quan­tità che per audience, i media con­ti­nuano a essere in mag­gio­ranza sotto il con­trollo del set­tore pri­vato, ma almeno il tele­spet­ta­tore ha un’offerta diver­si­fi­cata che non trova nei canali com­mer­ciali. Inol­tre, gra­zie al Fondo di respon­sa­bi­lità sociale, creato per finan­ziare i pro­getti degli arti­sti, que­sti non sono obbli­gati a ven­dere i loro talenti all’industria delle tele­no­ve­las come avviene in Brasile.

Negli anni in cui lei è stato vice­di­ret­tore, la Tv di stato fun­zio­nava in base all’orizzontalità, alla par­te­ci­pa­zione diretta e alla parità di sti­pen­dio per tec­nici e gior­na­li­sti. Com’è la situa­zione ora?
Dal mio punto di vista, si è perso molto di quel pro­getto ori­gi­nale, prin­ci­pal­mente a causa della guerra media­tica che ci impone una for­ma­zione acca­de­mica tra­di­zio­nale che adesso impera anche nei media comu­ni­tari. La spinta per ren­dere più plu­rale l’informazione è meno forte. Per esem­pio, non si parla più di sud­di­vi­dere in tre terzi il con­trollo dell’etere – pub­blico, pri­vato e comu­ni­ta­rio – come hanno fatto in Argen­tina e in Ecua­dor. Que­sto man­tiene in con­di­zione di infe­rio­rità i due ultimi set­tori, che invece sono quelli fon­da­men­tali alla garan­zia di un vero tes­suto demo­cra­tico e al suo equi­li­brio. Un’altra carenza è la man­cata appli­ca­zione delle leggi. E così, i media pri­vati hanno orga­niz­zato una gigan­te­sca cam­pa­gna di falsi allarmi che, all’inizio di gen­naio, ha indotto i cit­ta­dini a com­prare l’equivalente di tre mesi di con­sumo. Un con­te­sto di desta­bi­liz­za­zione che in parte ricorda il clima che, nel 1973, ha por­tato al colpo di stato con­tro Allende in Cile. Inol­tre, Cona­tel, l’autorità pre­po­sta al con­trollo delle fre­quenze, non fa rispet­tare abba­stanza la regola che impone ai media alter­na­tivi di tra­smet­tere il 70% di pro­du­zione comu­ni­ta­ria di con­te­nuti e di orga­niz­zare corsi di for­ma­zione per gli abi­tanti del ter­ri­to­rio. Molti spazi hanno perso il loro poten­ziale alter­na­tivo e rischiano di tra­sfor­marsi nella copia in sedi­ce­simo dei media com­mer­ciali. Come ha detto Igna­cio Ramo­net, l’egemonia dell’informazione com­mer­ciale con­ti­nua a inqui­nare l’ecologia della comu­ni­ca­zione e a con­di­zio­nare l’elettorato. Così vi sono stati passi indie­tro nei con­te­nuti di genere e le fem­mi­ni­ste si sono fatte sen­tire. Non può esserci vera demo­cra­zia senza demo­cra­zia dei media. Nel socia­li­smo boli­va­riano, si dovrebbe arri­vare al 60% di fre­quenze attri­buite ai media comu­ni­tari, un 29% a quelli pub­blici e l’1% a quelli commerciali.

Secondo l’opposizione c’è invece una deriva auto­ri­ta­ria in cui lo stato com­pra i media pri­vati per con­trol­larli e silen­ziare il dis­senso. La ten­denza sarebbe in corso anche in altri paesi come l’Ecuador, che si richia­mano al Socia­li­smo del XXI secolo. E’ così?
In Vene­zuela, sui gior­nali, in tv o per strada si sen­tono costan­te­mente le cri­ti­che più accese al governo, e nes­suno va in galera o perde il posto di lavoro. Anzi, come ha detto il cinea­sta Oli­ver Stone, in Vene­zuela i media pri­vati si pos­sono per­met­tere cose che mai potreb­bero fare negli Stati uniti, com­presi gli appelli alla vio­lenza e gli attac­chi per­so­nali. Detto que­sto, la Ley resorte che regola la comu­ni­ca­zione fun­ziona come in gran parte degli altri paesi del mondo, negli Stati uniti e in Europa: nes­suno può isti­gare all’omicidio del pre­si­dente, isti­gare alla vio­lenza, deni­grare le donne, inci­tare all’odio raz­ziale. Il rischio è piut­to­sto quello che per con­tra­stare la guerra media­tica – arti­co­lata in modo mas­sic­cio a livello locale e inter­na­zio­nale — si chiuda la strada allo svi­luppo del poten­ziale alter­na­tivo; che lo stato si lasci coop­tare o ricat­tare dal set­tore pri­vato o si lasci influen­zare nelle sue deci­sioni dalla sfera media­tica. In Vene­zuela non c’è uno stato omo­ge­neo, le forme del vec­chio stato “bor­ghese”, per dirla con le parole del pre­si­dente Maduro e dei mili­tanti di base, con­ti­nuano a esi­stere. Per for­ma­zione, abi­tu­dine o estra­zione sociale molti fun­zio­nari non cre­dono o non faci­li­tano la par­te­ci­pa­zione popo­lare. Per que­sto, mi viene da ridere quando i grandi media par­lano di «tota­li­ta­ri­smo boli­va­riano in mar­cia». Biso­gna invece raf­for­zare la lotta con­tro il lati­fondo media­tico, che accom­pa­gna quella dei movi­menti sociali come i Senza terra in Bra­sile, in tutta l’America latina. Abbiamo con­tro un potere media­tico tal­mente con­cen­trato che cerca di con­trol­lare idee e desi­deri della popo­la­zione sia negli spazi nazio­nali che a livello glo­bale, e che eser­cita una pres­sione ideo­lo­gica su qua­lun­que lotta sociale. Lo dico con rispetto, ma si è mai chie­sta per­ché un gior­na­li­sta di sini­stra dalle vostre parti se deve par­lar bene della rivo­lu­zione boli­va­riana si sente in dovere di pre­met­tere che lui non è dog­ma­tico e che è anche capace di cri­tica? La libertà di stampa, in Europa, coin­cide con la libertà d’impresa e con una falsa con­ce­zione del plu­ra­li­smo, tipica del gior­na­li­smo asser­vito al potere.