L’imperialismo oggi. “Diritti umani o interessi di classe?”

clip_image052di Geraldina Colotti per CaracasChiAma

La bandiera dei diritti umani, si sa, può essere tirata da tutti i venti e non è detto che il vento più forte ne scopra il lato veritiero. E così, il presidente di uno stato che si considera il gendarme del mondo dichiara, senza paura del ridicolo, che il Venezuela è “una minaccia straordinaria” per la propria sicurezza nazionale, e decide di emettere sanzioni contro il governo di Nicolas Maduro per presunte violazioni ai diritti umani. Come può un paese piccolo il cui esercito non ha mai aggredito nessuno minacciare gli Stati uniti? Qualunque essere senziente dovrebbe porsi la domanda, e poi chiedersi ancora: con quale credibilità può ergersi a paladino dei diritti umani un governo come quello Usa, promotore di guerre e barbarie, alleato e complice dei governi più liberticidi? L’ipocrisia risulta più evidente osservando il disinteresse per i dati provenienti dal Messico, un paese in cui scompare una persona ogni 90 minuti. Ecco quanto ha appurato Juan Mendez, relatore speciale delle Nazioni unite sulla tortura e altri tratti o pene crudeli, inumane e degradanti: in Messico, la tortura è generalizzata e viene applicata in un contesto di totale impunità. Recita il rapportoprotesta-despaarecidos-turq_0_0_628_524_94_0_765_560 Onu: “La tortura e i maltrattamenti durante i momenti che seguono alla detenzione e prima del deferimento al giudice, in Messico sono generalizzati e avvengono in un contesto di impunità”. Il relatore ha visitato il paese tra il 21 aprile e il 2 maggio del 2014, dunque prima della scomparsa dei 43 studenti “normalistas”, attaccati dalla repressione congiunta di polizia e narcotrafficanti il 26 settembre del 2014. Un caso che ha commosso il mondo e che ha portato sotto i riflettori la terribile realtà delle scomparse in Messico e l’eliminazione degli oppositori politici. La relazione di Mendez dice che, nella pratica corrente della tortura “ è evidente la partecipazione attiva delle forze di polizia e di quelle ministeriali di quasi tutte le giurisdizioni, e anche quella delle Forze armate”, e che risulta anche “la tolleranza, indifferenza e complicità da parte di alcuni medici, difensori pubblici, giudici e procuratori”. Il relatore denuncia altresì che, soprattutto nelle prime fasi dell’arresto, le possibilità di preservarsi dalla tortura e dagli abusi e di chiedere “un’inchiesta rapida, imparziale, indipendente ed esaustiva sono minime”.

Non ce ne sarebbe a sufficienza per sanzionare il governo neo-liberista di Enrique Pena Nieto, grande amico degli Usa?

E che dire dell’Honduras, paese in cui dopo il golpe del 2009 contro il presidente Manuel Zelaya gli assassinii di oppositori politici e di giornalisti sono moneta corrente al pari del Guatemala dell’ex generale Otto Pérez Molina?

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In tutta evidenza, quelli che gli Usa difendono, non sono “diritti”, ma interessi: interessi di classe, di rapina e di mercato, imposti con le guerre imperialiste che li alimentano. “La vera minaccia per il popolo degli Stati uniti è il suo governo”, ha detto Nicolas Maduro. Come dargli torto?

Washington difende gli interessi dei golpisti venezuelani, messi in carcere non per le loro idee, ma per atti concreti, per dei reati che, negli Usa e in Europa, sarebbero costati ergastoli o poco di meno. In Italia, in Spagna, in Germania, ne sanno qualcosa i movimenti rivoluzionari di ieri e di oggi. E gli Usa, non hanno forse tenuto in carcere per 16 anni i cinque eroi cubani e lasciato liberi gli eversori di Miami? E non rimane da oltre trent’anni nelle carceri Usa l’indipendentista portoricano Oscar Lopez Rivera? E l’Italia non ha forse messo in galera quasi 6.000 militanti della lotta armata di sinistra degli anni ’70-80? Non hanno forse torturato le democrazie italiana e spagnola e condannato a centinaia di ergastoli i militanti brigatisti e quelli baschi?

In Venezuela, il 27 febbraio del 1989, durante la rivolta popolare denominata il Caracazo sono state uccise e fatte scomparire circa 3.000 persone: ma non c’è stata condanna per l’allora governo Pérez che ha dato ordine di sparare sulla folla inferocita dalla fame e dall’esclusione sociale. “Mano dura contro gli incappucciati”, proclamava l’allora governatore di Caracas Antonio Ledezma… E nessuna condanna è stata emessa dagli organismi internazionali dopo il colpo di stato contro il legittimo governo di Hugo Chavez, nel 2002. Anche allora, Ledezma era della partita, insieme alla pasdaran degli Usa, Maria Corina Machado e all’altro golpista Leopoldo Lopez. Quest’ultimo, come hanno mostrato i documenti pubblicati da Wikileaks – il sito che ha reso noto il Cablogate -, è al soldo di Washington da vent’anni. Tuttavia, mentre lui ha potuto liberamente complottare in Venezuela, fino alle violenze dell’anno scorso, il fondatore di Wikileaks, Julian Assange, ha dovuto rifugiarsi nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra per sfuggire all’ira di Washington. Quanto a Henrique Capriles, altro ex golpista, sobillatore delle violenze post elettorali dell’aprile 2013, oggi è più defilato, ma il programma che propone il suo campo non è meno insidioso.

E’ dunque il “diritto al golpismo” quello che gli Usa difendono, il diritto a sovvertire i governi non subalterni, il diritto a cancellare il cambiamento più profondo che abbia mai interessato il Venezuela: una rivoluzione per le classi popolari in un paese che custodisce le più importanti riserve certificate di petrolio al mondo.

Eppure, anche alcuni dirigenti della sinistra, in Europa e nell’America latina, hanno agitato la bandiera dei “diritti umani” come un’arma contro il Venezuela: in Spagna, Pablo Iglesias ha dichiarato di essere contrario alla detenzione di Ledezma; in Uruguay, il vicepresidente Raul Sendic (subito corretto dalle dichiarazioni dell’ex presidente Pepe Mujica) ha affermato che “non ci sono prove” delle ingerenze Usa in Venezuela; in Argentina, un candidato di sinistra alla presidenza, Jorge Altamira, ha difeso la ex deputata Machado e ha accusato di golpismo il governo bolivariano. Di tutt’altro tenore, invece, le dichiarazioni della presidenta argentina Cristina Kirchner, che ha ben chiara a portata del progetto reazionario perseguito dai poteri forti contro l’America latina progressista, dal Venezuela, all’Argentina, al Brasile. E tuttavia, in Europa e in Italia in particolare, si continua a parlare dell’esistenza di “due sinistre” latinoamericane: una, bollata come “caudillista” a cui, nell’eredità di Cuba, appartengono il Venezuela e i paesi dell’Alba. Un progetto da sanzionare e contrastare. Un’altra, più soft e accettabile, più simile alle tanto decantate democrazie europee, a cui apparterrebbero paesi come Uruguay e Brasile. Una sinistra da giocare in chiave antisocialista, anche se – all’atto pratico – risulta appartenere al campo delle relazioni solidali sud-sud. Ma, intanto, su questa scia e nel solco di Washington, il Parlamento europeo ha condannato il governo Maduro per le presunte “violazioni dei diritti umani” dell’opposizione.

Nicaragua_Libre_Ninha_Grafiti_450RDavvero la bandiera dei diritti umani non basta (e a volte non serve) per indicare un giudizio se non a patto di assumersi fino in fondo la propria scelta di campo. Il campo della borghesia è quello che, con un discorso analogo a quello pronunciato da Obama contro il Venezuela, nel 1980 ha condannato il Nicaragua sandinista alla barbarie dei Contras per bocca di Ronald Reagan. Il campo della borghesia ha dalla sua i grandi media e la loro lingua biforcuta, che capovolge i dati e il senso delle cose. E così, la Dea (l’antidroga Usa), con una mano favorisce il narcotraffico per pagare l’eversione contro il socialismo, con l’altra definisce narcotrafficanti gli stati come la Bolivia che rifiutano la sua tutela, o persegue con la stessa accusa le organizzazioni armate, come le Farc in Colombia, che lottano a fianco dei contadini e dei diseredati. E ora rivolge la medesima arma contro il Venezuela, benché abbia facilitato il processo di pace tra Farc e governo Santos fin dal principio. O appunto per questo.

L’altro campo, è quello di chi ha a cuore la libertà e la giustizia sociale, un binomio inseparabile e un termometro di civiltà. Il campo di chi riconosce il diritto inalienabile di un popolo a scegliere, in modo trasparente e consapevole, il cammino per realizzarle. Il campo di chi difende il diritto degli oppressi al proprio riscatto e non ha paura di farsene contagiare.