ANCORA SANZIONI CONTRO IL GOVERNO DI NICOLAS MADURO DA PARTE DI WASHINGTON.
Un ordine esecutivo della Casa Bianca dichiara “l’urgenza” per il “pericolo inabituale” che minaccia la sicurezza nazionale. Il presidente statunitense Barack Obama ha annunciato questo lunedi, che prenderà nuove misure contro il governo venezuelano per le “così dette” violazioni dei diritti dell’uomo e ha dichiarato l’urgenza nazionale a causa di rischi straordinari generati dalla situazione di questo paese che minaccerebbero la sicurezza degli Stati uniti.
Il Congresso degli Stati uniti aveva già approvato il 10 dicembre scorso delle sanzioni contro i funzionari venezuelani, e ratificate da Obama il 18 dicembre ma niente era stato fatto fino a questo lunedi giorno in cui la Casa Bianca ha diffuso i nomi delle persone colpite dalle sanzioni, tra le quali risultano 7 figure di spicco: Benavides Torres ex leader del Gnb, Gustavo Enrique González López, direttore del Servizio nazionale d’intelligence (Sebin) e presidente del Centro strategico per la sicurezza e la protezione della patria (Cesspa), Justo José Noguera Pietri, presidente della Corporazione venezuelana della Guyana (Cvg) e già comandante della Guardia nazionale (Gnb), Katherine Nayarith Haringhton Padron, procuratore a livello nazionale del 20esimo distretto venezuelano, Manuel Eduardo Pérez Urdaneta direttore della Polizia nazionale bolivariana, Manuel Gregorio Bernal Martínez a capo della 31esima brigata corazzata dell’esercito venezuelano ed ex direttore della Sebin e, infine, Miguel Alcides Vivas Landino, ispettore generale delle forze armate e già comandante della Redi. Il comunicato diffuso riporta: «la Casa Bianca è profondamente preoccupata dalle azioni del governo venezuelano tese a intimidire gli avversari politici» il documento si conclude con la richiesta di liberazioni di tutti i “prigionieri politici”.
Secondo gli Stati uniti, questi funzionari sarebbero implicati in faccende che violano i diritti umani, precisamente per aver fermato “il piano di uscita”(allusione alle dimissioni del presidente Maduro) durante le contestazioni putschiste svoltesi tra Febbraio e Maggio scorso nelle quali 43 persone sono state uccise, molte delle quali con un colpo d’arma da fuoco alla testa. In risposta a queste provocazioni si è costituito il “Comitato delle vittime delle guarimbas” per far conoscere al mondo la loro storia, occultata meschinamente dal resto dei media. Il portavoce della Casa Bianca Josh Earnest ha dichiarato che “i funzionari dello Stato bolivariano che hanno violato i diritti dei cittadini venezuelani, non sono i benvenuti nel territorio, e che gli Stati uniti dispongono di strumenti per bloccare i lori assett e l’uso che fanno del sistema finanziario nordamericano”.
IL GOVERNO CUBANO SOLIDALE
Nella giornata di ieri si è espresso anche il governo rivoluzionario della Repubblica di Cuba, dichiarando: l’atto che qualifica il Venezuela come “paese minaccia” è arbitrario e aggressivo. Questo documento simboleggia una rappresaglia alle misure che il governo bolivariano ha adottato per difendere la propria sovranità di fronte alle ingerenze del Congresso degli Stati uniti. Come potrebbe il Venezuela minacciare gli Stati uniti? Considerando che il Venezuela è a migliaia di chilometri di distanza, non dispone di armi strategiche, e non impiega né risorse né funzionari per cospirare contro l’ordine costituzionale statunitense, questa dichiarazione appare poco credibile e rivela i veri obiettivi di chi l’ha emessa. Una tale esternazione, in un anno di elezioni legislative in Venezuela riafferma, ancora una volta, il carattere offensivo della politica estera statunitense. La gravità di questo atto esecutivo ha messo in allerta i governi dell’America Latina e quelli dei Caraibi, che, nel gennaio 2014 durante il 2° summit della Celac a l’Avana, hanno dichiarato la regione “Zona di Pace” e condannato tutti gli atti che possono destabilizzare il continente, dal momento che hanno già accumulato abbastanza esperienze di “interventismo imperiale” nel corso della loro stroria. Il governo rivoluzionario della Repubblica di Cuba riafferma di nuovo il suo sostegno incondizionato, e quello del suo popolo, alla Repubblica bolivariana, al governo legittimo del presidente Nicolas Maduro Moros e all’eroico popolo fratello del venezuela. Nessuno ha il diritto di intervenire negli affari interni di uno Stato sovrano né di dichiararlo, senza ragione, minaccia per la sua sicurezza nazionale. Così come Cuba non è mai stata sola, anche il Venezuela non lo sarà.
LETTERA DI FIDEL CASTRO
Anche Fidel Castro ha voluto ricordare ancora una volta il suo appoggio a Nicolas Maduro inviandogli una lettera che lo incoraggia e lo loda per il discorso sostenuto in risposta alle misure del governo degli Stati uniti: «Caro Nicolas Maduro, Presidente della Repubblica bolivariana del Venezuela: mi congratulo con te per il tuo brillante e coraggioso discorso intrapreso per rispondere ai piani brutali del governo degli Stati uniti. Le tue parole passeranno alla storia come prova che l’umanità può e deve conoscere la verità».
Il mercoledì delle Narrazioni tossiche: L’editoriale del New York Times, datato 5 marzo 2015, ci presenta un Maduro sconclusionato e in affanno nel tentativo di arginare una crisi, a detta del fogliaccio nordamericano, figlia solo dell’inefficienza del governo bolivariano.
History is likely to record it as yet another self-inflicted wound by a leader whose relatively short time in power has been characterized by impulsive, erratic and vengeful behavior.
La strategia di governo del presidente venezuelano Nicolas Maduro si affida sempre più alla ritorsione e allo scarico di responsabilità verso i capri espiatori, per i propri fallimenti. Approccio che nell’ultimo fine settimana ha raggiunto livelli grotteschi, con l’annuncio del presidente della riduzione forzata del personale dell’ambasciata statunitense a Caracas da 100 funzionari fino a 17, e la necessità per i cittadini americani di un visto per entrare in Venezuela.
In apparente risposta alla recente decisione all’amministrazione Obama di proibire ad alcuni funzionari venezuelani sospettati di violazione dei diritti umani di viaggiare negli Stati Uniti, Mr. Maduro ha svelato la sua lista personale, dichiarando l’ex presidente George W. Bush, l’ex vice presidente Dick Cheney e l’ex direttore della Cia George Tenet, personae non gratae.
Maduro inoltre ha segnalato che i diplomatici statunitensi rimasti in Venezuela hanno l’obbligo di dichiarare ogni appuntamento, presumibilmente con chiunque, al suo governo. La manovra intende combattere l’”aggressione imperialista”, ha detto sabato ad una folla di sostenitori durante uno sconclusionato quanto esuberante intervento.
Il teatrino di Maduro replica ai dimostranti antigovernativi, scesi in piazza nella città occidentale di San Cristobal, per denunciare la morte di un ragazzo quattordicenne, ucciso da un colpo d’arma da fuoco la scorsa settimana durante una manifestazione. Denigrare i nordamericani durante un momento di crescente malcontento e dell’intensificarsi della crisi economica forse potrà galvanizzare la base nel breve periodo, ma alla lunga può solo danneggiare il suo governo. E la storia presumibilmente registra questo atteggiamento come l’ennesimo autogol di un leader il cui breve operato è stato caratterizzato da un comportamento impulsivo, incoerente e vendicativo.
La richiesta del visto di entrata in Venezuela per gli statunitensi potrebbe diventare ancora l’ennesimo disincentivo per i cittadini del più importante partner commerciale del Venezuela, a investire nel paese. Smembrare lo staff diplomatico dell’ambasciata Usa a Caracas, potrebbe parimenti rendere più difficoltoso per i venezuelani viaggiare, e fare affari, negli Stati Uniti.
Ad ogni carcerazione ed espulsione di altri capri espiatori, i limiti di Maduro verranno inevitabilmente messi a fuoco.
In questo nuovo editoriale per Caracas ChiAma (che arriva eccezionalmente il martedì) Geraldina Colotti disegna una mappa immaginaria, che va da un sacchetto di farina in vendita a Napoli alle manifestazioni delle donne in Venezuela
Iniziamo raccontando due episodi, accaduti in Italia, che rispecchiano la realtà del Venezuela: la realtà del sabotaggio, dei complotti e di quella che il governo chiama, aragion veduta, la “guerra economica”, scatenata contro il socialismo dall’impresa privata e dal grande capitale internazionale. A Napoli, in qualche negozio capita di poter comprare la “Harina Pan”. Si tratta di un tipo di farina di mais precotto ove Pan sta per “Producto Alimenticio Nacional”, prodotto alimentare nazionale. Un alimento che piace molto ai venezuelani e che viene prodotto dalla grande impresa privata Polar. La Harina Pan non basta mai a coprire la richiesta e, nei discorsi dell’opposizione, diventa il simbolo della presunta penuria di alimenti. Ora, il dato singolare è che la farina risulta essere stata importata in Italia dalla… Colombia. E come mai, se non ce n’è abbastanza per il consumo del paese, se – come hanno strillato i vertici di Polar – produrla costa troppo, ce n’è così tanta da “esportarla” in Colombia e da lì in Europa? E tornano in mente quelle immagini scattate negli empori di Cucuta, in Colombia, ben forniti di ogni merce che scarseggia invece inVenezuela. Cucuta è una città di frontiera, ed è una delle mete principali del contrabbando di alimenti: si fa incetta di beni di consumo venduti a prezzo calmierato in Venezuela e li si rivende oltreconfine. Un business più lucroso del narcotraffico. Per la cronaca, come ha scritto la rivista Forbes che classifica i super milionari, tra questi risultano ben tre grandi imprenditori venezuelani: ma non erano stati debilitati dal socialismo? E invece risulta che hanno accresciuto i propri profitti, pur avendo dovuto sottostare alle leggi che garantiscono la tutela del lavoro e quindi rinunciare a qualche boccone della torta. I super ricchi appartentono al gruppo Cisneros – attivo nel campo della comunicazione, delle tecnologie, oltreché in quello dei beni e dei servizi -; al gruppo finanziario internazionale Banesco; e appunto alla Polar, principale produttore di bibite ealimenti, diretto da Lorenzo Mendoza.
Per ridurre il fenomeno dell’accaparramento truffaldino e la compulsione all’acquisto dettata dalla propaganda mediatica, il governo Maduro ha cominciato a installare in tutti i supermercati circa 20.000 scanner per il controllo delle impronte, ed evitare così che le persone tornino più volte a comprare. Intanto, quando i militanti segnalano episodi di sabotaggio, il governo occupa i grandi supermercati insieme alla popolazione e cerca di raddrizzare le storture. Una fatica di sisifo. Il progetto dichiarato dell’opposizione è quello di minare la fiducia della popolazione nel progetto bolivariano, mostrandosi più adatti a governare. Dove non riesce con i colpi bassi, cerca di arrivare con il sabotaggio economico e la guerra psicologica. Intanto, si attende che il Cne fissi la data delle elezioni: secondo Unasur potrebbero tenersi a settembre. Finora, però, l’unica cosa certa è la data delle primarie (3 maggio l’opposizione, 28 giugno il chavismo). Importanti novità caratterizzano il percorso di approfondimento che sta portando avanti il Psuv, che dovrà presentare il 50% di donne e farspazio ai giovani con identico spirito innovativo. Una spinta al futuroevidenziata dalla grande vitalità dell’8 marzo, che ha mostrato il camminopercorso dalla libertà delle donne e il loro potere di rappresentanza. Per giustificare che le sue primarie non si svolgeranno su tutto il territorio nazionale, e avallare gli inciuci interni, la coalizione opposta – la Mud – ha detto che risultano troppo costose (1,7 milioni di dollari) e che non se lo può permettere. Nonostante i fiumi di denaro che arrivano dagli Usa? Nonostante la ricchezza che possiedono i sempiterni candidati? E vale ricordare i documenti del sito Wikileaks sulle relazioni speciali della Cia intrattenute con Leopoldo Lopez, attualmente in carcere e sotto processo. E così, i militanti di base gridano alla truffa. E il Psuv rincara: “Stanno facendo il giro degli imprenditori per vendere a caro prezzo le poltrone”.
Che il piano per sovvertire l’ordine costituito sia da tempo in gestazione, è deducibile anche da un altro episodio, capitato a chi scrive qualche mese prima che scoppiassero le guarimbas. Camminando per le strade della capitale succede di parlare con la proprietaria di un negozio, che dice di avere amici in Venezuela: amici benestanti, precisa, dai quali gradirebbe farsi ospitare come ha già fatto in precedenza. “Però mi hanno detto di aspettare, che tra qualche mese silibereranno di Maburro”. Il nome del presidente Maduro viene storpiato così perché burro significa asino, ma la commerciante non lo sa e crede sia il suonome vero.
Niente di nuovo, si dirà, la borghesia difende sempre i propri privilegi con ogni mezzo. Lo si è visto nel Cile di Allende e poi nel Nicaragua minato dai Contras. Lo si è visto nei golpe “istituzionali” compiuti contro l’allora presidente dell’Honduras Manuel Zelaya e contro Fernando Lugo in Paraguay. Lo si è visto contro Chavez e ora contro Maduro. Com’è accaduto durante gli attacchi a Cuba, colpisce la sproporzione di mezzi impiegati contro un piccolo (ma petrolifero) paese. Colpisce la sfacciataggine con cui un Vargas Llosa mente sapendo di mentire, a dispetto di fatti e di evidenze. La borghesia si toglie i guanti bianchi e si schiera. Contro il “cattivo” esempio che viene dal socialismo bolivariano. Contro la Grande Paura.
Al campo che la contrasta, il compito di non farsi rubare il futuro.
L’Argentino che ha rivoluzionato Cuba: inventore e profeta del terzomondismo.
“Davanti a tutti i pericoli, davanti a tutte le minacce, le aggressioni, i blocchi, i sabotaggi, davanti a tutti i seminatori di discordia, davanti a tutti i poteri che cercano di frenarci, dobbiamo dimostrare, ancora una volta, la capacità del popolo di costruire la sua storia”. Ernesto Che Guevara, Da Opere, v. 3, pt. 1. a cura di Carlos Varela, Feltrinelli
“Noi ci schieriamo a fianco di coloro che vogliono mutare al tempo stesso la condizione sociale dell’uomo e la concezione ch’egli ha di se stesso”. Jean-Paul Sartre, Présentation de Les Temps Modernes (1945).
“La conquista è fatta con la violenza; il supersfruttamento e l’oppressione esigono il mantenimento della violenza, e di conseguenza la presenza dell’esercito (…) Il colonialismo nega i diritti umani a uomini che ha sottomesso con la violenza, che mantiene con la forza della miseria e dell’ignoranza e quindi, come direbbe Marx, in una condizione di “sub-umanità”. Nei fatti stessi, nelle istituzioni, nella natura degli scambi e della produzione, è iscritto il razzismo”. (J.-P. Sartre, Portrait du colonisé, 1957)
Il filosofo francese J.-P. Sartre, affascinato ed incuriosito dagli accadimenti rivoluzionari cubani e dai suoi protagonisti, decise di recarsi nell’isola caraibica e stilarne un vasto ed approfondito reportage. Perciò scrive, il 9 luglio del 1960, sulla rivista France-Soir un resoconto del suo viaggio a Cuba: “Il più grande scandalo della rivoluzione cubana non è quello di aver espropriato i piantatori ma quello di aver messo dei bambini al potere. Da anni i nonni, i padri e i fratelli maggiori aspettavano che il dittatore fosse morto per dargli il cambio: si andava avanti per promozione di anzianità. In previsione del giorno in cui sarebbe cambiata la squadra, i partiti si prendevano l’incarico rischioso di proclamare pubblicamente il loro attaccamento al parlamentarismo. Tutto andava bene quando, un bel giorno, i cadetti arraffarono il potere e lasciarono intendere che lo avrebbero conservato. Niente vecchi al potere! Infatti, non ne ho visto neanche uno tra i dirigenti…”
In principio, la rivoluzione è stata meravigliosa; “Un grande spettacolo“, l’ingresso dei liberatori in città, “una marea capillare, i condottieri, Cesare Borgia,il Rinascimento…”, ha scritto Virgilio Piñera, felice di trovare per le strade de L’Avana scene della leggenda biblica e della grande pittura italiana[1]. In un secolo in cui i grandi comandanti non erano più concepibili, la barba era divenuta il recupero di un po’ di “vecchia epicità”. Lo stile della rivoluzione era decisamente romantico: “Era come se il fantasma di Cortez [sic] fosse apparso nel nostro secolo sul cavallo bianco di Zapata“, ha osservato Norman Mailer nella sua “Lettera aperta a Fidel Castro”[2]. Cronache, storie, poesie, testimonianze aumentano l’elenco delle reminiscenze: Robin Hood, conquistatori barbari di Roma… Sollevazioni lente come corrugamenti geologici, deboli ricadute che diventano presto febbrili. Ed improvvisamente una folla invincibile le cui prime file cadono in ginocchio nel sangue, colpite da raffiche di mitragliatrici. Allora la folla scoppia in migliaia di fuggiaschi. Torna la pace per poi riorganizzarsi con più audacia ed ardore. Di nuovo si ricomincia con assemblee, rivolte, sommovimenti… In questo piccolo saggio ci orienteremo simbolicamente anche sulle tracce di Cortez e di Pizzarro, alla scoperta degli imperi decaduti del sole e dell’oro. L’America Centrale e del Sud, i Caraibi, resteremo incantati dalle rovine delle civiltà morte, i monti ed i misteri dell’America indiana.
Il mito di Ernesto “Che” Guevara (giovane medico argentino ammalato di asma cronica) come emblema della Rivoluzione, nasce il 25 novembre 1956, quando da Tuxpán (Messico) parte con un vecchio cargo fradicio, soprannominato Granma (una contrazione di “grand mother” = nonna), in direzione di Cuba, con 82 volontari di cui ne sopravvivranno ben pochi (solo 17). Lo stesso Ernesto “Che” Guevara si salvò per puro miracolo poiché, durante il tragitto, ebbe dei forti e violenti attacchi d’ asma, fu aiutato e sostento da Gino Doné Paro, partigiano ed antifascista italiano, l’unico italiano a bordo del cargo. Ernesto “Che” Guevara già sfinito dal viaggio e dalla crisi di asma scatenata dal mal di mare, trascina il suo corpo debole e provato in guerriglia: diventa così il medico della prima spedizione rivoluzionaria guidata dal Comandante Fidel Castro. Un violento attacco da parte dell’Esercito Regolare Cubano (al servizio del dittatore Batista) colse di sorpresa i pochi e provati guerriglieri. É il panico: il battesimo di fuoco. Sotto una grandine di pallottole gli uomini corrono senza sapere dove. Alcuni verso la piantagione, altri verso il bosco, altri ancora in direzione del tagliafuoco. Il “Che” correndo ed ansimando, scopre che nella fuga qualcuno aveva lasciato cadere una cassa di pallottole. Il “Che” pensa che le pallottole siano l’oro della guerra e che quel tipo ha appena abbandonato un tesoro, ma lui era già carico del suo zaino di medicinali. Il “Che” era il medico della spedizione: si trovò di fronte ad un dilemma. Fu il momento decisivo della sua vita. Con una spallata, gettò lo zaino pieno di medicine e si carica sulla schiena la cassa di pallottole e corre, barcollando, verso la piantagione. Da ora in poi, più che un medico, sarà un combattente: le sue lunghe ed affusolate mani di intellettuale, medico e scrittore da allora premeranno il grilletto dei revolver, dei fucili mitragliatori e lanceranno bombe. In quel momento, il dottor Guevara, decise di stare dalla parte di coloro che uccidono e vengono uccisi. Al suo fianco corre il compagno Albertosa che, si lascia cadere, si rialza, e come un colossale bambino vomita grumi di sangue dal naso e dalla bocca, come un pazzo urla: “mi hanno beccato”. Il Che resta disteso, una pallottola gli attraversa il collo ed avverte un colpo al petto, come un pugno sferrato da un invisibile pugile. Il “Che” galleggia nel limbo e per minuti, ore, penserà come morire nel modo migliore. Il suo primo battessimo di fuoco, nel mondo della guerriglia, lo trasformano in un soldato indomabile ed in uno stratega implacabile: diventerà l’emblema della Rioluzione. Nel suo reportage “Tempesta sullo zucchero“, il filosofo francese Sartre parla di “invasione di Cuba da barbari“: questo trionfo del giovane barbuto che si era liberato dei suoi genitori e che aveva rotto da tempo con i loro valori obsoleti. Il filosofo francese ha attribuito il “disordineradicale dei rapporti umani” nella Rivoluzione cubana con l’associazione dei giovani in rivolta provvisti di barba, uno dei brand definitivi del radicalismo del XX secolo: “Sulla popolazione molto civilizzata, un pò indebolita dell’isola, una nuova barbarie si è scagliata; la gioventù che avanzava mascherata. Gli indigeni vengono trattati bene dai nuovi conquistatori, ma questi mantengono le distanze e si sposano fra loro, niente fraternizzazione. Molte rivoluzioni possono lamentarsi come le persone: “Non ho avuto una giovinezza, io!”. Le poverine sono state troppo accelerate e troppo presto: per necessità; c’erano delle classi da saltare, degli esami da passare; le malattie infantili le divoravano. Cuba, fino a quel momento, ha avuto questa fortuna: non ha avuto bisogno di lesinare sul suo inizio; fortunatamente: non lo avrebbe fatto senza distruggere; dal 1957 al 1959, la rivoluzione della gioventù ha creato una nuova avventura che si vive da quattordici mesi: la giovinezza di una rivoluzione. Domandiamoci cosa può significare per un giovane potere, poter essere esercitato da giovani. Da parte mia, esaminerò solo tre questioni essenziali:come la nuova impresa plasma questi adolescenti per farne l’esecutivo che deve portarla felicemente a termine…”[3] Jean-Paul Sartre raggiunge Cuba in compagnia di Simone de Beauvoir il 22 febbraio 1960: si trattiene per quasi un mese. Si tratta del suo secondo viaggio nell’ isola, il primo, avvenuto nel 1949, sembra distante anni luce. Gabriela Paolucci ne “L’Incontro tra Sartre e la Rivoluzione Cubana”[4] afferma: “… Il volto dell’Avana e dell’intera Isola, fino a poco prima territorio esclusivo di yacht-club nordamericani, spiagge private, casinò, bordelli e quartieri esclusivi per i bianchi – è radicalmente mutato. La dittatura di Batista è stata sconfitta dall’Esercito Ribelle e la giovane Rivoluzione cubana sta vivendo la sua affascinante “luna di miele”. Alcune delle misure rivoluzionarie più significative cominciano a fare i primi passi in un’atmosfera di euforia collettiva: l’abolizione del latifondo e la Riforma agraria, elaborata nelle sue linee essenziali da Che Guevara; la campagna di alfabetizzazione; la Riforma urbana, con cui la distribuzione delle abitazioni, l’abbattimento del prezzo degli affitti, dell’elettricità e del telefono. Fidel Castro, il cui ruolo alla guida dell’ isola si sta già chiaramente delineando in mezzo ai conflitti tra tendenze moderate e radicali della rivoluzione, è a capo del governo. Il prestigio di Che Guevara , il giovane medico direttore del Dipartimento di industrializzazione dell’Inra e presidente del Banco National e sta crescendo, dentro e fuori l’Isola. Ma è anche il momento in cui comincia a prendere corpo lo scontro con gli Stati Uniti, come Sarte e Simone De Beauvoir hanno modo di toccare con mano il 4 marzo, quando un atto di sabotaggio fa esplodere nel porto della capitale il cargo francese “La Coubre”, provocando duecento morti. L’ adesione di Sartre all’ esperienza cubana è senza riserve. Ai suoi occhi Cuba rappresenta una nuova speranza di fronte ai drammatici fallimenti dei paesi dell’ Est. La strada che ha imboccato la prima rivoluzione dell’ America Latina sembra possedere tutti i requisiti per evitare gli esiti catastrofici di quel “mostro sanguinante che dilania se stesso” che è il “socialismo” dei regimi stalinisti (come aveva scritto in “In fantasma di Stalin”, nel 1957). La “democrazia diretta” è il cuore di questa giovane e originale rivoluzione, impermeabile all’ ideologia “sclerotizzata” e “intorpidita” che “dissolve gli uomini reali in un lago di acido solforico”. La sua forza risiede nell’ assenza di dogmatismo: nel fatto che essa forgia la propria ideologia nel farsi della prassi rivoluzionaria…” .[5]
ll filosofo francese, dopo i suoi incontri con la gioventù cubana, l’incontro con il rivoluzionario Che Guevara e Fidel Castro, decide di peregrinare per tutta l’isola: il risultato fu un’adesione entusiasta al movimento Rivoluzionario Cubano.
Un incontro felice, dunque, quello tra l’intellettuale che si batte a fianco dei popoli del Terzo Mondo, il critico radicale del marxismo sclerotizzato e dello stalinismo, lo scrittore che, convinto che “la parola è azione“, impegna tutto il proprio ascendente per “far sì che nessuno possa ignorare il mondo e dirsene innocente” (Che cos’è la letteratura? 1949) – e la giovane Rivoluzione cubana che incarna ai suoi occhi la possibilità di realizzare il magico momento della “fusione” e della spontaneità rivoluzionaria, dove “ciascuno è legato a tutti gli altri in un’impresa collettiva” (Critique de la raison dialectique). Ma l’idillio non durerà che poco tempo. Le fasi successive dell’esperienza cubana, stretta nella morsa asfissiante dell’ aggressione imperialistica e della “protezione” sovietica, metteranno sempre più a rischio la sua originalità e il suo iniziale spirito utopico. Sartre a sua volta, non si occuperà più dell’Isola caraibica e della sua sorte, se non per esprimere una generosa solidarietà (per esempio nel messaggio al Congresso Culturale dell’ Avana nel 1968), o per prendere posizione contro alcuni episodi particolarmente gravi di repressione della libertà d’espressione, come nei confronti del “caso Padilla“[6]. L’entusiasmo che il filosofo francese dimostra verso Cuba, non dovrà stupire nessuno: Cuba, subito dopo il Vietnam, ha rappresentato (e rappresenta tutt’ora) la realizzazione concreta e reale dell’ utopia terzomondista: la prova storica che perfino uno stato in miniatura, povero ed insignificante (sotto il profilo economico) può sconfiggere la più grande potenza economica internazionale e gestirsi autonomamente (pur con tutte le difficoltà del caso). Del resto Sartre è sempre stato un autentico anti-imperialista: da sempre impegnato per l’indipendenza Algerina, ha sempre condannato il colonialismo e la sua falsa coscienza. Il colonialismo, scrive sulle pagine di Les Temps Modernes: “… è la nostra vergogna, si fa beffe delle nostre leggi o le riduce ad una caricatura; ci infetta col suo razzismo. Obbliga i nostri giovani a morire loro malgrado per i principi razzisti che combattevamo dieci anni fa (“Le colonialisme est un système“, 1956)[7]. Sartre oltre tutto mostrerà un’attenta consapevolezza dell’ estrema durezza delle condizioni rivoluzionarie, una durezza che non risparmia nessuno: “La rivoluzione è una medicina per cavalli: una società si spacca le ossa a colpi di martello, distrugge le proprie strutture, sconvolge le istituzioni, trasforma il regime della proprietà e ridistribuisce i suoi beni, orienta la produzione rispetto ad altri principi, tenta di aumentarne al più presto il tasso d’ incremento e, nel momento stesso della distruzione più radicale, cerca di ricostruire, con tutta la sua forza, come con trapianti ossei un nuovo scheletro; il rimedio è estremo, spesso bisogna imporlo on la violenza: Lo sterminio dell’avversario e di qualche alleato non è inevitabile, ma è prudente prepararcisi. Dopo questo, niente garantisce che il nuovo ordine non sarà schiacciato dal nemico dall’interno o dall’esterno, né che il movimento, se vincitore, non sarà deviato dalle sue lotte e dalla vittoria stessa“.[8] Quando Sartre con il “Manifesto dei 121“, proclama il diritto all’insubordinazione per le riserve mobilitate nella guerra algerina, si cui è estensore e primo firmatario con Blanchot e Breton, il Pcf lancerà un attacco senza esclusione di colpi contro gli ideatori e i firmatari. L’analisi del colonialismo come sistema, di cui smonta i meccanismi politici, economici e ideologici, si coniuga all’implacabile denuncia dei misfatti che l’esercito francese compie durante l’occupazione ed Algeria, delle torture e delle umiliazioni fisiche e morali inflitte agli algerini. Esse “hanno in comune la capacità di rivelare questa cancrena (…), l’esercizio cinico e sistematico della violenza assoluta. Saccheggi, stupri, rappresaglie esercitate ai danni della popolazione civile, esecuzioni sommarie, ricorso alla tortura per strappare confessioni o informazioni” denuncia dalle pagine di Les Temps Modernes (Sartre, 1959a). [9] Contro il silenzio e la complicità dei francesi, ai quali governo e media si guardano bene dal raccontare la verità di quel che accade in Africa, Sartre lancia strali vigorosi: “Nascondere, ingannare, mentire: è un dovere, per gli informatori della Metropoli: l’unico crimine sarebbe quello di turbarci”. Comparando la guerra d’Algeria all’Olocausto, scrive: “Sapevamo tutto, e soltanto oggi siamo in grado di comprenderlo: perché anche noi sappiamo tutto. (…) Oseremo ancora condannarli? Oseremo ancora assolverci?” (Sartre, 1957a).[10] Il proletariato ed il sotto-proletariato terzomondista individua nel materialismo la dottrina della propria rivoluzionarietà, della propria liberazione dalla alienazione sociale: ciò significa almeno che il materialismo ha un contenuto “atto” a mobilitare le forze rivoluzionarie. Ma non vuol dire che esso sia la “verità” del marxismo. Se intraprendiamo un esame rigoroso dell’atteggiamento rivoluzionario, dobbiamo innanzi tutto renderci conto della situazione del proletariato in quanto oppresso e della possibilità del superamento della oppressione attraverso la prassi liberatrice: questo, prima ancora di proclamarci materialisti-storici. L’unico modo di smascherare il mito è di ricondurlo alle operazioni originarie, le analisi delle quali deve portare alla sostituzione del mito stesso con una filosofia che sia concreta traduzione delle esigenze rivoluzionarie. Occorre ripercorrere il cammino attraverso il quale il materialismo è diventato il “fatto”, vedere come le esigenze rivoluzionarie si sono solidificate in esso perdendo il loro significato originario: “Forse, se qualcuno le libera dal mito che le schiaccia e le maschera a se stesse, esse tracceranno le grandi linee di una filosofia coerente che abbia, in confronto al materialismo, la superiorità d’ essere una descrizione vera della natura e delle relazioni umane“[11]
Sartre si pone d’ora innanzi all’interno di questo progetto di una coerente filosofia della rivoluzione che egli comincia a ritenere realizzata nel 1960 con la Critica della Ragion Dialettica; il modo di approccio è un atteggiamento generico-costitutivo in grado di usare il “rasoio di Occam” ai fini di una ricostruzione fenomenologica. In questo caso si tratta di “tagliare” la falsa assolutizzazione del materialismo. La fondazione di una filosofia rigorosa che cancelli “tutti i miti” per ritornare al campo originario e autentico della esperienza rivoluzionaria e per mostrare come la azione e la comprensione della realtà si unifichino nell’unica direzione dell’uomo, non può non ricondurci alle operazioni di chi “in situazione” agisce da Rivoluzionario. La genesi deve partire dalla situazione dell’ oppresso al fine di ricostruire il movimento dialettico, che poi tutti gli uomini possono riconoscere e contribuire a realizzare. Il materialismo è un mezzo e non un fine: nello stesso momento in cui è posto esso viene superato. La filosofia “coerente” è infatti quella della trascendenza e della libertà. É proprio attraverso le operazioni dell’oppresso nella situazione rivoluzionaria che scopriamo la dialettica e il suo carattere totalizzante. All’oppresso è stata tolta la dignità di uomo: sopra di lui valgono i diritti e le leggi della classe dominante. Così il rovesciamento della situazione è innanzi tutto legato alla comprensione della situazione stessa e alla azione he dialetticamente ne consegue, se l’oppresso mira a una reale liberazione (e non a una falsa libertà interiore). In secondo luogo il rovesciamento rivoluzionario tende costituitivamente a superare il presente in vista di un futuro diverso e tende ad abbracciare tutti gli uomini. L’oppresso rende universale la propria causa in quanto non vuole sostituire i diritti che abbatte con altri diritti e con altre leggi, ma soltanto con un riconoscimento delle libertà reciproche e quindi con un auto-riconoscimento della specie umana. Il presente viene vissuto ed agito alla luce del futuro e di un progetto anti-naturale in quanto negazione della “naturalità” della situazione esistente. Si tratta, dice Sartre significativamente, di decollare da una situazione per negarla e per assumere una visuale complessiva: si tratta di pre-sentire e di inventare la società senza classi per sostituire il regno dei fini al regno delle leggi. Ha allora ragione Marx quando parla di un “al di là del comunismo” e anche Trozkij quando sostiene la “rivoluzione permanente“. In definitiva abbiamo reintrodotto la soggettività dando ad essa il compito di protagonista della dialettica stoica, che è dialettica del superamento e del progresso. Sarte incontrerà per la prima volta il rivoluzionario argentino Ernesto “Che” Guevara il 10 luglio 1960, su France-Soir scriverà: “… Guevara è considerato un uomo di grande cultura e questo si avverte: non ci vuole molo per accorgersi che dietro ogni sua frase c’è una riserva d’oro. Vi è un abisso, però, che separa questa ampia cultura, queste conoscenze generali di un giovane medico che per inclinazione, per passione, si è dedicato allo studio delle scienze sociali, dalle materie e dalle tecniche indispensabili per un banchiere statale. Egli non parla mai di queste cose, se non per scherzare sui propri cambi di professione; ma si avverte l’intensità del suo sforzo: lo tradisce d’ogni lato, meno che nel volto tranquillo e disteso. Innanzi tutto era insolita l’ora del nostro appuntamento: la mezzanotte. E avevo pur avuto fortuna, perché i giornalisti e gli ospiti stranieri vengono ricevuti con cortesia e lungamente, ma alle due ed alle tre del mattino. Per giungere al suo ufficio dovemmo attraversare un ampio salone che aveva i mobili solo lungo le pareti: alcune sedie ed una panca. In un angolo c’era un tavolino con un telefono. Su tutte le sedie la stanchezza assaliva i soldati; quelli che erano di guardia e, ancor di più, quelli che dormivano, tormentati fon nei sogni dall’incomodità della loro posizione… Si aprì una porta. Simone De Beauvoir ed io entrammo e quell’impressione comparve. Un ufficiale dell’ esercito ribelle, coperto da un basco, mi aspettava: aveva la barba ed i capelli lunghi come i soldati dell’ingresso, ma il volto limpido e sereno mi parve mattiniero. Era Guevara. Usciva dalla doccia? Certo era comunque che aveva cominciato a lavorare molto presto il giorno prima, aveva fatto colazione e cena nel suo ufficio, aveva ricevuto dei visitatori ed altri ne aspettava dopo di me. Sentii la porta chiudersi alle mie spalle e persi il ricordo della mia precedente stanchezza insieme alla nozione di tempo. In quell’ufficio non entra la notte: a quegli uomini di guardia, compreso il principale tra loro, dormire non sembra una necessità naturale, ma un’ abitudine della quale i sono più o meno liberati. Non so quanto riposino Guevara e i suoi compagni. Suppongo che ciò dipenda dalle circostanze e sia il rendimento a decidere: quando si abbassa, allora si fermano… Quei giovani attribuiscono un culto discreto all’energia, tanto amata da Stendhal. Non si creda però che ne parlino, che ne ricavino una teoria. Vivono l’energia, la praticano, forse la inventano: si dimostra negli effetti, ma essi non pronuncino una parola a riguardo. La loro energia si manifesta.”
A partire da Cuba si sviluppa, nelle coscienze degli occidentali più progressisti, di un sentimento di debito impossibile da cancellare, nessuno meglio di Sartre, nella sua prefazione ai “Dannati della Terra” di Franz Fanon[12] , l’avrebbe suscitato e fondato in diritto. Dei crimini commessi contro i popoli colonizzati, ora in via di sviluppo, siamo tutti colpevoli o complici, fino a quando starà in nostro potere il farli cessare. Questa colpevolezza giace in noi inerte, estranea, e bisogna ugualmente che la riprendiamo a nostro carico e che avviliamo noi stessi per poterla sopportare. “Abbiate il coraggio“, egli scrive, “di leggere Fanon: per questo primo motivo che vi farà vergogna e la vergogna, come ha detto Marx, è un sentimento rivoluzionario“.[13]
Così la sinistra-occidentale, dal 1960 fino ai nostri giorni, fu presa da un appetito pantagruelico per il mondo, s’ingozzò i tutti gli angoli del globo, il Terzo Mondo non era altro che il doppio del nostro. Il terzomondismo compì, in campo pratico e politico, quella deviazione passionale sempre denunciata dai moralisti , l’amore innamorato di se stesso, l’amore compiacente, incapace di crearsi un complemento diretto. Il militante terzomondista colleziona sommosse, rivolte, rivoluzioni, concedendosi l’ebbrezza dell’infinito. Anche se l’altrimenti e l’altrove cui egli fa appello sono ancora troppo attaccati a questo basso mondo, che rifiuta. L’autentica alterità suppone un rapporto con una realtà sociale infinitamente lontana dalla propria, senza che tale lontananza distrugga il rapporto, e senza che il rapporto distrugga la lontananza. Non abbiamo il diritto di vivere in pace finché un solo bambino, continuerà a soffrire: i militanti terzomondisti diventano così i fautori di un universalismo astratto. L’iniziatore di questa forma di terzomondismo resta senz’altro Jean-Paul Sartre: “Ognuna delle mie scelte ha allargato il mio mondo. Di modo che non considero più le loro implicazioni come limitate alla Francia. Le lotte con cui m’identifico sono lotte mondiali” .[14]
Nel dicembre del 1967 Jean-Paul Sartre viene intervistato da Prensa Latina sul Tribunale Bertrand Russel e sul ruolo sociale e politico del rivoluzionario Che Guevara, e dichiara: Voi conoscete la mia ammirazione per Che Guevara. Penso che effettivamente quest’uomo non sia stato solo un’intellettuale, ma l’uomo più completo del suo tempo. É stato il combattente, il teorico che ha saputo trarre dalla battaglia, dalla sua stessa lotta e dalla suae sperienza, la teoria per continuare a lottare“[15]. Fino ai primi decenni del secolo XX, barba e baffi erano indici di borghese rispettabilità in una società che considera la maturità come valore supremo. Stefan Zweig dice nella sua autobiografia che nell’era prima guerra mondiale “si è verificato quello che oggi è quasi incredibile, e cioè che i giovani costituisce un ostacolo per qualsiasi carriera, e la vecchiaia un vantaggio.” Con la strage del 1914, questi valori sono stati invertiti: prima la giovinezza era considerata un elemento di sospetto, invece oggi i giovani hanno imparato a far pesare il loro “valore”.
[1]Virgilio Piñera scrisse sul trionfo della Rivoluzione Cubana nel periodico Revolución e nel suo supplemento Lunes de Revolución
[2] Nel 1961 Mailer scrisse una lettera aperta a Fidel Castro, dicendo “ci stai dando speranza“.
[3] Visita a Cuba, Jean-Paul Sartre, introduzione di Gabriella Paolucci, Massari Editore, pag. 184
[4] Visita a Cuba, Jean-Paul Sartre, introduzione di Gabriella Paolucci, Massari Editore, pag. 7.
[5] Visita a Cuba, Jean-Paul Sartre, introduzione di Gabriella Paolucci, Massari Editore, pag. 8.
[6] Visita a Cuba, Jean-Paul Sartre, introduzione di Gabriella Paolucci, Massari Editore, pag. 10.
[7] Visita a Cuba, Jean-Paul Sartre, introduzione di Gabriella Paolucci, Massari Editore, pag. 11
[8] Visita a Cuba, Jean-Paul Sartre, introduzione di Gabriella Paolucci, Massari Editore, pag.90
[9] Visita a Cuba, Jean-Paul Sartre, introduzione di Gabriella Paolucci, Massari Editore, pag. 12
[10] Visita a Cuba, Jean-Paul Sartre, introduzione di Gabriella Paolucci, Massari Editore, pag. 12
[11]Materialismo e Rivoluzione, in “Temps Modernes” (poi ripubblicato in Situations II), J.-P. Sartre, Gallimard, Paris, pag. 303
[12] Frantz Fanon, Les Damnés de la terre, Maspero, Paris, 1961. Traduzione Italiana: I Dannati della Terra, Einaudi, Torino, 1962.
[13] Frantz Fanon, Les Damnés de la terre, Maspero, Paris, 1961. Traduzione Italiana: I Dannati della Terra, Einaudi, Torino, 1962., pag. 11.
[14] Interista a Tito Gerani, 1974, citata da Simone De Beauvoir in La Cérémonie des adieux, Gallimard, Paris, 1981. Traduzione in italiano: La cerimonia degli addii, Einaudi, Torino, 1983.
[15] “El Che fue el hombre más completo de su tiempo”, estratto da un’ intervista a Prensa Latina, pubblicato in Bohemia, n. 51, 22 dicembre 1967, p. 45. Traduzione di Antonella Marazzi.
Venezuela. Intervista all’analista belga Thierry Deronne, direttore della Scuola di cinema popolare.
“Un giornalista di sinistra, in occidente, quando descrive le cose buone della rivoluzione bolivariana si sente sempre in dovere di premettere che lui però non è dogmatico, che fa anche delle critiche, e magari confonde la libertà di impresa con la libertà di stampa”. Così dice al manifesto Thierry Deronne. Attivista libertario e analista dei media di origine belga, Deronne ha una lunga esperienza nel settore dell’audiovisivo. Dopo una permanenza in Nicaragua, tra il 1986 e l’88, si è trasferito in Venezuela, dove ha realizzato diversi documentari e, nel ’95, ha fondato la Scuola di cinema popolare. Durante il governo Chavez ha ideato varie televisioni comunitarie ed è stato vicedirettore della televisione pubblica Vive Tv. Attualmente, è direttore del Centro de Formacion en Television Comunal alla Fundacion Escuela Popular de Cine, Television y Teatro (Eplacite).
Qual è lo spirito e il progetto del Centro che dirige?
Il nostro lavoro è quello di formare collettivi, movimenti sociali e abitanti delle comuni alla scrittura e alla narrazione decolonizzata dalla tv commerciale per farne dei moltiplicatori, nel paese e in tutto il continente. L’obiettivo è anche quello di contribuire al dibattito pubblico sulla democratizzazione nel controllo delle frequenze radiotelevisive e allo sviluppo di nuovi paradigmi della comunicazione che rafforzino il potere popolare. Stiamo ripensando la televisione comunitaria per come l’avevamo intesa nel 2000: nella prospettiva di una nuova tappa dello sviluppo economico-produttivo in Venezuela, quello dello stato comunale, del mutualismo e delle comuni autogestite. La ricerca di nuovi modi di produrre informazione accompagna la tensione verso un nuovo modo di produrre e il sorgere di nuove relazioni sociali.
Qual è la situazione dei media, com’è regolata l’informazione?
Dalla fine degli anni ’90, con l’arrivo di Hugo Chavez al potere, vi sono stati alcuni importanti cambiamenti. Tra il 2000 e il 2010 sono state approvate la Ley organica de Telecomunicaciones (2000), la Ley de Responsabilidad Social de Radio y Television (2004) e la Ley de Responsabilidad Social de Radio, Television y Medios Electronicos, che amplia la legge del 2004, approvata nel 2010. La costituzione boliviariana del 1999 ha aperto il cammino al pluralismo dell’informazione garantito dallo stato. Un percorso che, sul piano legislativo, si è messo in marcia anche in altri paesi dell’America latina, in maniera direttamente proporzionale alla democratizzazione del rapporto tra stato e società. Penso all’Argentina, all’Ecuador, anche all’Uruguay e ora alle possibilità aperte con il secondo mandato Rousseff in Brasile, dove la situazione è ancora simile a quella del Venezuela pre-Chavez. Da noi, in questi anni, tutti i mezzi di informazione sono aumentati, sia quelli privati che pubblici, che comunitari. Sia per quantità che per audience, i media continuano a essere in maggioranza sotto il controllo del settore privato, ma almeno il telespettatore ha un’offerta diversificata che non trova nei canali commerciali. Inoltre, grazie al Fondo di responsabilità sociale, creato per finanziare i progetti degli artisti, questi non sono obbligati a vendere i loro talenti all’industria delle telenovelas come avviene in Brasile.
Negli anni in cui lei è stato vicedirettore, la Tv di stato funzionava in base all’orizzontalità, alla partecipazione diretta e alla parità di stipendio per tecnici e giornalisti. Com’è la situazione ora?
Dal mio punto di vista, si è perso molto di quel progetto originale, principalmente a causa della guerra mediatica che ci impone una formazione accademica tradizionale che adesso impera anche nei media comunitari. La spinta per rendere più plurale l’informazione è meno forte. Per esempio, non si parla più di suddividere in tre terzi il controllo dell’etere – pubblico, privato e comunitario – come hanno fatto in Argentina e in Ecuador. Questo mantiene in condizione di inferiorità i due ultimi settori, che invece sono quelli fondamentali alla garanzia di un vero tessuto democratico e al suo equilibrio. Un’altra carenza è la mancata applicazione delle leggi. E così, i media privati hanno organizzato una gigantesca campagna di falsi allarmi che, all’inizio di gennaio, ha indotto i cittadini a comprare l’equivalente di tre mesi di consumo. Un contesto di destabilizzazione che in parte ricorda il clima che, nel 1973, ha portato al colpo di stato contro Allende in Cile. Inoltre, Conatel, l’autorità preposta al controllo delle frequenze, non fa rispettare abbastanza la regola che impone ai media alternativi di trasmettere il 70% di produzione comunitaria di contenuti e di organizzare corsi di formazione per gli abitanti del territorio. Molti spazi hanno perso il loro potenziale alternativo e rischiano di trasformarsi nella copia in sedicesimo dei media commerciali. Come ha detto Ignacio Ramonet, l’egemonia dell’informazione commerciale continua a inquinare l’ecologia della comunicazione e a condizionare l’elettorato. Così vi sono stati passi indietro nei contenuti di genere e le femministe si sono fatte sentire. Non può esserci vera democrazia senza democrazia dei media. Nel socialismo bolivariano, si dovrebbe arrivare al 60% di frequenze attribuite ai media comunitari, un 29% a quelli pubblici e l’1% a quelli commerciali.
Secondo l’opposizione c’è invece una deriva autoritaria in cui lo stato compra i media privati per controllarli e silenziare il dissenso. La tendenza sarebbe in corso anche in altri paesi come l’Ecuador, che si richiamano al Socialismo del XXI secolo. E’ così?
In Venezuela, sui giornali, in tv o per strada si sentono costantemente le critiche più accese al governo, e nessuno va in galera o perde il posto di lavoro. Anzi, come ha detto il cineasta Oliver Stone, in Venezuela i media privati si possono permettere cose che mai potrebbero fare negli Stati uniti, compresi gli appelli alla violenza e gli attacchi personali. Detto questo, la Ley resorte che regola la comunicazione funziona come in gran parte degli altri paesi del mondo, negli Stati uniti e in Europa: nessuno può istigare all’omicidio del presidente, istigare alla violenza, denigrare le donne, incitare all’odio razziale. Il rischio è piuttosto quello che per contrastare la guerra mediatica – articolata in modo massiccio a livello locale e internazionale — si chiuda la strada allo sviluppo del potenziale alternativo; che lo stato si lasci cooptare o ricattare dal settore privato o si lasci influenzare nelle sue decisioni dalla sfera mediatica. In Venezuela non c’è uno stato omogeneo, le forme del vecchio stato “borghese”, per dirla con le parole del presidente Maduro e dei militanti di base, continuano a esistere. Per formazione, abitudine o estrazione sociale molti funzionari non credono o non facilitano la partecipazione popolare. Per questo, mi viene da ridere quando i grandi media parlano di «totalitarismo bolivariano in marcia». Bisogna invece rafforzare la lotta contro il latifondo mediatico, che accompagna quella dei movimenti sociali come i Senza terra in Brasile, in tutta l’America latina. Abbiamo contro un potere mediatico talmente concentrato che cerca di controllare idee e desideri della popolazione sia negli spazi nazionali che a livello globale, e che esercita una pressione ideologica su qualunque lotta sociale. Lo dico con rispetto, ma si è mai chiesta perché un giornalista di sinistra dalle vostre parti se deve parlar bene della rivoluzione bolivariana si sente in dovere di premettere che lui non è dogmatico e che è anche capace di critica? La libertà di stampa, in Europa, coincide con la libertà d’impresa e con una falsa concezione del pluralismo, tipica del giornalismo asservito al potere.
Il seguente articolo della rivista cilena Punto Final ci offre una panoramica sulla situazione cilena ed un tentativo dal basso per la costruzione di un futuro migliore per il paese.
Un tratto particolare della nostra crisi –che laaggrava ancora di più- è che sembra non inquietare nessuno. Il popolo è assentedal dibattito, forse narcotizzato dalla televisione e dalla carta di credito; oforse con la sua indifferenza esprime una forma più profonda di ripudio allacasta politica.
Il Cile, vittima dell’avidità, della corruzione, e dell’incompetenza della casta politica, si trova sommersa in una profonda crisi senza soluzione, nel contesto del modello economico e della Costituzione imposti dalla dittatura. Quella camicia di forza riproduce all’infinito gli abusi e le perversioni che hanno delegittimato le istituzioni, i partiti e gli organi dirigenti. La corruzione che generano è un’ombra viscosa che contamina tutto ciò che tocca, incluso la Chiesa e le forze armate.
Quarto appuntamento con il mercoledì delle Narrazioni tossiche. Hannah Dreier firma per Associated Press (qui nella versione del Los Angeles Times, datata 1 marzo) un articolo che schernisce le iniziative del governo bolivariano, dando spazio alle arroganti repliche di tutti quei funzionari a stelle e strisce chiamati in causa dalle nuove direttive dell’amministrazione Maduro.
“I’ve always wanted to travel to a corrupt country that is not a free democracy. And now Castro’s lapdog won’t let me!” he wrote on Twitter.
I politici conservatori statunitensi, a cui il Presidente socialista Nicolas Maduro ha proibito di entrare in Venezuela, stanno prendendo la restrizione come una medaglia all’onore.
Sabato sera, Maduro ha disposto una serie di misure contro diplomatici e turisti nordamericani, includendo la promessa di limitare la presenza degli ambasciatori nel paese e imporre la necessità del permesso turistico.
Maduro ha inoltre rilasciato una lista di funzionari conservatori Usa a cui non sarebbe permesso di viaggiare in Venezuela. Fra questi, l’ex presidente George W. Bush, l’ex vice presidente Dick Cheney e numerose personalità del congresso.
“Non possono venire in Venezuela perché sono terroristi”, ha detto Maduro alla folla che ha radunato in protesta dell’imperialismo. “Fuori di qui, terroristi”.
Ileana Ros-Lehtinen, Rappresentante Repubblicana dello stato della Florida, dal profilo Twitter si è detta orgogliosa di essere nella lista, data la buona compagnia. Un altro Repubblicano, Mario Diaz-Balart, ha espresso un falso disappunto:
“Ho sempre voluto viaggiare in un paese corrotto e senza democrazia. E ora il cagnolino di Castro non me lo permette!”, ha scritto su Twitter.
Alcuni importanti critici dell’amministrazione Maduro vedono nel nuovo divieto l’opportunità di schiacciare il governo. Il Senatore Marco Rubio, Stato della Florida, ha detto in una nota che non c’è bisogno di andare a Caracas per fronteggiare il regime.
“Non importa dove io sia, continuerò a mettere in luce le responsabilità di Nicolas Maduro e del suo regime sulle uccisioni, sull’abuso dei diritti umani e sul disastro economico in cui si trova il Venezuela”, ha dichiarato il Senatore.
Analogamente, il Senatore Democratico Bob Menendez, New Jersey, ha promesso che il divieto non avrà effetti sulla sua volontà di scagliarsi contro il governo Maduro.
Gli Stai Uniti recentemente hanno proibito l’entrata nel paese ad alcuni importanti dirigenti venezuelani, accusati di violazione dei diritti umani.
Il Ministro per le Relazioni Internazionali Delcy Rodriguez ha detto domenica di voler lavorare per rendere velocemente operativo il nuovo regolamento, aggiungendo che le restrizioni sui permessi sono una questiona di imparzialità.
“Non è nulla di inusuale. I venezuelani devono sborsare dollari solo per richiedere il visto per andare negli Stati Uniti, anche se questi non sono garantiti”, ha detto il Ministro.
Sabato, Maduro ha suggerito di voler spremere il numero dei funzionari nordamericani autorizzati in Venezuela, riducendoli da un centinaio di persone fino ad una manciata, mossa che potrebbe complicare la procedura del visto per i cittadini venezuelani. L’anno scorso l’ambasciata statunitense a Caracas sospese temporaneamente il rilascio del permesso turistico, ufficialmente per questioni legate ai dipendenti.
La tensione è andata crescendo in Venezuela dopo che un poliziotto ha ucciso un quattordicenne durante una protesta anti governativa, e l’arresto del sindaco di Caracas da parte della polizia. Il Bolivar ha segnato un record negativo visto l’esteso utilizzo del mercato nero per il cambio di valuta, e l’indice di gradimento nei riguardi di Maduro sta marcendo verso un misero 20%.
Critici di governo hanno manifestato per chiedere ai diplomatici vaticani in missione a Caracas l’intervento di Papa Francesco.
Domenica, il primo Papa latino americano ha detto in un discorso pubblico che spera nella fine della violenza politica in Venezuela e nell’inizio di un dialogo costruttivo tra il governo e l’opposizione. Ha aggiunto che stava pregando per il ragazzo quattordicenne.
di Thierry Deronne. Traduzione di Lorenzo Mastropasqua
Interessante articolo sulle azioni intraprese dal governo venezuelano in seguito ai noti fatti del febbraio scorso, nei momenti di crisi, sia istituzionale sia economica, c’è chi risponde con la repressione chi con i diritti e democraziaMentre nel 1973 dei media occidentali che s’indignavano per il colpo di Stato perpetrato in Chile erano presenti, quelli di oggi scandiscono all’unisono: Presidente del Venezuela, si lasci destituire! É per il suo bene! Rinunciate a difendere la scelta degli elettori! Rinunci alla legge, alla costituzione. Se te arresti un putschista noi denunceremo la repressione in Venezuela! Il bulldozer informativo, già ben rodato per creare il personaggio Chavez, è stato reattivo nel fabbricare il tiranno Maduro che da lontano agita il pugno brutale per schiacciare meglio le folle mentre la voce felpata delle opposizioni di destra o dei portavoce della Casa Bianca, si scandalizzano di tanta violenza.
Addirittura durante il colpo di stato mancato contro Chavez nel 2002, non si è vista una tale intensità nei bombardamenti mediatici tesi a farci accettare la necessità di un intervento esterno, o di un colpo di Stato senza attendere le elezioni. É senza ombra di dubbio l’errore storico e suicida della sinistra europea: non aver democratizzato la proprietà dei media, aver lasciato il servizio pubblico mimetizzare “l’informazione” dei grandi gruppi privati. Quando arriverà un giornalista di un grande gruppo d’informazione che parli dei 40000 consigli comunali e dei consigli del potere cittadino che apportano la “materia grigia” in numerose decisioni governative in Venezuela?E il Maduro reale? Quello che non oscura gli obiettivi dell’AFP o della Reuters?Giovedi 26 febbraio, durante la creazione del nuovo consiglio delle persone disabili e anziane, ha approvato i finanziamenti per concedere 300 mila pensioni in più, elevando i beneficiari di questo diritto a 3 milioni di cittadine/i. Ha confermato la concessione di 10 000 alloggi sanitari per proteggere meglio le persone anziane. Si è congratulato con i dipendenti per la nuova missione sociale “Casa della Patria” che ha visitato in un solo finesettimana 200 comunità popolari e 25 mila famiglie: “Questo metodo ci permette di arrivare direttamente alle famiglie, evitando le mafie degli intermediari”.
Prima di cominciare sui territori un nuovo ciclo di “governo di strada”, Maduro ha ricordato l’ideale di fondo della sua politica: malgrado la guerra economica e la caduta dei prezzi del petrolio, niente austerità ma l’ampliamento di uno Stato sociale e partecipativo. Come ricorda il sindaco Rodriguez, ci attaccano perché siamo un governo di poveri. Solo nel socialismo le risorse sono amministrate in funzioni di quelli e quelle che hanno bisogno. Durante questa assemblea un documento arriva alle mani di Maduro. Annibale affetto da un’incapacità uditiva, uno dei rappresentanti del nuovo consiglio nazionale prende la parole in lingua dei segni: “Siamo 120 rappresentanti venuti da 24 regioni del paese, abbiamo lavorato insieme su queste proposte. É per questo che ho creato i consigli del governo popolare, per far si che il popolo prenda il potere, che assuma il potere politico e si converta in popolo-presidente ha risposto il presidente Maduro.
Sabato 28 febbraio durante una mobilitazione popolare contro le ingerenze degli Stati uniti, il presidente a proseguito: il The Wall Street Journal ha scritto recentemente che è venuta l’ora di chiamarmi tiranno, io rispondo: “Sarei un tiranno perché non mi lascio destituire? E se lo lasciassi fare sarei un democratico? Il popolo dovrebbe permettere che si instauri un governo di transizione eliminando la costituzione? Io non lo permetterò e se ci fosse il bisogno mi batterei nelle strade con il nostro popolo e le nostre forze armate. Noi vogliamo costruire la pace, la stabilità la coesistenza, la vita in comune. Che farebbe il presidente Obama se è un colpo di Stato fosse organizzato contro il suo governo? Quelli che agiscono fuori i limiti della costituzioni, quelli che persistono nelle loro attività terroristiche e stecchiste saranno arrestati per essere giudicati; anche se il Wall Street Journal o il New York Times mi chiamano tiranno, non è questione di tirannia è semplicemente la legge.Durante questa marcia che ha percorso le strade di Caracas, Maduro ha firmato un decreto che indennizza le 74 famiglie vittime del Caracazo: nel 1989 dopo due giorni di sommosse popolari in seguito all’applicazione delle misure neo-liberiste pretese dall’FMI, il presidente social-democratico Carlos Andres Prezzar sospese le garanzie costituzionali e inviò l’arma a “ristabilire l’ordine”. In 72 ore tra le 2000 e le 3000 persone furono assassinate.
Maduro ha ricordato che questa stessa austerità feroce fa parte del piano che la destra venezuelana aveva previsto di applicare in caso di successo del colpo di Stato del 12 febbraio scorso. Fino all’elezione di Hugo Chavez, nessun governo aveva accettato di riconoscere le fosse comuni, le sparizioni e le torture. I 74 indennizzi decretati da Maduro si aggiungono ai 596 già accordati ad altre famiglie dal governo bolivariano.Per contro, il presidente ha annunciato 4 misure in risposta sia alle sanzioni imposte dagli Stati-uniti in violazione del diritto internazionale e denunciate dall’insieme dei paesi latino-americani sia alle 168 dichiarazioni ufficiali emesse dall’amministrazione Obama dal 2014 al 2015 contro il governo bolivariano:
Domenica 1 marzo 2015. Il presidente Maduro rende omaggio alle vittime del massacro del “Caracazo” del 27 Febbraio 1989
– L’accesso al territorio venezuelano è interdetto ai funzionari statunitensi complici di azioni terroristiche e colpevoli di violazioni dei diritti dell’uomo e crimini di guerra. Tra loro l’ex presidente George W.Bush, l’ex vice presidente Dick Cheney, l’ex direttore della CIA George Tenet, notamente legati al massacro di centinaia di migliaia di iracheni sulla base delle menzogne delle “armi di distruzione di massa” e la creazione di centri di tortura( prigioni segrete in Europa, Abu Ghraid, Guantanamo, etc…” E’ interdetto anche il rilascio dei visti ai cittadii americani che hanno violato i diritti umani e hanno bombardato popolazioni civili”. La decisione concerne anche i congressisti d’estrema destra Bob Menendez, Marco Rubio, Ileana Ross-lehtinen e Mario Diaz-Balart, vicini alle reti terroristiche del cubano Posada Carriles che vive attualmente negli Stati-uniti sotto la protezione delle autorità.
-Adeguamento del numero dei funzionari dell’Ambasciata degli Stati-uniti a Caracas.Il governo degli Stati-uniti mantiene più di 100 impiegati mentre solamente 17 funzionari venezuelani sono autorizzati a lavorare a l’Ambasciata venezuelana a Washington. La ministra Delcy Rodriguez a ricordato che la facoltà di chiedere l’equilibrio del numero dei funzionari è disponibile per tutti i governi in virtù della Convenzione di Vienna.
-Reciprocità in materia di visti. I cittadini venezuelani che viaggiano negli Stati-uniti devono pagare per ottenere un visto. Di conseguenza per ristabilire l’ugualità di trattamento, gli statunitensi che visitano il nostro paese dovranno ottenere un visto e pagare ciò che pagano i venezuelani per viaggiare negli stati-uniti.
-”Fine delle riunioni dei funzionari statunitensi per cospirare sul nostro territorio”. I vertici i dell’ambasciata statunitense a Caracas sono stati informati sul fatto che “tutte le riunioni realizzate da essi nel territorio venezuelano dovranno essere notificate e approvate dal governo del Venezuela”.In conformità agli articoli 41 e 42 della Convenzione di Vienna.Maduro ha rivelato:” abbiamo individuato e catturato alcuni statunitensi ingaggiati nelle attività segrete, in particolare di spionaggio, che tentavano di reclutare persone nei villaggi confinanti con la Colombia sotto l’influenza paramilitare.Nello stato di Tachira abbiamo catturato un pilota statunitense di orgine latino-americana, che trasportava documenti molto interessanti. In questo momento ci sta rivelando i fatti”.
In conclusione del suo discorso, Maduro a riaffermato il suo rispetto per il popolo statunitense cosi come per la comunità afro-americana, ispanica e caraibica spesso vittime di violazioni dei diritti umani da parte del proprio governo. Ricordando che queste misure non sono prese contro di loro, ma contro l’elite che continua a erigersi gendarme mondiale e rifiuta di rispettare i principi della sovranità
di Maddalena Celano, pubblicato il 28 febbraio 2015 su www.ilsudest.it
Un inquietante e scandaloso dossier-giornalistico, un Fandango Tascabili(Collana Documenti), copertina bianca ed abbastanza maneggevole, riporta sin dalla prima pagina (l’ introduzione, a pag. 9) questo aneddoto:
“Quando avevo sette anni mia madre raccomandava a me e mia sorella Sonia, ogni volta che uscivamo in strada, di evitare la “ruba-bambine”, una vecchia nota nel quartiere perché rapiva le femmine; le attirava regalando caramelle e poi le vendeva ad estranei. La parola equivalente in inglese, “kindnapper”, attualmente è utilizzata per indicare il sequesto di persone di qualsiasi età. Quarant’ anni dopo quelle lezioni infantili, ho scoperto che ciò che da piccola mi sembrava un aneddoto tratto da un racconto di Dickens era diventato, con il passare del tempo, uno dei problemi più seri del XXI secolo. La società in generale tende a considerare la tratta di bambine e donne come una reminiscenza di un passato in cui la “tratta delle bianche” era un commercio minore proprio dei pirati che sequestravano donne per venderle a bordelli di paesi lontani. Credevamo che la modernizzazione e le forze del mercato globale l’ avrebbero sradicata e che gli abusi contro l’ infanzia negli angoli sperduti del “terzo-mondo” sarebbero scomparsi al semplice contatto con le leggi occidentali e l’ economia di mercato. La ricerca che è alla base di questo libro dimostra esattamente il contrario. Il mondo sta sperimentando un autentico boom di reti organizzate che rapiscono, comprano e schiavizzano bambine e donne; le stesse forze che, in teoria, avrebbero dovuto sradicare la schiavitù l’ hanno invece potenziata a livelli inauditi. In tutto il pianeta stiamo assistendo allo sviluppo di una cultura che tende a rendere normali il rapimento, la sparizione, la compravendita e la corruzione di bambine e adolescenti, allo scopo di trasformarle in oggetti sessuali da affittare o vendere; una cultura che per di più promuove la mercificazione dell’ essere umano come fosse un atto di libertà o progresso. Soggiogate da un’ economia di mercato disumanizzante, che ci è stata imposta come destino ineluttabile, milioni di persone considerano la prostituzione un male minore e scelgono di ignorare lo sfruttamento e i maltrattamenti che comporta, insieme a un sempre maggior potere del crimine organizzato, dove più dove meno, nel mondo intero. Nella mappa internazionale del crimine organizzato mafiosi, politici, militari, imprenditori, industriali, guide religiose, banchieri, poliziotti, giudici, sicari e uomini comuni costituiscono un’ enorme catena che resiste da secoli. La differenza tra delinquenti solitari, o piccoli raggruppamenti di bande locali, e reti criminali globalizzate consiste nelle strategie d’ azione, nei codici di comportamento e nelle tecniche di mercato…La tratta di esseri umani, documentata in 175 nazioni – mette in luce la debolezza del capitalismo globale e la disparità provocata dalle regole economiche dei paesi più potenti; ma, soprattutto, evidenzia come la crudeltà umana e i processi culturali che l’ hanno rafforzata siano diventati un fenomeno ordinario. Ogni anno nel mondo 1.390.000 persone, nella stragrande maggioranza donne e bambine, sono ridotte allo stato di schiavitù….”.
“La minaccia del chavismo”. L’etichetta utilizzata da certi media spagnoli per presentare gli articoli contro il partito Podemos racchiude perfettamente il senso del gigantesco attacco dispiegato contro il Venezuela bolivariano. Minaccia per chi, se il Venezuela di Chávez e Maduro non ha mai sganciato droni né inviato truppe d’occupazione?
Basta sostituire “chavismo”con “socialismo” e tutto diventa chiaro: la minaccia per i grandi potentati economici, per gli interessi delle classi dominanti a cui il chavismo ha messo un po’ di museruola. La paura dell’esempio, per quanto diluito e lontano dalla Grande Paura della rivoluzione bolscevica del 1917, che ha fatto tremare la borghesia per settant’anni.
Dall’89 in poi, vecchi e nuovi padroni delle ferriere pensavano di averla fatta finita davvero. E invece no, la minaccia è ricomparsa dall’interno del proprio “cortile di casa”, l’America latina. Addirittura dallo “scombinato” – ma petrolifero – Venezuela, pronto per essere impacchettato e servito secondo il modello Fmi. Una ricetta ampiamente assaggiata dalle classi popolari durante la rivolta del Caracazo del 27 febbraio 1989: circa 3.000 morti per le pallottole di militari e polizia scatenati dal governo di Carlos Andrés Pérez (A.D, centrosinistra).
Per la cronaca, a Caracas allora governava l’attuale sindaco metropolitano Antonio Ledezma, che rispose col piombo al popolo in cerca di pane: “Mano di ferro contro gli incappucciati”, dichiarava ai giornali in nome della democrazia modello Fmi.
Dopo aver complottato contro il governo Chávez nel golpe del 2002 ed essere poi stato amnistiato, Ledezma passa dalla parte degli “incappucciati”, che oggi animano la “rivolta dei ricchi” contro il socialismo. Per i grandi media, diventa così un campione di democrazia, mentre il governo Maduro viene presentato come “un regime” autoritario che viola i diritti umani. A furor di penna e sull’onda di una gigantesca velina di polizia, eversori e golpisti vengono trasportati nell’Empireo delle Vittime Meritevoli, mentre una democrazia votata e confermata per 15 anni e 19 elezioni, viene dipinta come una dittatura allo sbando, incapace di contenere al suo interno gli anticorpi di un’opposizione pacifica.
E’ partita la grancassa mediatica contro il socialismo venezuelano. Un’operazione che rafforza “l’asse Madrid-Bogotá-Miami”, denunciato dal presidente Nicolás Maduro in riferimento al tentato golpe di alcuni ufficiali ed ex ufficiali dell’aviazione, fomentati dalle destre oltranziste. A dare il là è, come sempre, un editoriale del quotidiano madrileño El Pais. Il tono e il merito si annunciano fin dalle prime righe: denunciano “la detenzione brutale” del sindaco della gran Caracas Antonio Ledezma, arrestato il 19 febbraio per presunta complicità con i golpisti. La detenzione di Ledezma – chiarisce El País – è “inaccettabile per il suo significato politico e non può essere giustificata in alcun modo”: neanche con le “teorie cospiratorie” riferite da Maduro.
Questo 13/02/2015 il presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, afferma pubblicamente che il suo Governo è riuscito a vanificare un nuovo piano eversivo contro le attuali autorità governative venezuelane ed ha annunciato che sono state fermate un gruppo di persone imputabili del piano sovvertitore, tra le quali degli ufficiali dell’aviazione militare: tutto fa parte di una strategia “tracciata da Washington.” È stato disarticolato, è stato smantellato un attentato golpista contro la democrazia, contro la stabilità della nazione Venezuelana, affermò Maduro durante l’ atto di commemorazione del Giorno della Gioventù a Caracas. Il presidente venezuelano indica che si tratta di un tentativo di servirsi di un gruppo di ufficiali dell’aviazione militare per provocare un evento violento, un atto terroristico che sarebbe stato un tentativo di rivisitazione del colpo di Stato che si pianificò l’anno scorso, denominato “colpo azzurro”. Informò che tra la notte del 12 febbraio e l’alba del 13 sono stati arrestati buona parte dei mandanti e dei complici del piano eversivo. I militari golpisti avevano l’ordine di registrare una videocassetta per altri militari che si trovano in carcere, per partecipare ad piano di violento attacco aereonautico contro il palazzo presidenziale di Miraflores. Il 12 febbraio stavano cercando di provocare numerose morti a Caracas ed altre morti all’interno del paese, presso altre manifestazioni dell’opposizione. Il piano improvvisamente denunciato da Maduro avrebbe varie fasi, tra le quali si racconta dell’ “imboscata economica” che stava già per prodursi attraverso l’ occultamento, presso magazzini clandestini, di prodotti basilari e l’ incitamento ai saccheggi. Una crisi causata artificialmente anche con l’ aiuto di militari vicini agli oppositori. Segnalò, inoltre, che i golpisti avevano assicurato agli Stati Uniti ed al suo Governo che una volta realizzata l’ “imboscata” economica, l’opposizione si sarebbe proposta per governare il paese.
DENUNCIA DEL PRESIDENTE NICOLÁS MADURO ALLA NAZIONE E ALLA COMUNITÀ INTERNAZIONALE DELLE NUOVE AZIONI DEL COLPO DI STATO CONTINUATO CONTRO LAREPUBBLICA BOLIVARIANA DEL VENEZUELA E DELL’ INGERENZA DEGLI STATI UNITI D’AMERICA Leggi tutto “Golpismo permanente in Venezuela”
Venezuela. Arresto eccellente nell’ambito dell’inchiesta sull’«operazione Gerico». Antonio Ledezma chiamato in causa dagli altri arrestati per il tentato golpe anti Maduro
Svolta nell’inchiesta sull’operazione Gerico, il tentato golpe in Venezuela. La magistratura ha ordinato l’arresto del sindaco della Gran Caracas, Antonio Ledezma, leader del partito di opposizione Alianza Bravo Pueblo. Nella notte di giovedì, gli agenti del Sebin – il Servizio bolivariano di intelligence – hanno fatto irruzione nel suo appartamento in Torre Exxa, nel municipio Chacao. Una zona di classe medio alta, governata dall’opposizione e fulcro delle proteste violente scoppiate il 12 febbraio dell’anno scorso (43 morti e oltre 800 feriti). Quest’anno avrebbe potuto finire anche peggio se fosse andata in porto l’operazione Gerico, che – secondo i rapporti di intelligence — prevedeva il bombardamento dall’alto delle principali sedi politiche governative e l’uccisione del presidente Nicolas Maduro.
Venezuela. Arresto eccellente nell’ambito dell’inchiesta sull’«operazione Gerico». Antonio Ledezma chiamato in causa dagli altri arrestati per il tentato golpe anti Maduro
Prove di golpe in Venezuela. Un gruppo di ufficiali dell’aviazione, in combutta con personaggi diell’opposizione e solidi appoggi in Nordamerica, progettava di uccidere il presidente, bombardare Miraflores e prendere la guida del paese, confidando in una nuova esplosione di guarimbas (micidiali tecniche di guerriglia di strada inventate dall’estrema destra). Questa la denuncia di Nicolas Maduro, che ha diffuso i particolari del piano con tanto di mappe, nomi e cognomi. Un carnevale di sangue nel Carnevale in corso in Venezuela.
Sull’efficacia di un pianosimile, per fortuna, è lecito dubitare. Quell’aereo Tucano “importato dall’estero” per sganciare gli ordigni avrebbe fatto poca strada nei cieli della capitale: per la reazione delle Forze armate, nella stragrande maggioranza leali algoverno, e per quella del popolo venezuelano, sempre allerta in momenti di crisi come quella attuale.
Le Forze armate venezuelane esprimono lealtà al socialismo
Dall’America latina, all’Europa, sinistre e movimenti sociali si mobilitano per sostenere il Venezuela di Nicolas Maduro, dopo la scoperta del colpo di stato sventato dall’intelligence. Anche Ernesto Samper, segretario generale dell’Unione delle nazioni sudamericane (Unasur), nonostate rappresenti un governo di tutt’altro segno (quello del colombiano Manuel Santos), ha affermato: «Le possibilità di un golpe militare in Venezuela rivelano una preoccupante escalation di violenza contro la sua democrazia». L’organismo regionale ha come principale consegna proprio quella di tutelare i governi democratici che ne fanno parte, e così Samper ha espresso l’appoggio dell’Unasur al presidente Nicolas Maduro.
Lo sviluppo sociale e politico del bolivarismo è stato da anni bersaglio di un processo di disinformazione globale nonché di “insicurezza informativa”, come spesso ha riportato il lungimirante sociologo-giornalista Ignacio Ramonet (direttore di Le Monde Diplomatique).
Pertanto per comprendere l’intricato e complesso evento storico è opportuno riporre insieme un po’ di pezzi di questo caotico mosaico.
Respingiamo con decisione gli attacchi dell’imperialismo e delle destre alla Rivoluzione socialista bolivariana.
Rivolgiamo un forte abbraccio solidale ai compagni e alle compagne di Telesur, obiettivo costante della violenza eversiva
Esprimiamo il nostro più fermo appoggio al popolo venezuelano e al suo governo “di strada” diretto dal presidente, Nicolás Maduro.
Si rassegnino, le forze del capitale, le classi popolari venezuelane hanno scontato sulla propria pelle i costi delle loro ricette, hanno inciso nella memoria il piombo della loro “democrazia”, i volti delle vittime del Caracazo e quelli del golpe contro Hugo Chávez, nel 2002.
Ogni giorno, il popolo venezuelano manifesta al grido di: ¡NO VOLVERAN!
Dalla solidarietà internazionale, massima vigilanza contro i piani eversivi e la guerra mediatica contro il socialismo. Da Caracas a Roma, dall’Avana, a La Paz, a Quito, lo stesso grido: ¡NO VOLVERAN!
Dall’Italia la nostra solidarietà con la rivoluzione socialista bolivariana si fa ogni giorno più forte!
In Venezuela, sventato un tentativo di golpe contro il governo di Nicolas Maduro. Gli analisti Cia avevano visto giusto, anticipando una situazione di proteste e rischio di violenze. E pour cause, secondo Maduro, visto che all’origine del tentativo destabilizzante, vi sarebbero — come da copione — gli Usa. Si è trattato — ha spiegato il presidente socialista — «di un tentativo di servirsi di un gruppo di ufficiali dell’aviazione militare per provocare un attacco, un attentato». Un piano denominato “Operazione Gerico” che prevedeva di bombardare, oltre al palazzo presidenziale di Miraflores, a vari ministeri e al municipio della capitale, anche la televisione Telesur, sempre al centro degli attacchi violenti dell’estrema destra di opposizione.
Una delle più importanti istituzioni pubbliche del Venezuela, fu creata per assistere le donne impoverite attraverso il micro-credito: Banmujer .
Banmujer nacque il 21 settembre 2001 come una banca con una specifica “mision”: procurare occasioni di sviluppo e crescita socio-produttiva per donne in condizioni economiche disagiate come ragazze-madri, vedove e donne nate in aree rurali particolarmente povere ed ostili ad ogni forma di progresso ed indipendenza femminile. Dal 2001 Banmujer annovera più di 138mila micro-crediti concessi e risulta che abbia salvato dalla miseria e dal degrado più di 3000 famiglie del paese.